Monologo sulla strage degli innocenti
Un piccolo mazzo di fiori, un bisbiglio tra noi che restiamo e voi,
dovunque voi siate, vittime innocenti, perdonateci.
Chi rimane è sempre colpevole, ci lasciate questo tormento,
di sentirci oscuramente colpevoli
e non sappiamo di che.
Sappiamo che la vostra morte ci pesa,
questa terra dove si muore per caso,
senza ragione, e ci sgomenta, ci manca il respiro
e non sappiamo da che parte guardare.
Non sappiamo come prendere questo mondo in preda al caos,
stupidamente feroce,
presidiato da cervelli ottenebrati, estranei alla vita dei popoli, senza patria,
che impongono l’odio e la vendetta, che decidono chi deve esistere e chi no.
Se poteste vederli ora dopo che i vivi sono morti non piangono,
invocano la misericordia di Dio, che stia solo dallo loro parte,
sono accorati, pregano,
ma mentre pregano proclamano che come si è fatto
così si farà.
Altre vittime innocenti, perdonateci, ma anche voi siete colpevoli,
voi figli di nessuno, gentucola, massa,
semplici padri di famiglia e madri che tribolano per i figli,
che li vogliono allegri e speranzosi, e le mamme che se li guardano,
li puliscono bene, li pettinano, per farli più odorosi e più belli, bambini
che semplicemente giocano fanno i compiti e mangiano pane e latte.
Cento mille un milione, chi vi conosce, che avete fatto nella vostra vita?
Niente, solo faticare, rendere più prosperosa la terra, più rigogliosi i campi,
più accoglienti i vostri piccoli paesi, più serena la casa.
E poi? niente, combattere con la miseria, i soprusi quotidiani, l’umiliazione,
l’acqua che manca, il cibo, i bombardamenti, le case distrutte, la fuga.
E poi? niente, solo qualche speranza, e qualche volta immaginare un mondo
più giusto, e niente più.
Peccato, potevate essere spietati menzogneri spergiuri truffatori ladri assassini, protetti dalla forza e dalla legge del più forte,
e invece vi siete trovati in un posto sbagliato,
in un tempo sbagliato, dalla parte sbagliata.
Male per voi, il lutto dura tre giorni, e poi il silenzio, non v’illudete,
i libri di storia non parleranno di voi, faranno nome e cognome dei sanguinari,
fama e gloria ai cinici, agli sprezzatori della vita,
ai malfattori di ogni latitudine.
Di Jack lo squartatore sappiamo tutto, degli squartati niente.
Che possiamo dirvi di più?
Vi possiamo dedicare l’immagine dell’asinello iracheno,
quello che ha trasportato le bombe,
abbandonato in mezzo alla strada
fermo a capo chino dopo la strage,
aspettando qualcuno che lo riporti alla sua natura di creatura inerme, generosa,
qualcuno che lo conduca all’umanità della sua stalla, a riscaldare ancora una volta
il corpo nudo di Gesù Bambino.
Nicola Lo Bianco
(sett. ’03)
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