Circe: Discendente d’Oceano, m’affido messaggio
alle correnti di marea che nei vortici ambigui
trovino la mia voce coerente.
Sì, nobile in forme, ebbi residenza
in mia quasi magica dimora, mia somiglianza d’un me,
esteta in stili che preludono al Liberty. Le belve
che lì pascolano, alludono dignità d’un gusto alto (altro)
innato in gesti e l’orpello è il mio ninnolo più innocuo.
I veli che mi involgono son lo strato del lieve, la ricerca
dell’incorporea mistica mentale che non tocca religioni.
Son donna-giunco, lieve nel fine obliquo che condivide
pienezze. Una mandria di porci urlanti venne all’isola
già trasformati per mia sofferenza, ebbri per vita. Feci
buon viso al lor cattivo gioco e, m’addentrai, ferita,
in soluzioni. Solo Odisseo mostrò temperamento
e m’usò per conoscenza d’un mondo a lui precluso.
Poi se ne andò, così, più colto forse,
sempre lasciando dietro, sempre in fuga,
il mito dell’alcova ritrovata quando giunge vecchiezza
Per mia difesa, fui generosa e lungamente accolsi
corpi e umori. Quando partiste, furon clamori
e danze liberate restando quel sollievo senza cenno
(solo restò quel pianto di bambino). Ripresi il canto
e la tela lucente, finalmente, strappata ai fili, in danno.
Velocemente in fondo portiamo verità
sempre in contrasto d’un freddo-caldo
dentro la natura, in dettame di ciò che non è detto
da parola e dal doppio nel perturbato Mito
di Circe e la sua violazione