Alessandro tornava guidando piano per evitare di finire dentro una voragine piena d’acqua. Professore emerito, a soli cinquantaquattro anni, sentiva ancora riecheggiare nella testa i punti salienti della sua ultima, magistrale, lezione. Aveva introdotto l’argomento della possibile coniugazione tra fede e ragione partendo dalla proibizione, subita da Teilhard de Chardin, di scrivere libri su argomenti non scientifici, di affrontare temi di carattere teologico, filosofico o, semplicemente, religioso.
L’espressione, un po’ bovina, dipinta sulle facce dei suoi studenti non lo aveva debitamente gratificato ma, di certo, non aveva neppure intaccato la sua immensa autostima né la convinzione che un mondo pagano ed agnostico dovesse, suo malgrado, confrontarsi con tali temi e, tanto più, in un’aula della facoltà di filosofia.
Scuoteva la testa, mentre cercava, intorno all’isolato, un posto per parcheggiare l’auto sebbene non fosse certo lo stressante rito serale a disturbarlo. Come si potevano archiviare così, senza troppo riflettere, domande sull’esistenza di Dio, sulla trascendenza, sulla sua immanenza. Eppure quella era Roma, quella stessa città che, nel bene e nel male, poteva essere definita la culla del Cattolicesimo. Ripensava alle conversazioni con sua moglie, ricercatrice precaria ed attualmente disoccupata: quante ore passate a disquisire su creazionismo e evoluzionismo, sulla necessità, ancora attualissima, di superare fanatici dogmatismi per scardinare i pericolosi dualismi che relegavano l’uomo in un superficiale agnosticismo od in religiosità di facciata o, peggio, in ottusi fondamentalismi.
Mentre, finalmente, innestava la retromarcia per accostare al marciapiede, già pregustava una delle loro “serate” speciali quando, accoccolati sul divano del soggiorno, fieramente orfano di televisione, avrebbero a lungo parlato, alzandosi solo per prelevare un testo dagli scaffali o preparare una fragrante tisana.
Non prese l’ascensore: si sentiva, malgrado l’ora tarda, giovane e pieno di energia. Fece i gradini a due a due e, giunto al pianerottolo con un filo di fiatone che conclamava le sue pessime abitudini sedentarie e quei cinque chili di troppo, pigiò energicamente sul campanello.
Niente: nessuna risposta. Anche se era inusuale che Giovanna non fosse solerte nell’aprirgli la porta e le braccia, non si allarmò più di tanto: forse, era al telefono. Cercò le chiavi nella cartella in cuoio naturale che, malgrado il più che considerevole numero di borse regalategli negli anni, mai avrebbe sostituito e aprì l’uscio.
Nella casa, illuminata e impregnata da un buon profumo di ciambellone, il silenzio regnava sovrano. Giovanna doveva essere sotto la doccia. Gettò giacca, borsa ed ombrello sulla cassapanca dell’ingresso e si diresse con passi sicuri verso il bagno, ben deciso, sempre grazie ad un filosofico convincimento, a godere della visione di una meraviglia del creato quale era, ancora, il corpo della sua compagna, a dispetto della incipiente maturità.
Lo spettacolo che gli si parò davanti, spense l’ardore insieme al sorriso.
“Giovanna, cosa ti è successo?”
La donna, seduta sul bordo della vasca, proprio accanto al water, con aria sconsolata, rispose:
“Ho perso la fede!”
Alessandro si sentì peggio di Galilei di fronte ai giudici, con in testa calcato un cappello con orecchie da somaro.
Malgrado lo sgomento, prevalse il suo indefettibile ego.
“Amore mio, ma cosa dici?” - domandò, muovendosi, dato l’olezzo poco gradevole che impregnava la stanza, verso il pulsante per scaricare lo sciacquone – “La fede non si perde: a volte si nasconde ai nostri occhi, sembra abbandonarci ma è lì, al suo posto.”
L’acqua scrosciò nella tazza mentre sulla faccia di Giovanna si dipingeva l’orrore. Il professore vacillò di fronte a quel viso deragliato neanche fosse l’urlo di Munch.
Si sentì prendere dalla rabbia ed, abbandonato il suo consueto fair play, le si fece innanzi sibilando:
“La fede si perde così? Un click, l’interruttore si spegne e tu resti al buio?”
Giovanna, rimase seduta al suo posto, le braccia lasciate scoperte fin oltre il gomito e le mani ancora infilate in un paio di guanti di gomma: il volto si era ricomposto, anzi, illuminato di un baluginio ironico e, stranamente, soddisfatto.
“No, Alessandro, hai ragione tu: non è persa. Presumibilmente la mia vera nuziale, grazie al tuo pronto intervento, ora si trova nel Tevere e, chissà, forse la inghiottirà un pesce o s’arenerà alla foce. Ma, ti prego, prendila bene: avremo da discutere questa sera sul valore dei lemmi. Che ne dici: etimologia al posto di filosofia?
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