Stanza di polverosa luce, ombre
accalcate tra stremati oggetti
piangono arie tristi, senza denti:
contano quando, brillante ancora
il giorno e senza fine, scivolavi
la sera in uno specchio - pensavi
strade sconfinate - se calpestando
aperte crepe o in dolorose forre
già cadendo - raggiavi una sorgiva
fonte, tua gioia e tua ventura.
Eri sorriso mutilato e vago,
frumento offerto sulla pietra,
altare in dono eccelso per gli dèi.
Crisalide in teca di salvezza
con ali già mozzate per il volo -
bagnavi le fiamme di silenzio,
tingevi trompe l'œil sul tuo viso.
Tuffarti verso il basso
nel ventre delle cose,
raccogliere conchiglie
nel cuore della terra -
riemergere te stessa
nel cavo della mano.
Ti chiama ancora l'eco,
la voce del tuo dio -
rispondi alla sua bocca.
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