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Stefanie Golisch

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 10/05/2010 21:08:37

[ Intervista a cura di Franca Alaimo e Roberto Maggiani ]

*

DOMANDA. Come si presenterebbe a persone che non la conoscono? Chi è Stefanie Golisch? Di che cosa si occupa?

RISPOSTA. Scrive Max Frisch – non ricordo dove – che a un certo punto della vita, ognuno s’inventa la storia che ritiene poi la sua… Sono appena tornata da Vienna dove ho comprato una cartolina di Kafka con la seguente citazione: “Sich kennt er, den anderen glaubt er, dieser Widerspruch zersägt ihm alles”. Traduco liberamente: “Conosce sé stesso, nell’altro crede, questa contraddizione gli spezza tutto”.
Vive, legge e scrive dal 1987 in Italia. Questo è la mia solita nota biografica. Mi piace l’essenziale. Mi piace lasciare spazio all’immaginazione. Mi piace rimanere invisibile. Mi piacciono i segreti. Mai pensare di sapere tutto, piuttosto rimanere nel dubbio e – importantissimo! – aggiungere a tutte le possibili considerazioni un Forse. Un umile e al contempo fiero Non lo so.


DOMANDA. Ha il suo bilinguismo, esercitato anche attraverso una serie di opere tradotte, una ricaduta negli esiti espressivi della sua scrittura e fino a che punto?

RISPOSTA. Non credo.
Tradurre è per me un atto di voluta estraneità. Quando traduco sono un’attrice che recita un ruolo che non ha nulla a che fare con il proprio essere. Tradurre è una specie di antidoto: contro un io ridicolmente ingombrante che, come quello di quasi tutti gli scrittori e artisti, veri o falsi che siano, tende a gonfiarsi. Immergendosi in mondi altrui, lontani dal proprio, quasi automaticamente si ridimensiona. Perciò mi piace tradurre autori molto diversi tra di loro e – da me. La massima sfida da questo punto di vista sono stati Tommaso Filippo Martinetti e Edoardo Sanguineti.


DOMANDA. Tra gli scrittori tradotti, ce ne sono alcuni di nazionalità ebrea. Come vive oggi un tedesco la memoria della Shoah? Fare conoscere a tutti noi la loro voce può considerarsi, da parte sua, un gesto di risarcimento nei loro confronti?

RISPOSTA. La Shoah è una ferita che non si chiude perché non si può chiudere. E’ così per chi si rende conto e per chi non si rende conto. Come ogni assassinio, anche quello degli ebrei d’Europa, è stato al contempo un suicidio. La cultura tedesca, in particolare la letteratura, da allora non si è mai ripresa veramente. Il suo corpo, se posso dire così, non è più integro. Gli manca una gamba per camminare ben retto. Mancano certe atmosfere, certe sfumature, quell’inconfondibile insieme nella diversità, quello scambio organico che, se anche soltanto per un breve periodo, è esistito. In particolar modo in Austria a cavallo dei secoli, fino agli anni 30. Penso ad autori come Schnitzler e Josef Roth…

Non credo che si possa parlare di risarcimento, semplicemente non è possibile. Anche se al livello personale, si vorrebbe sì fare un po’ di pace. Insieme alla mia collega e amica Adelmina Albini ho tradotto le poesie della giovane Selma Meerbaum Eisinger (1924-1942), ebrea di lingua tedesca di Czernowitz, capoluogo della leggendaria Bukovinache all’epoca si trovava agli estremi confini dell’impero austro-ungarico, oggi Ucraina. Selma sarebbe sicuramente diventata un scrittrice di rilievo. Purtroppo è stata uccisa a soli 18 anni.

Forse l’intento era di fare un po’ di giustizia, ma alla fine non è possibile.


DOMANDA. Sappiamo anche della sua grande passione per Alejandra Pizarnik. Che cosa l’attrae verso questa scrittrice così difficile e complessa? In che modo si è occupata di lei?

RISPOSTA. Ho divorato sia i diari, sia le poesie della Pizarnik circa due anni fa, fulminata dalla loro lucidità, dalla spietatezza e dallo stile che dimostra un’ammirevole libertà interiore. Ma è una passione che non è durata a lungo. Ciò che mi ha fatto prendere quasi immediatamente le distanze è stata la consapevolezza che quella morbosa concentrazione sul proprio io, quel continuo rispecchiarsi, quell’autoinnamoramento senza limiti è un vicolo cieco. Non può questa apoteosi dell’io non portare direttamente all’annientamento. In ultima conseguenza, l’ipersensibilità della Pizarnik, si trasforma in forza negativa, autodistruttiva, sia a livello umano, sia a livello letterario. Kafka – o forse era Flaubert – diceva che nella battaglia tra l’io e il mondo bisogna sempre schierarsi dalla parte del mondo. All’inizio del XX secolo, la scoperta dell’io, cioè del mondo interiore, ha indubbiamente potenziato le possibilità della scrittura letteraria, ma non per questo dobbiamo considerarla verità ultima. La più grande sfida della scrittura è, secondo me, dare voce e credibilità a colui che è il più distante da me: il mio estremo contrario, la mia contraddizione sui generis, il mio nemico innato.

Credo che, nella letteratura così come nella vita, l’io vada guardato da fuori, nel modo più lucido e distaccato possibile. Va tenuto a bada, e, se necessario a guinzaglio. Soltanto così si possono evitare le due trappole più pericolose, il ridicolo e il pathos.


DOMANDA. Quale autore (autrice) si appresta a tradurre?

RISPOSTA Sto traducendo un libro di un autore americano, Terrence Des Pres, apparso nel 1976 negli Stati Uniti. Il suo titolo è : The survivor. An anatomy of the death camps. Considerando sia i campi di concentramento nazisti, sia i gulag sovietici, l'interesse dell’autore si concentra sulla figura del sopravvissuto o, forse più precisamente, su quella del sopravvivente, cioè sulle caratteristiche e strategia che l'uomo ha o assume per garantire in condizioni estreme la propria sopravvivenza fisica. L'atto del sopravvivere viene analizzata come conseguenza di una decisione elementare per la vita e contro la morte.


DOMANDA. Qual è la sua posizione rispetto al problema così dibattuto della traduzione?

RISPOSTA. Non ho alcuna posizione. Credo che non ci possa essere una teoria della traduzione e che non sia possibile insegnare a tradurre. Sta alla sensibilità del traduttore di intuire ogni volta la specifica necessità del testo in questione. Ogni testo – e non soltanto quello poetico - vuole essere tradotto da di dentro, dal suo centro interiore. Come traduttore devo cercare di intuire da dove nasce per prendere delle decisioni, per valutare cosa devo salvare e cosa, eventualmente, devo sacrificare. La traduzione perfetta, si sa, non esiste, ma questo non parla certo contro di lei. La traduzione è dinamica, ha una storia, è un processo, un work in progress che non finisce mai. E’ proprio ciò che molti vedono come un dilemma che io trovo estremamente stimolante. Alcuni anni fa ho tradotto – o forse devo dire - ho cercato di tradurre L’infinito, appassionandomi in seguito alla ricerca di tutte le traduzioni precedenti. Quanti Infiniti! Interessantissimo è quello di Rilke: una perfetta poesia di – appunto – Rilke.


DOMANDA. Certamente i suoi riferimenti culturali appartengono più all’area germanica che a quella italiana. Tuttavia, c’è un qualche autore italiano (o più autori italiani) che ha (hanno) influenzato in modo determinante la sua formazione culturale?

RISPOSTA. A dire la verità, quando sono venuta in Italia, non conoscevo bene la letteratura italiana. Però, quasi da subito, ho cercato di avvicinarmi a questo paese, che ho imparato ad amare molto lentamente, attraverso la sua letteratura. Non sistematicamente, ma semplicemente affidandomi al caso, a consigli personali, articoli letti, nomi appresi da qualche parte. Per fortuna non avevo intenzioni serie! Non mi volevo appropriare del corpus della letteratura italiana, ma soltanto conoscere meglio il paese dove ero capitata. Leggevo come da ragazza, senza guida né intenzionalità. Non mi vergogno di dire che non sono mai riuscita a leggere la Divina Commedia come si deve, ma al margine della cultura ufficiale ho scoperto – e tradotto – la meravigliosa, imparagonabile poesia di Camillo Sbarbaro e di Lorenzo Calogero, per nominare soltanto due poeti che mi sono particolarmente cari.


DOMANDA. Se dovesse indicare agli studenti d’oggi alcuni maestri di scrittura di entrambe le aree linguistiche (germanica e italiana), quali autori e quali opere indicherebbe, e perché?

RISPOSTA. Credo che per chi s’interessa davvero della Germania e in particolare di quell’inguaribile ferita di cui si parlava prima, dovrebbe leggere Uwe Johnson (1934-1984). E’ l’autore nella compagnia del quale ho trascorso 10 anni della mia vita e che conosco meglio di tutti. E’ Johnson che dà voce alla tragedia in tutte le sue sfumature. E’ l’autore più tedesco, più nordico immaginabile. Il suo paesaggio è il Mecklenburg, che si estende dal nord di Berlino fino alle coste del mar baltico. Johnson voleva che il lettore leggesse i suoi romanzi così lentamente come lui li aveva scritto. Desiderava un lettore attivo, attento e disponibile a seguirlo nel heart of darkness. Voleva il lettore impossibile. Johnson è un monolite. Ingombrante e poetico al contempo. Un terremoto per se stesso e per gli altri. Eppure – e non lo dico tanto per dire - un grande scrittore nell’antico senso dell’espressione. Non lo leggo più da tempo, ma ho imparato molto da lui, soprattutto di lasciare tra una parola e l’altra sempre uno spazio vuoto.

Il poeta Günter Kunert paragona l’uomo Uwe Johnson alle statue sulle isole di Pasqua: imponenti e totalmente incomprensibili.


DOMANDA. Trova delle linee (nelle idee, negli esiti stilistici ) che possano in qualche modo accomunare la letteratura contemporanea tedesca ed italiana?

RISPOSTA. Sono dell’opinione che spesso si faccia troppo contemporanea, sia una, sia l’altra.


DOMANDA. La diversa storia delle due aree della Germania ha in qualche modo influito sulla produzione letteraria degli scrittori dell’Est e dell’Ovest, e come?

RISPOSTA. Il drammaturgo Heiner Müller diceva che non c’era da meravigliarsi che nella DDR si scriveva la migliore letteratura: soltanto sotto la dittatura la parola poteva ancora caricarsi di significato.

Naturalmente era una provocazione. Una provocazione però che contiene una triste verità. Dove tutto è ammesso, dove si può dire e scrivere veramente qualsiasi cosa, la parola si riduce a essere un povero contenitore di vuoti variopinti. Così come l’io nasce per combattere contro il mondo, anche la parola ha bisogno di confrontarsi per diventare più chiara a se stessa. Dove l’agnello e il leone cammineranno mano nella mano, probabilmente non si scriverà più. E’ una contraddizione che, per forza, rimane aperta. Siamo davanti al problema della libertà. Può essere definita valore assoluto o lo è soltanto nelle mani di chi è in grado di gestirla?


DOMANDA. Che cosa pensa abbia determinato un rifiuto delle cose dello Spirito nell’ambito della produzione artistica europea?

RISPOSTA. Il materialismo assoluto che sta alla guida del cosiddetto processo della modernizzazione. In Nord Europa lo spirito ha fatto le valige da tempo. Per chi non conosce la Germania del Nord, l’atmosfera che vi regna, è difficilmente immaginabile. Quando passeggio per la zona pedonale di una qualsiasi città, lo posso vedere, l’uomo contemporaneo, ridotto ad essere contenitore di cibi ipercalorici, di piaceri istantanei e di trash di ogni genere. La cultura contemporanea - naturalmente non tutta! - parla a questa triste caricatura dell’uomo. Lo accetta così com’è. Non vuole più migliorarlo, non vuole farlo pensare, ma, anzi, ha deciso di farsi sempre più uguale affinché egli rimanga esattamente quello è diventato nel corso dei secoli: l’esatto contrario di un soggetto autonomo come lo prefigurava Kant. O, detto in termini meno astratti, di un essere umano capace di amare e di pensare a se stesso e agli altri non soltanto come funzione, ma come essere feribile…


DOMANDA. Sappiamo che lei ha scritto anche dei racconti. Tra le varie forme di scrittura, quale le ha dato maggiore soddisfazione?

RISPOSTA. La poesia, essendo la più breve, la più sintetica, la più essenziale, la più taciturna.
La poesia prepara al silenzio.


DOMANDA. A quale sua opera sta ultimamente lavorando e con quali intenti? Sappiamo inoltre che sta adoperando la lingua italiana. Che cosa ha influito sulla scelta di una lingua non del tutto “sua”?

RISPOSTA. Ho scritto un libro ibrido che s’intitola “Luoghi incerti” che uscirà tra poco. E’ un libro di ispirazione autobiografica, il tentativo di comunicare all’eventuale lettore italiano l’essere tedesco. Scrivere in Italiano è stato una sfida a tutti i livelli. Si scrive diversamente quando si scrive in una lingua straniera, soprattutto quando si tratta, come in questo caso, di esperienze anche personali. Eppure, alla fine ci si trova di nuovo dentro il testo. Mascherato, eppure sempre riconoscibile.
Chi sa, dovrò passare a un'altra lingua ancora…


DOMANDA. Lei è redattrice del blog letterario www.lapoesiaelospirito.wordpress.com ci racconta la sua esperienza in rete? Che cosa pensa di siti quali www.larecherche.it e della libera scrittura in rete

RISPOSTA. Non lo so. Da una parte mi sembra che il valore di un testo venga davvero svalutato in mezzo a l’infinità di testi che appaiano ogni giorno. Dall’altra parte, soprattutto riguardo alla poesia – essendo breve – la rete può essere un canale di diffusione realistico, una possibilità per affermare la sua esistenza, per renderla presente in un mondo che la esclude quasi totalmente da tutti gli ambiti. Perciò sono fiduciosa che le mie traduzioni di poesie del mondo che pubblico regolarmente in LPELS entrino in circolazione, che qualche verso, di qui e di là, trovi una risposta nei pensieri o nei sentimenti del lettore sconosciuto.


DOMANDA. Sappiamo che le è stato conferito il premio Würth. E’ stato per lei un riconoscimento gratificante e che cosa pensa, in genere, dei concorsi e dei premi?

RISPOSTA. I premi fanno bene all’io. Questo è un dato di fatto ed è inutile negarlo. Ma come tutte le gratificazioni che vengono da fuori durano quanto un giro nelle giostre del luna park. In verità, tutte queste cerimonie hanno del ridicolo e non sono capace di non rendermene conto. Hofmansthal era fiero di essere ein Mann des Privatdrucks, un uomo della stampa privata, distribuita a forse dieci amici.

Probabilmente, perché fu un uomo molto vanitoso, lo diceva soltanto. Ma mi piace pensare che il vero scrittore dovrebbe essere totalmente indipendente da tutto ciò che è esterno alla sua scrittura. Ammiro una figura solitaria come quella dello studioso Andrea Emo, un buon conoscente di Cristina Campo, che ha studiato e scritto tutta la vita, senza pubblicare una riga. E’ quel nobile senso della sfera privata come una scelta privilegiata, così lontana dal voler essere pubblico come una rana che regna oggi. A volte non è facile, ma bisogna stare attenti e tenersi pronti a combattere quella versione meno degna di se stessi che, nonostante tutto, sarebbe pronta a esibirsi per quattro soldi e due lusinghe sul pubblico mercato.

Ma è facile dire quando non si è mai stati tentati.

Non sono tanto d’accordo con il e non indurmi in tentazione. Credo che si dovrebbe pregare al contrario: per favore, inducimi in tentazione – affinché io possa sapere chi sono in verità.


DOMANDA. Vuole aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non le hanno mai posto e alla quale vorrebbe invece dare una risposta?

RISPOSTA. Ciò che ho amato a 14 anni e che amo tuttora è quel momento in cui ho la sensazione di aver afferrato e trasformato un pezzo di vita o di realtà in una parola o in una frase o in un verso. Mi sento una specie di divinità, capace di guardare più in profondità, di trasformare o, detto più precisamente, ri-creare il mondo. Ma per fortuna quest’attimo dura poco. Guardo me stessa assai imbarazzata e mi dico: vedi, è esattamente quello che devi superare…

*

Grazie Stefanie.

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