L’autore qui intervistato è Federico Zucchi, primo classificato al Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, IV edizione 2018, nella Sezione A (Poesia) con “Strade tagliafuoco”.
Ciao Federico, chi sei? Come ti presenteresti a chi non ti conosce?
Buongiorno, ho 38 anni, lavoro come insegnante alle scuole medie, scrivo quando riesco, mi ostino a giocare a calcio nonostante gli acciacchi e cerco di tenermi più vicino possibile a quanto amo di quello che c'è.
Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?
I primi libri che ho amato sono stati “La Guerra dei bottoni” e “I Ragazzi della via Pál”. Ricordo ancora oggi le emozioni che ho avvertito, il desiderio di correre incontro alla vita insieme ad amici selvaggi per cui si è pronti perfino a morire. Altri autori che mi hanno segnato sono sicuramente Dostoevskij (i fratelli Karamazov sono sempre avvinghiati all'atrio sinistro del mio cuore), Tolstoj, Melville, Faulkner, P. Roth, Buzzati, Fenoglio, Camus, V. Llosa… potrei continuare.
Ho iniziato a leggere poesia alle superiori nascondendo vecchi e ossuti volumi dietro quaderni di algebra e trigonometria. Sono stati e sono molto importanti per me Garcia Lorca, Emily Dickinson, W. Whitman e poi Derek Walcott, Ghiannis Ritsos, Zbigniew Herbert, Osip Mandel'štam, W.H.Auden…
E non posso dimenticare le poesie in friulano di Pasolini e i libri di P. Cappello…
Non so come queste letture influenzino la mia scrittura, sicuramente sono presenze, a volte dense quasi quanto un ricordo di infanzia che galleggia in un pomeriggio ventilato di giugno.
Secondo te quale utilità e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?
In un'epoca come questa, dove funzionalità, procedure, efficienza, trasparenza, visibilità sembrano essere i nuovi comandamenti (ma si continua a morire sotto bombe opache e quasi anonime), lo scrittore dovrebbe forse ricordare a tutti che le cose importanti sono sempre le stesse: l'amore, un certo modo di ricevere e dare luce, la preparazione impossibile agli addii, la morte, il contatto con la natura, il modo con cui indossiamo la tragica bellezza della vita, come sbarchiamo il lunario, la libertà, gli spioncini invisibili con cui il mistero ci parla. Ecco, credo che oggi questo sia fondamentale: ridare alle cose il loro peso, ridare alle parti il loro Tutto. Non trattare le storie come se fossero conchiglie divise per sempre da un accesso al mare. La nostra psiche è a rischio implosione, sottoposta a infinite sollecitazioni sempre più invasive, ma in fondo quasi sedata, depressa, distolta da quanto davvero riluce. Se una storia, una poesia, riescono a riportarci a casa nel mondo, a farci riscoprire il magnifico nesso che collega tutti gli esseri viventi, allora siamo di fronte a un piccolo miracolo. Sottrarci alla cattiva solitudine, questo può fare la letteratura
Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittore, breve o lunga che sia? Gli incontri importanti, le tue eventuali pubblicazioni.
Ho iniziato a scrivere perché la realtà a volte mi commuove profondamente e la scrittura mi permette di salvare ed esplorare queste emozioni in differita. Poi ci sono tanti altri motivi, insieme profondi e banali: lenire un dolore profondo, conoscere una ragazza dagli occhi di brace, tenere a mente l'esatto ritmo di una mattina o la formazione di una remota squadra di calcio.
Adesso scrivo nelle pause dal lavoro, di solito il venerdì.
Ho pubblicato due libricini di poesie: “Nel mare non manca nessuno” e “Dinamo Isba”. Spero possa uscire presto il terzo, vedremo.
Come avviene per te il processo creativo?
Attendo che sia la realtà a parlarmi, perché la poesia non è nostra e noi possiamo solo approfittare dei varchi che a volte si aprono nel mondo e ci invitano a condividere il processo creativo. Quello che cerco di fare è allenare lo sguardo, non addormentarmi in una visione del mondo troppo confortevole e mai provocata, camminare in campo aperto anche se piove. Allora prima o poi un animaletto esce dalla tana, un temporale si trasforma in neve, una piuma si posa su una casa diroccata, una bocca si apre verso un torrido bacio, una voce chiede un'ultima carezza nel reparto di rianimazione. Probabilmente, proprio in questo momento, in un disadorno garage del mio quartiere, qualcuno sta costruendo un'altalena con pneumatici usati del secolo scorso.
Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi con la tua scrittura?
Non ho obiettivi precisi. Mi piacerebbe che chi leggesse quello che scrivo sentisse una piccola scossa di intensità di vita da poter usare come meglio crede. Per respirare meglio, per accendere un piccolo falò nel gelo della stanza, per uscire allo scoperto della propria ispirazione. Forse chiedo troppo, ma non riesco a pensare a qualcosa di diverso.
Secondo il tuo punto di vista, o anche secondo quello di altri, che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?
Non ho mai riflettuto su questo, né ho avuto grandi riscontri da altri critici o scrittori.
Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Nel corso degli anni hai notato una evoluzione nella tua scrittura?
Credo che alcune ossessioni ci siano: il saccheggio della perdita, la morte che arriva nell'estate dell'infanzia, il possibile colloquio tra i vivi e i morti amati, il mare e i boschi salendo in montagna, la bontà minuta non premeditata, il desiderio che denuda le caviglie dell'estate, la presenza di un interno più divino.
Non è da molto che scrivo con costanza, credo che la scrittura segua la mia vita, a volte pare ampliarsi al vento, a volte sembra trincerarsi in difesa di una linea.
Non credo alle scuole di scrittura, le storie vere nascono dai segni che la vita ci lascia (e anche dalle sue amputazioni).
Hai partecipato al Premio Babuk nella sezione Poesia, scrivi anche in prosa? Se no, pensi che proverai?
Ho scritto qualcosa in prosa, ma poco e male. Un giorno mi piacerebbe trovare il tempo e il passo per scrivere una storia di lungo respiro. Una storia con personaggi che contengano il sapore degli ulivi centenari.
Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?
Molto. Il Friuli Venezia Giulia è una regione bellissima. Il mare e le montagne sembrano essersi appena staccati e in certi giorni si chiamano dai moli, dalla pianura in battuta di sole, dai più riposti passi alpini. Certo, ci sono anche l'asprezza, il silenzio indurito, la valle in ombra perenne, le zone industriali in stato di amianto, ma dentro di me prevale un sentimento di meraviglia per quanto attraverso ogni giorno. E quando la luce si stende sul litorale, ti accorgi di essere a Oriente.
Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittore si trova a cavallo di due mondi?
Se fossi posto a guardia del confine tra Realtà e Immaginazione farei un pessimo servizio. Non saprei tracciare un margine di frontiera, tanto mi sembra che tutto sia compenetrato. La realtà ha bisogno di vivificarsi nelle immagini e l'immaginazione per avverarsi ha bisogno di un tempo in cui incarnarsi. Quando questa danza funziona, tutta la sala da ballo è attraversata dall'applauso.
Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?
Non ho molti lettori. Degli amici, chi mi vuole bene, qualche sconosciuto che mi legge un po' per caso. Vedremo in futuro.
“Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?
Penso che sia vera. La letteratura ci rende più vasti e nello stesso tempo ci dona lenti interiori per medicare la cecità. E a volte quando alziamo gli occhi dal libro è come se qualcuno ci avesse tolto una benda e il nostro nome apparisse più chiaro e il senso si facesse strada dentro di noi quasi senza attrito.
Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura? Hai mai fatto interventi critici, hai scritto recensioni di opere di altri autori?
Non ho mai fatto interventi critici o scritto recensioni.
Nel valutare un testo per me è importante la sua capacità di far risuonare qualcosa che giace addormentato nella mia memoria, qualcosa di vero e silenziato. Non mi piace la retorica, l'effetto esibito, il desiderio di compiacere. Mi piace un testo quando mette in scena la realtà senza sottometterla al culto di un'idea o alla disciplina di un'intenzione. Un testo riuscito, a mio parere, nasce sempre da uno scontro a fuoco di tensioni diverse che va lasciato raffreddare con ardore (senza spegnere il fuoco).
In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?
Qualche lacrima versata, credo.
C’è una critica “negativa” che ti ha spronato a fare meglio, a modificare qualcosa nella tua scrittura al fine di “migliorare”?
Forse quella di limare, di togliere, di chiamare ogni tanto la signora delle pulizie a togliere le ragnatele, gli stucchi, la puzza di sigaretta, l'odore di chiuso dalle parole. Non sono molto bravo a ridurre all'osso, a scarnificare.
A cosa stai lavorando? C’è qualche tua pubblicazione in arrivo?
C'è una raccolta di poesie in attesa di un editore. E poi ci sono le piccole storie che con pazienza raccolgo ogni giorno e solo in parte riesco a scrivere.
Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?
Amo leggere, ascoltare musica, andare al cinema. Negli ultimi anni ho camminato moltissimo in giro per L'Europa, zaino in spalla, il sole sulla testa, la natura che ti fiancheggia e quasi ti incorpora. Senza dimenticare il gioco del calcio.
Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale e artistica italiana?
Ringrazio molto la Giuria del Premio “Il Giardino di Babuk” e la redazione de LaRecherche.it per l'impegno e la passione che dedicano a questo progetto. Ho partecipato perché, pur essendo una persona che ama scrivere in solitudine e fatica a partecipare ad eventi letterari, a volte è bello condividere e confrontarsi con altri autori. Un premio per me significa che qualcuno è riuscito a riconoscere nella mia scrittura qualcosa degno di attenzione. Cosa che naturalmente mi fa piacere. Non so bene che ruolo abbiano i premi letterari nella comunità culturale italiana, possono essere occasioni per discutere e farsi conoscere, ma anche trappole di conformismo.
Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?
La rete è piena di occasioni e di insidie. Credo che sia importante maneggiare con molta attenzione la libertà che ci offre la tecnologia. C'è sempre un lupo in agguato nei giardini senza apparenti inferriate. Se fosse per me sceglierei sempre la carta. Detto questo, dobbiamo abitare il presente e la rete spalanca anche grandi opportunità. E per chi vuole scrivere in libertà ci sono spazi molto belli come appunto LaRecherche.it.
Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?
Ho già detto troppo. Un caro saluto a tutti e grazie per questa possibilità.
Grazie, Federico.