Vecchi, misera cosa è la vita: il massimo bene che può donarti consiste nel passare dal giorno alla notte senza patire dolori.
La tragedia di Euripide, Eracle, databile tra il 423 e il 416 a. C., mostra l’eroe più grande della mitologia greca e del mondo dorico, in particolare, travolto dalla follia devastante. La fragilità dell’essere uomo è al centro dell’indagine psicologica di un Euripide, il più curioso tra i tragici greci dei meccanismi della mente e della psiche. Il tragediografo nel corso della sua carriera tende a rappresentare le versioni meno note del mito e a riscriverlo secondo nuovi intenti e significati, come succede per l’Elettra e le Fenicie.
Mentre Eracle è lontano da Tebe, impegnato a portare il cane Cerbero dall’Ade, il tiranno Lico si è impadronito del potere regale ( dopo aver ucciso il re Creonte, padre di Megara, la moglie di Eracle) e intende eliminare i tre figli di Eracle, per evitare che, una volta divenuti adulti, vendichino il nonno materno. La famiglia dell’eroe, abbandonata da tutti, si è rifugiata presso l’altare di Zeus e si prepara alla necessità della morte, quando imprevedibilmente arriva Eracle, che tutti pensavano non sarebbe ritornato dall’Ade. Informato dei fatti, l’eroe uccide Lico.
In un attimo il dio ha ribaltato la sorte
di un uomo felice,
in un attimo i figli moriranno
sotto i colpi del padre.
L’eroe non è in grado di godere la serenità raggiunta a prezzo di fatica e sacrificio, perché Era, per pura vendetta, invia Lyssa, il demone della follia, a turbare la mente di Eracle, che ammazza, pensando siano i familiari dell’odiato Euristeo, la moglie e i figli. Solo l’intervento di Pallade impedisce l’uccisione di Anfitrione, colpendo Eracle con un macigno e un sonno profondo. Quando Eracle rinsavisce, si ritrova legato e davanti a sé la strage da lui compiuta: il sangue della moglie e dei figli che copiosamente dilaga. All’eroe crolla il suo mondo, per di più è stato lui il responsabile.
Il progetto di suicidarsi viene ostacolato dall’amico Teseo, giunto da Atene per soccorrere i parenti in difficoltà di Eracle. Alla vista dei corpi senza vita uccisi dall’amico, Teseo rimane prima sbigottito, poi prevale in lui la grande riconoscenza verso l’eroe per essere stato tratto in salvo dal regno dei morti. Teseo offre all’amico l’ospitalità presso la città di Atene e, dopo aver impartito ad Anfitrione l’ordine di seppellire i suoi cari, Eracle si incammina dietro Teseo “ come una nave trascinata a rimorchio”.
Ho riscontrato nelle voci dei bambini che dialogano con la madre Megara, chiedendo notizie del proprio padre, un unicum nella tragedia classica, preludio alla letteratura ellenistica, assai vicina alla sensibilità infantile.
Fin dal prologo, affidato al padre di Eracle, serpeggia il tema della follia, scatenata dalla gelosia di Era per il tradimento di Zeus con Alcmena, la madre dell’eroe. La gloria e l’aura che avvolgono Eracle, l’eroe benefattore degli uomini, sono azzerate dall’incontenibile follia, che senza ragione spinge Eracle ad ammazzare i suoi cari. L’eroe grandioso, potentissimo è chiamato a vivere anche la parte più improponibile, fallibile, assurda e piccola di sé. E’ nel momento del dolore più devastante che Eracle si ritrova solo, fragile, abbandonato anche dagli dei, in balia di un destino, davanti a cui è costretto a soggiacere. Secondo la logica aristocratica, l’eroe deve morire per l’atto vergognoso che ha compiuto, e, in un primo momento, Eracle pensa vigorosamente al suicidio, come Aiace nella tragedia sofoclea. Poi, l’arrivo di Teseo sulla scena con la sua carica di solidarietà induce Eracle alla riflessione pacata:
Ho riflettuto: mi taccerebbero di viltà, se rinunziassi a vivere.
Chi non tiene testa alle sventure,
non saprebbe affrontare un nemico in armi.
Sopporterò di vivere.
La riduzione dell’eroe in una dimensione quotidiana si realizza nella volontà di Eracle a sopportare la vergogna commessa, ad accettare anche le zone oscure della propria psiche. Occorre maggiore viltà ad ammazzarsi che a continuare a vivere: una nuova logica eroica viene elaborata da Eracle che impara a convivere con il dolore, che strazia mente e corpo. La fuga da Tebe è di salvezza, Eracle abbandona il luogo che fino a quel momento lo ha accolto per andare incontro a un nuovo se stesso, che rinascerà in quell’Atene luminosa, in grado di purificare e di accogliere gli sbandati, gli infelici, i reietti.
Questa tragedia andrà in scena al teatro greco di Siracusa nel 2018; “Tiranno, eroe, governo: ascesa e declino”: eroe e antieroe, governatore e tiranno, spesso due facce della stessa persona, prestigio e potere che molte volte finiscono per ritorcersi tragicamente contro chi li detiene o rendono coloro che li possiedono dei fantocci ridicoli, seppur a loro insaputa. Sono questi i temi attorno ai quali il commissario della Fondazione Inda Pier Francesco Pinelli e il direttore artistico Roberto Andò, insieme a Luciano Canfora, hanno disegnato la stagione 2018 del Festival delle rappresentazioni classiche al teatro greco di Siracusa.
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