Testamento
Nel caso l’ultimo fosse quest’anno
a imbiancarmi la vita, vi lascio, cari,
il niente che mi spinge su ai rari
culmini concessi alla polvere. Vanno
i miei occhi verso illudenti fari
acque vi gettano le notti che stanno,
digrignanti pensieri, alle poste e mi fanno
livida e sconcia la carta ai diari.
Ma pur sciogliendo l’intera scrittura
lasciano, pare, una punta, un dolore
sempre di voi, di vostri persi abbracci,
sguardi, sorrisi... E per quanto mi cacci
di niente in niente la signora scura
resta in quel niente un rimpianto d’amore.
Uno strano paese
Sì, io ci abitavo, in uno di quei luoghi
desolati, da film western,
mangiati dal sole... che
un vento improvviso trascina una folata
di polvere con dentro cespugli... che rotolano
rotolano e vanno dove vanno. Io stavo
in una di quelle case... oddìo!... si fa per dire!
case!... Lo erano per un caparbio
atto di fede... ché stavano lì
e dicevi, chissà, forse al risveglio...
Autorità?!... Sì, c’era, in una
non so se lontana o vicina città, un...
gendarme... così lo chiamavano... il Gendarme...
veniva ogni tanto, arrancando nel sole,
così stanco e accaldato che subito
andava in locanda e dormiva fino a
quando ripartiva, in calesse... Niente treno...
una corriera ogni tanto
più per la posta, che per giunta a volte
si rompeva per via, e comunque
l’aspettavamo giorni e giorni.
Era un paese che non meritava
il nome. A volte si parlava
in pace, ma per farsi male
a volte si litigava e a volte
si restava chiusi dentro a spiarsi
l’uno l’altro... Così era... o non era...
non so... davvero non so dirvi...
nemmeno il nome... sulla carta... il
tempo, forse, lo ha cancellato...
o la mente... o niente!
Adesso
Se mi vivi adesso, adesso
dico le cose che mi
piovono una volta
e basta
se in questo nebbioso andito
pioggia, sei pioggia e poi passa
mi resta il pregno, l’odore, aria
umido sulla pelle, e poi in gola
l’umore spesso fin sugli alluci
nelle nari e giù
negli inguini
che non possono
non ti possono scrollare
non mi possono
dal mondo zuppo.