La madre consacrante
Sto davanti al mare
che rotola e rotola nel suo sangue verde
dicendo, «non abbandonare un dio
perché io ne ho una manciata».
Gli alisei soffiavano
nella loro inversione a dodici dita
e io semplicemente stavo sulla spiaggia
mentre l’oceano faceva una croce di sale
e appendeva gli annegati
e loro gridavano Deo Deo.
L'oceano li offriva in sacrificio secondo l'umore della sua potenza.
Io volevo partecipare
ma me ne stavo sola come uno spaventapasseri rosa.
L’oceano inghiottiva e soffiava vapore,
l’oceano boccheggiava sulla riva
ma io non riuscivo a definirlo,
non riuscivo a dare un nome al suo umore, alle sue smorfie oscure.
Al largo lui rotolava e rotolava
come una donna in gestazione
e io pensavo a coloro che l’avevano attraversato
nell’antichità, per arte nautica, per schiavitù, per guerra.
Immaginavo come avesse portato quei bastimenti.
Doveva essere penetrato pelle a pelle,
e indossato come il primo o l’ultimo abito,
entrando in ginocchio come in chiesa,
discendendo in quell’ascensione,
per quanto fosse scivoloso come olio d’oliva,
mentre cavalca ogni onda come un ladro di bianco.
La grande profondità conosce la legge quando porta il suo cappello grigio,
anche se l’oceano viene come è suo destino,
con le sue cento labbra,
e alla luce della luna viene nella sua nudità,
seni balenanti fatti di acqua lattea,
natiche balenanti fatte di insopprimibile brama,
e di notte quando la penetri
risplendi come un soprano al neon.
Io sono quel goffo umano
sulla riva
che ti ama, che viene, che viene
che va,
e desidera schiacciarti sotto il pollice
come Il Canto di Salomone.
[ Traduzione di Marina de Carneri, tratta da Una come lei – e altre poesie, Via del Vento, 2010 ]