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Perché il film Genius rasenta il capolavoro.

Argomento: Cinema

Saggio di Gio-Ma 

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Pubblicato il 07/12/2016 22:38:53

Perché 'Genius' rasenta il capolavoro.

 

Benché il ripetersi di molti Film Fetival in giro per il mondo ci regali ogni anno tante pellicole più o meno interessanti, sono davvero pochi i film visti in questa stagione che meritano l’appellativo di ‘capolavoro’ come questo di Michael Grandage che racconta in maniera originale il lavoro prezioso del curatore editoriale Maxwell Perkins (Colin Firth), scopritore di talenti del calibro di E. Hemingway e F. Scott Fitzgerald, qui alle prese con un altrettanto talentuoso ed esuberante Thomas Wolfe (Jude Law), genio di penna e sregolatezza che, grazie al lavoro oscuro ma fondamentale svolto dallo stesso Perkins, riesce ad emergere nel vasto panorama della letteratura americana degli Anni ’20. Sconosciuto alla maggior parte del pubblico dei lettori italiani Thomas Clayton Wolfe è stato uno scrittore e poeta statunitense famoso soprattutto per i suoi romanzi, nei quali mescolando una scrittura originale piena di elementi autobiografici, descrisse la varietà e la diversità della cultura statunitense. Scrisse anche molti racconti brevi e alcune opere teatrali con stile pressoché ‘impressionista’ nei dettami di una vena incredibilmente poetica. Il suo stile decisamente diverso da quello di altri della sua stessa epoca ha influenzato nel tempo Jack Kerouac e la Beat Generation, e gode dell'ammirazione di numerosi scrittori contemporanei quale Edward Bunker, che spesso lo cita nelle sue opere.

Dalla sua biografia (Wikipedia) apprendiamo che seppur frustrato per i continui rifiuti da parte degli editori del suo primo romanzo Tom non si scoraggiò, ma solo dopo aver ricevuta la notizia che la prestigiosa casa editrice newyorchese Scribner's Sons era interessata al suo romanzo ‘O lost’, il 2 gennaio 1929 incontrò a New York Maxwell Perkins, il più famoso curatore editoriale del tempo., che lo spinse a cambiare profondamente la struttura del suo romanzo, accorciandolo di molto. Decisero anche di cambiarne il titolo in ‘Angelo, guarda il passato’, prendendo ispirazione da un poema di John Milton. Quando il romanzo iniziò ad avere successo, Wolfe troncò la relazione con Aline (sua compagna) e si trasferì a Brooklyn, per evitare la mondanità newyorchese e concentrarsi esclusivamente sulla scrittura.

Scrisse inoltre molte bozze per un secondo romanzo 'fiume', ma Perkins le rifiutò tutte. Fu proprio da Perkins, però, che venne l'idea di scrivere il seguito di 'Angelo, guarda il passato', e fu lo stesso Perkins a presentargli Elizabeth Nowell, la quale curò con successo l'edizione dei racconti brevi di Wolfe. Nel dicembre del 1933 un secondo romanzo era pronto e Wolfe lo portò a Perkins; si intitolava ‘The October Fair’, un'epopea in più volumi sulla falsariga di ‘Alla ricerca del tempo perduto’ di Marcel Proust. Perkins, dopo aver considerato le potenzialità commerciali di un libro così strutturato (più di 5.000 pagine), decise di tagliare pesantemente il romanzo fino a farlo diventare un singolo volume, che prese il titolo di ‘Il fiume e il tempo’. Quando uscì nel 1935, il romanzo era molto diverso dall'idea iniziale di Wolfe, che, frustrato, partì per l'Europa, in un viaggio che toccò Francia e Germania, dove invece era molto amato.

Mi fermo qui, agli anni in cui Thomas Wolfe conobbe quel successo che stravolse la sua vita, per non svelare gli intenti del film e, soprattutto, per non intaccare quella rivelazione che ha fatto di lui un ‘genio’ della penna, che per noi de larecherche.it vale la pena di conoscere e di incontrare, seppure attraverso una preziosa pellicola cinematografica. Preziosità data dalle scelte peculiari del regista Michael Grandage, come quella di aver preso a misura l’essenzialità di un vissuto turbolento scandito dal rapporto con la compagna Alina (la pur intensa Nicole Kidman) amante e musa dello scrittore, tralasciando la storia pregressa degli altri personaggi lasciati in secondo piano e, in verità, un po’ sbiaditi rispetto alla forte caratterizzazione dei due protagonisti. Inoltre alla scelta del color ‘seppia’ della pellicola che rende particolarmente morbido il ricordo di un’epoca, non poi così lontana dalla nostra, che avvolge e coinvolge lo spettatore di un alone intimo, facendolo partecipe del dialogo interiore dello scrittore, e ancor più dell’editore, con la scrittura stessa del romanzo; in questo caso della sceneggiatura perfetta (essenziale) del film.

Lo scontro fra Max (editore) e Tom (scrittore) non è titanico come ci si aspettava, se non in alcuni momenti troppo brevi per lasciare il segno: "Ho scritto cose strappate a forza dalle mie viscere e tu dici che non c'è spazio?" (Tom)

Hei, al mondo servono poeti!” (Max)

Voi siete così spaventati che non sapete vivere.” (Tom)

Dio aiuti chi ti ama Tom, perché nonostante i milioni di bellissime parole nei tuoi libri, non hai idea di cosa significa essere vivi.” (Max)

 

Un film biografico scrive Giancarlo Zappoli in una recensione Apparsa su MYmovies Club, e che qui di seguito vi sottopongo in forma ridotta:

 

>>Basato sulla biografia "Max Perkins. Editor of Genius", il film di Michael Grandage si discosta in maniera sensibile dai classici biopic. Perché è vero che lascia ampio spazio alla descrizione di un Wolfe tutto genio e sregolatezza, incapace di avere legami che non siano con i frutti della propria creatività ma al contempo bisognoso di trovare un sostituto della figura paterna che tanto aveva contato nel sostenere i suoi studi e che era prematuramente scomparsa. È però anche vero che il focus maggiore sta proprio su Perkins, un uomo che non si toglieva il cappello neppure a tavola e che, una volta attratto da un testo, finiva con il disinteressarsi di quanto gli accadeva intorno. Grandage ci ricorda che, ora come allora, un grande romanzo non è mai frutto solo ed esclusivamente della creatività di 'un' solo genio. Occorre che al suo fianco ce ne sia un altro, nascosto ma altrettanto necessario: il curatore editoriale.

Se si tratta di una persona che ama il proprio lavoro, che non si limita a correggere i refusi ma sa entrare dentro l'intimità di un testo, sapendone cogliere le potenzialità ma evidenziandone anche le fragilità, il libro che ne nasce sarà migliore di quando è stato proposto per la pubblicazione. Attraverso l'incontro (e talvolta anche lo scontro) tra due personalità così diverse veniamo invitati a comprendere come la forza della parola resti ancora oggi, a distanza di quasi un secolo e in un mondo in cui le forme della comunicazione sembrano avere imboccato strade totalmente diverse, fondamentale. Gli Hemingway, gli Scott Fitzgerald, i Wolfe ci propongono ancora parole che conservano un senso grazie al lavoro, oscuro ma fondamentale, dei Perkins.>>

 

Ho già detto del colore della pellicola, ma potrei aggiungere l'importanza dei costumi che ci restituiscono per intera l'eleganza del tempo che fu con estrema ricercatezza di particolari, anche lì dove la cura si fa trasandata nell'uso del quotidiano. Ed anche lì dove la fotografia magistrale indugia nelle immagine dell'arte, presentandoci un Hopper particolarmente attuale. Ma per quanto nel film sembri non mancare nulla degli ingredienti necessari a farne un capolavoro, errivati al dunque, manca un briciolo in più di quell'umanità (che forse non c'era, non saprei) che ce lo fa amare; o forse quel pizzico di 'poesia' che il mestiere di scrivere concerne e che tocca le corde dei sentimenti, a dimostrazione che il romanziere ha amato i suoi personaggi, tanto da ucciderli, infine.

 

Straordinari gli interpreti, coinvolgenti in questa che va considerarata una vera e propria 'prova d'attore'.

 

 


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