Pubblicato il 26/04/2009 17:51:27
Ho nel torace un cavallo zoppo. E’ stata lei a scoprirlo posando l’orecchio sul mio petto, come fa ogni volta che non ha voglia di dormire. Da allora, di notte, se mi sveglio, il mio polso è tra le sue bianche, fosforescenti dita che misurano i battiti del cuore. Al mattino, ai piedi del letto la sua immobile presenza nella vestaglia rosa di cotone armata di fonendoscopio che aspetta il mio risveglio. Così conobbi i tortuosi percorsi degli Enti Ospedalieri, i bianchi ambulatori dei cardiologi amici: ecografia, elettrocardiogramma, sorvegliato speciale per ventiquattro ore, analisi del sangue, se sangue m'era rimasto nelle vene. So che il problema è risolvibile! Ora che il tempo mite lo concede, la passeggiata per le vie del centro a passo svelto, sui prati di periferia popolati da cardiopatici sopravvissuti a se stessi e da quelli che fanno la corsetta per allungare la vita di mezzora, la pastiglietta al mattino o dopo cena e peggio ancora la dieta… ma non crediate che mi spaventi il pensiero che quel cavallo un giorno s’addormenti sazio di biada, non temo la morte, da troppo tempo intrattengo con lei un’affettuosa corrispondenza. Temo il proseguo come un vegetale, immobile, incosciente, da cui i parenti in visita attendono un sorriso, un ruotar d’occhi, un pianto. Trafitto da cannette in tutti gli orifizi, ingozzato dal naso con quella che chiamano “Terapia nutrizionale” che per legge non si può negare, alla quale tutti volenti o nolenti dobbiamo sottostare. Confido che in quel giorno io sia assai lontano in un paese, in una dimensione negata a qualsiasi legge umana. Lascio a coloro che mi amano il potere, quando lo vogliano, di spegnere la luce.
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