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Ellittiche stelle silloge vincitrice de IL PORTONE

di Ninnj Di Stefano Busą
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Pubblicato il 05/10/2013 20:41:53

a cura di Roberto Carifi

 

 

 

Una distanza tra il grido e la ferita: la poetica di Ninnj Di Stefano Busà.

 

Quasi tutta la sua opera si affaccia sul silenzio percorrendo tutte le strade del dolore e dell’assenza.

 

Del resto i poeti, quelli veri, giungono all’ultima parola dopo aver

 

percorso fiumi «di dolore e di destino». L’autrice sa cos’è il lento

 

dipanarsi della vita, «la distanza tra il grido e la ferita» e sa

 

come attraversarli, come portare la sua croce, e tuttavia sa come

 

si spegne «la nuda realtà della sete». La realtà della sofferenza

 

(del dukkha, per dirla con il pensiero buddista) è in quasi tutte

 

le poesie di Ninnj Di Stefano Busà per superarlo, per raggiungere

 

il silenzio, la pace. Tuttavia bisogna viverlo il calvario della

 

vita, fino in fondo, fino all’abisso, fino quasi a scorticarsi l’anima.

 

«Ogni piccolo filo d ’orizzonte / si ritrae, si ripete la meraviglia / che

 

serve alla cecità / per estinguere il suo pianto». Versi alti, di una

 

poetica che resta ai bordi della sofferenza, persino del male dettato

 

dal destino. Il tragico, ricorda Hoderlin, ha più fato e virtù

 

atletica, rispetto a ciò che è dùsmoron, privo di destino.

 

Ma Ninnj Di Stefano Busà vuole liberarsi dal destino, preferisce il silenzio, la libertà, l’apertura d’ala.

 

La sofferenza è il sottofondo della sua scrittura, ma la liberazione è lì,

 

a portata di mano. La poesia di Ninnj Di Stefano Busà è bagnata da quella forza contemplativa che ha in sé la rivelazione e il dono è accostabile al ringraziamento che fa di ogni lingua poetica una pietà del pensiero. A volte si ha l’impressione di sentirla quasi respirare, offrirsi all’esterno, all’aperto, all’infinito, essere tutt’uno con la libertà che caratterizza in fin dei conti, la sua poesia.

 

 

 

 

 

Se resta è un filo sottile,

 

uno scampolo di cose malandate,

 

un punto e a capo, un altro tempo

 

che non sai se separa

 

i tuoi ritardi, cancella i tuoi respiri.

 

Lo smalto poi si scrosta, invecchia

 

in altro modo, si smaglia dalla pelle,

 

e non c’è iato, qui dove svampa,

 

tra il buio e il mondo, tra la notte

 

e il cuore.

 

 

 

*** 

 

 

 

Senza gioia il mattino,

 

tra sguardi che ritardano

 

e un sole avaro, un luogo condiviso,

 

qualche nube.

 

La scopri da una strada polverosa

 

l’altra verità che s’attarda

 

a tentare un cielo terso,

 

un vento che sosta ad ogni porta,

 

come un passante senza nome,

 

lo vedi andare piano,

 

quando il canto è breve

 

e l’ombra fugge e il mondo

 

è solo un suono dimenticato.

 

 

 

 

 

18

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un viaggio senza ritorno,

 

una storia che porta due parentesi

 

tra un poco e l’altro della vita,

 

una distanza tra asintoti e tangenze

 

sempre più lontani, linee d’ombra.

 

Qui – dove ogni giorno è muto,

 

e manca sempre un punto

 

di congiunzione che ti stringa, –

 

e torni indietro per cercare

 

un codice segreto che lo acquieti

 

ne scopra l’ordine, una rotta condivisa.

 

Qui è terra consumata, senza più elegia:

 

terra di rami spogli, di malinconia.

 

 

 

 ***

 

 

 

Il tempo appena di guardarle le cose,

 

e già sfuggono, e il mondo ha uccelli

 

di passo, ozi, cose di breve conto.

 

appena un foglio bianco

 

e neppure un’odissea da raccontare,

 

un’elegia da vendere o incrociare

 

coi suoi morti, un’anemia di versi,

 

di suoni, di tinte accavallate.

 

Qui – dove le parole hanno solo l’ombra

 

a farle già diverse –

 

Qui – dove il verso scorre per cercarsi,

 

come se niente fosse e manca

 

la voce che lo stringe, lo conserva.

 

 

 

19

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                 SEZ.  VERBI INASCOLTATI

 

 

 

                                                   

 

 

 

 

 

Sembrano prendersi gioco dell’ora

 

le sciabolate di luci imminenti.

 

Ti corre un brivido fragrante di felicità,

 

quello che s’insinua tra le tamerici e il nulla,

 

il frutto acerbo era la giovinezza.

 

Così spalmo l’ineguagliabile acqua serena

 

sulla fronte del dio, profetizzo altri templi

 

e sentieri con la stagione del miele,

 

mentre le salmastre acque

 

si fanno opalescenti e sorridono al cielo.

 

 

 

 ***

 

 

 

Nel grido del sole c’è lo splendore

 

autunnale, stupiscimi col tuo nettare acerbo,

 

declina i tuoi lembi azzurri

 

sul portale di memoria

 

che ci è appartenuta come emozione,

 

ora radice dilapidata e sofferto dolore.

 

M’incanta l’ebbrezza, un lungo brivido di pioggia,

 

le ombre nei riflessi dorati della giovinezza.

 

con te ritrovo quel doloroso miele dell’abbraccio.

 

 

 

 

 

20

 

 

 

 

 

 

 

Momenti d’erba scioglie la sera,

 

un desiderio che stringe il mondo

 

nel suo oscuro moto,

 

e respira venti di tempesta il suo stupore,

 

perdendosi nel folto della siepe,

 

tra ali di ortiche e aquiloni.

 

 

 

 

 

*** 

 

 

 

Un sentiero di luce costeggia

 

il sereno dei tuoi occhi.

 

vi è il respiro frale del giorno,

 

la salsedine delle marine assolate,

 

le mareggiate notturne, nel gioco delle trasparenze.

 

Noi siamo lì con la spietata illusione:

 

le palpebre chiuse e quella poca argilla

 

tatuata in seno – ombre celate tra la resina e la pelle –

 

 

 

 

 

21

 

 

 

 

 

 ***

 

 

 

Raggiungere il confine,

 

misurarne il suo perimetro di pietra,

 

il tempo che trasmuta in appunti

 

di diario necessari a immunizzarsi:

 

ai silenzi, ai tempi, ai luoghi

 

che si travestono di passato

 

per escluderci.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

Può venire solo dal labbro

 

la parola amata, a piegarci,

 

senza l’ombra di peccato,

 

oppure volgere lo sguardo al bene prezioso,

 

alla tenera notte che artiglia la tenebra,

 

a custodire quel tuo sorriso

 

come un sole sbucato dall’inverno,

 

o regalare la neve come un giorno felice

 

che arrossisce alla luce.

 

Di ogni cosa resta la fitta malinconia

 

sul filo del tempo, a riparo dalla sorte.

 

 

 

22

 

 

 

 

 

 

 

La notte ha occhi seducenti,

 

dal sogno evoca l’oro di memorie,

 

si fanno lente come clessidre vuote

 

all’ombra delle attese le ore,

 

alzano vessilli d’alba, reti di dolore,

 

sfilano come lame sul velluto

 

le giostre colorate dalla luce,

 

preparano il giorno al sangue già versato,

 

agl’immemori presagi della resa.

 

Sarà ancora dubbio questa disarmonia

 

di canti? Artiglio delle favole incompiute

 

scioglie la nera uniformità notturna.

 

Ogni silenzio è guado in mare alto,

 

vena di attracco lungo il bordo scuro,

 

riarso dei ricordi.

 

E non vorremmo migrare in altri luoghi

 

che quelli di un cielo di cobalto.

 

uccelli migratori ora smarriti

 

non sappiamo chi ci salverà.

 

 

 

 

 

23

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come acque chete

 

che accarezzano scafi, accelera

 

l’aprile lungo il litorale, fiati di brezza

 

promesse di equinozi attendono

 

il sogno dell’estate, ignara

 

dentro la trafittura di ferite, anela

 

l’erba a rinfoltire il verde sui muretti,

 

sui dossi e sugli anfratti.

 

E ci spingiamo al largo dalla secca,

 

dai canali melmosi, al lampo azzurro,

 

al porto più sicuro come velieri

 

salpati al vento di bolina.

 

Terra che si sfalda ereditammo

 

e oro che la ciurma inabissa

 

al suo naufragio. E giungemmo

 

al lampo delle stelle con audaci pensieri,

 

a sfogliare giorni lievi, parole

 

che precedono il canto dell’addio,

 

forse il perdono o la dimenticanza,

 

senza voltarsi indietro.

 

 

 

Alcuni testi ripresi dalla raccolta vincitrice del Premio Il PORTONE di Pisa

 

pubblicata con ETS, Pisa settembre 2013 

 

 

 

 

 

                                                                                     

 


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