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Sveva va veloce

Narrativa

Serena Maffia
Azimut

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 04/09/2009 01:52:00

Sveva vive a Roma, per veder crescere la propria carriera, ma ogni anno torna in Calabria al paesello natale, per le vacanze estive. Ed ogni anno i fili del passato e del presente tornano ad annodarsi, rendendo priva di soluzione di continuità, almeno all’apparenza, l’esistenza di Sveva al paesino. Il romanzo della giovane Maffia attinge dalle sensazioni di una di queste vacanze per proiettare agli occhi del lettore quella che è la realtà quotidiana di un piccolo centro del sud, e di come passano la vita i giovani che là decidono di continuare a vivere, come arbusti abbarbicati ad una scogliera, crescono e prosperano in un ambiente che arriva ad essere decisamente ostile. La narrazione si apre e chiude con due morti, quella inspiegabile – o con troppe spiegazioni – dell’inizio serpeggia lungo tutto il romanzo, quella del finale palpita brevemente in angoli d’ombra nella storia, viene spiegata, ma è un discorso che resta in sospeso, sino ad un altro brandello di discorso, che illumina il precedente e rende la storia sempre fluida. Alle due morti, ne fanno da contrappunto altre due, che un poco le introducono, – le giustificano sarebbe troppo – le contestualizzano e gettano un cono d’ombra sui problemi del microcosmo che l’autrice ha posto sotto la sua lente. Ma non di sola morte parla, ovviamente, il romanzo, parla, soprattutto, di vita, forse caparbiamente portata avanti, forse con mezzi non del tutto leciti, o senza dire fino in fondo la verità, ma pur sempre di vita si tratta. E come contraltare della morte e simbolo della vita, vi è spesso il sesso, raccontato placidamente, collocato, com’è giusto che sia, su di uno scaffale tra le tante cose che ogni giorno riponiamo, come cose del giorno passato, come ricordo pei giorni a venire. Nella narrazione si intersecano, come dicevo sopra, vite di giovani, e spesso da fatti del presente emerge il passato, come erto bastione quasi a proteggere l’attuale, a non lasciarlo privo di difesa ma, anzi, crea un presupposto, da una significanza vasta e palpitante, rende giusti fatti che parrebbero solo legati ad un capriccio momentaneo del destino – o della ragione. Lungo le righe del libro, fa spesso capolino il cibo, il sedersi a tavola, altro grande momento di socialità, se il sesso è inteso qua come momento di solidarietà fra solitudini, è attorno ad un tavolo, o ad un bar che le solitudini si mischiano, sbiadiscono sino a giungere ad una quasi uniformità sociale, salvo poi sciogliersi un attimo dopo e continuare a perdersi in rivoli di indifferenza, o di malessere. E per ultimo ma non trascurabile, anzi forse uno dei pilastri del pensiero su cui si intreccia il libro, la droga, molto presente, purtroppo, tra i giovani che animano il libro, ma, anche e soprattutto, tra tutti quelli che dal libro sono rimasti fuori, i giovani – e non – di ogni città italiana. Nel piccolo universo ricostruito dalla Maffia, i ragazzi si drogano, quasi come se fosse una cosa normale, che tanto non c’è nulla di meglio che li attende, sanno che un miracolo non può accadere, non lo cercano più, non tentano più di costruirlo, ma lo vivono dentro di loro attraverso i sensi offuscati dalla droga. Oppure cavalcano tale sentire comune facendosi spacciatori, procurando ad altri il paradiso sino che questo si tramuta ben presto in inferno, e l’autrice ci dona una bellissima scena tra lo spacciatore e la sua cliente che priva di denaro fa valere, per procurarsi una dose, l’amore che un tempo ha unito i due e che forse l’uomo ancora sente, il sentimento diventa merce.
Il romanzo attinge dalla vita quotidiana di un piccolo stralcio di una passata estate, e lo racconta con linguaggio semplice, fresco ed immediato: quello semplice dei giovani, di ogni giorno. Ma non è una scelta semplicistica quella dell’autrice, usa questa apparente semplicità per portare alla luce ben profonde complessità, per dare agli occhi del lettore una chiave di lettura autentica – vissuta – del disagio giovanile, del bisogno grande di amore che ciascuno ha e che, spesso temendolo, affoga in cose che dall’amore sono lontanissime. Il linguaggio con cui l’autrice tesse la sua tela narrativa oltre che semplice, è anche, a tratti, abissalmente profondo, tinteggiato di ombre liriche e poetiche assai belle ed efficaci, molte pagine sembrano marine dipinte ad acquarello e appaiono struggentissime, alternate ad altre dipinte a colori accesi con tratti veloci e nitidi, che quasi abbagliano il lettore con tutta la potenza del sole di cui sono intrise. Una narrazione che alterna crudezza e slancio poetico in modo assai mirabile ed elegante, e, unitamente alla musicalità del titolo, evoca una certa cinematografia underground italiana degli anni novanta. Al termine della lettura resta la gradevole sensazione di aver letto un bel libro, costruito con mano ferma e felice dalla giovane scrittrice, che ha saputo evocare gli spettri del proprio passato, distillandoli in una narrazione lucida ed appassionata, rendendo fatti, forse minimi, universali, atti a cogliere di sorpresa il cuore di ciascun lettore con l’immediatezza della vita realmente vissuta ma guardata con gli occhi del poeta.

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