Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede al locandiere, dicendo: «Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno».
Quando la smetteremo con i travestimenti -
per togliere i sigilli della mente
e per guardarci in faccia, da nudi come siamo?
Quando spalancheremo quella porta -
aperta sulla vita che in noi nasce e muore -
senza certezze su gonfi stendardi
dove trionfa smisurato l'ego
di chi si fece un dio su misura -
per una sola fede, per una sola gente?
Corolle al fiore gli interrogativi,
divini come i sogni,
opachi del bagliore di visioni -
ognuno è profeta, ognuno è sacerdote,
perché essere è sacro, qui dove tutto vive.
Non ci saranno eletti - fin dall'inizio ognuno
amato dalla terra, non più respinto - amato.
Che ne sarà di chiese o di moschee,
di templi o sinagoghe -
se non unico soffio - parola verso l'Alto?
Sarà tra il mormorio delle colombe
quell'intrecciarsi all'alba delle ali
in nicchia di Kebara nel Carmelo -
s'incurverà la gioia, affonderà nel cielo -
discenderà più chiara - tra i fiori sul pianoro.
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