Francesca Borri è una giornalista di guerra, esperta del Medio Oriente, dove lavora come specialista dei diritti umani. Vive tra Siria e Iraq, occupandosi dei profughi. Alle Maldive, 1192 isole, ci va perché è il paese musulmano non arabo con il più alto numero pro capite di foreign fighters,vuole capire cosa determini questo incredibile dato. Le scoperte contenute nel reportage “Ma quale paradiso?” annullano i luoghi comuni su una terra che è forte attrazione turistica internazionale. Io mi addentro nel viaggio della Borri riportando eclatanti conoscenze e deduzioni. Alle Maldive il 5 per cento della popolazione possiede il 95 per cento della ricchezza. Dal turismo entrano circa 3,5 miliardi di dollari l’anno, ma è tutto di proprietà di quattro, cinque affaristi, vicini ai politici, e dei loro soci stranieri; è un sistema solido e alla popolazione maldiviana non arriva nulla. I giovani vivono di espedienti in gang malavitose, tossicodipendenti di eroina e colla, in case fatiscenti e maleodoranti, senza alcuno svago tipico della loro età, ecco perché andare a combattere in Siria contro Assad è considerata una grossa opportunità morale ed economica. Significa dare una direzione, un senso alla propria vita disastrata e storta, controllata dallo Stato. Nelle Maldive non è possibile manifestare dissenso nei confronti dei governanti o dichiarare di essere atei, perché l’Islam è la religione di Stato, solo i musulmani possono essere cittadini delle Maldive. Non si può avere un’altra religione né non averne.
Quando si pensa alle Maldive si ha subito l’immagine di un Paese con magnifiche risorse naturali e paesaggistiche, resort stupendi immersi in luoghi paradisiaci, con il clima di trenta gradi, che è costante per tutto l’anno: questo è il volto propagandato in tutto il mondo. Nella realtà le risorse esistenti sono distribuite male, pochissimi ricchi e moltissimi poveri senza più alcuna identità: non hanno più le abitudini culturali indigene ed hanno acquisito dell’Occidente solo le brutture e i vizi. Anche l’Islam di attuale osservanza non è quello delle Maldive di un tempo, ma quello imposto dall’Arabia Saudita, il Paese che finanzia scuole, ospedali, moschee, giornali. Le donne devono coprirsi totalmente di nero in pubblico, anche sulla spiaggia, asservite ai maschi della famiglia e all’Islam.
Dal 2013 il presidente delle Maldive è Yameen, in teoria nelle Maldive vige la democrazia, nella realtà il potere è nelle mani degli affaristi ricchissimi, ai quali fa comodo che la maggioranza della popolazione sia povera, ignorante e vada a combattere in Siria. Dunque, la povertà ha ragioni politiche precise. I giovani vanno in Siria in cerca di un lavoro e di una identità. L’alcool, il divertimento, fare sesso fuori dal matrimonio sono proibiti, ma nei fine settimana chi può permetterselo va in Sri Lanka e dimentica di essere un vero musulmano; l’ipocrisia, la doppia facciata imperano. Chi si ribella al sistema, del quale sono compresi anche i giudici, è aggredito, malmenato, percosso ed eliminato, come è successo a Rilwan, un blogger laico, di cui non si sa più nulla dal 2014, volutamente, perché nessuno ha mai indagato.
Le Maldive dei maldiviani sono completamente diverse da quelle dei turisti stranieri, sono Male, la capitale, dove ci sono solo cemento e violenza. Nessuno si può permettere di occuparsi di politica o di Islam, tutti hanno paura, esclusi dalla società desiderano avere una vita diversa, anche morire è preferibile a ciò che sono costretti a vivere: ingiustizie e violenza. Anche un bambino può comprendere le motivazioni che spingono i giovani senza un lavoro, con un presente precario e senza futuro a volersi arruolare in Siria. Che le Maldive e non solo i giovani maldiviani siano senza futuro lo si evince dalle previsioni Onu, secondo cui il mare alla fine di questo secolo salirà di 59 centimetri e sommergerà interamente le isole. Quindi, tutti alle Maldive perderanno tutto. Un popolo dal destino segnato, una terra che non esisterà più, sono allo sbando completo.
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