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Foto d’un pino marittimo morto

di Emanuele Zeta
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Pubblicato il 24/09/2013 23:10:49

Nella trama
che racconta
un albero spoglio
e secco tracciato
a china
su un azzurro che si perde
già nel passato
c’è la suggestione di qualcosa
che per passare al vento
dalla terra, nel suo circolo svagato e senza orari,
costruiva paziente nei secoli
la giusta struttura radiante,
soltanto uno sterile
cerebralismo come un altro.
C’è la storia priva di morale
figurata nelle valli
e nei canyon e in certe
sassose mulattiere spraticate
soffocate da sterpi, che altri,
più o meno uomini di noi
(ciò è da stabilire)
avrebbero forse chiamato fiume
o torrente, fossero stati già pratici d’inventari;
c’è l’afasica epigrafe,
o sembra esserci,
del mito
su cui interrogano le bianche
pizie della nostra era
il mitocondrio renitente e in fondo ignaro,
soprattutto della renitenza.

In quell’incidentale monumento
a ciò che senza scampo
chiamiamo morte
si ripete l’intreccio medesimo
nascosto nella carne
del braccio e della mano
che scrivono per me,
lo stesso che s’espande dal collo
nella polposa testa che pensa
d’essere me,
punta più punta meno,
dove si registra momentaneo
un fluire senza fine che, mi dicono,
ha nome vita.


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