Pubblicato il 03/06/2009 00:06:00
Qualcosa di misterioso si aggira per Roma e, forse, in tutta l’Italia, se ne conosce solo il nome: Troga. Per il commissario Pantieri quel nome è portatore di sventure, per cercare di capire cosa sia indaga caparbiamente, ma tutti gli sono contro, compresi i due magistrati, Biraghi e Conti, che dovrebbero essere dalla sua parte. Unica spalla quella di Mirella, moglie di un misterioso personaggio, molto coinvolto nella vicenda, nonché unica donna del Pantieri, dopo che la moglie, traditrice, è spirata. Nel bel mezzo delle indagini il commissario viene anche arrestato ma, grazie ad un provvidenziale attentato riacquista la libertà. Questi alcuni punti salienti della trama, che in realtà, è assai più intricata, tutti sembrano colpevoli, o forse innocenti, tutti amici o forse solo acerrimi nemici che tentano di salvare le apparenze. Addirittura un politico viene rapito, forse ad opera di un collega di partito, e qui si avverte forte l’eco dei fatti di quegli anni, ed altro rimando forte e tangibile con la realtà che ancor oggi ci accompagna è la Troga medesima, il cui nome potrebbe avere un significato oppure essere la narcisistica firma del creatore, ma che sicuramente ha nel suo dna, ben peggior loggia segreta che ancor oggi tesse le sue trame. Un paese, il nostro, immaginato, o pre-visto, quasi come un non luogo, un non esistere, se non come teatrino per misteriosi trafficanti a caccia di voti, danaro, potere, uno stato nel cui ventre molle si agitano spaventosi vermi di putrefazione in luogo di degne creature al servizio dello stato medesimo. Lentamente, ma inesorabilmente, nella narrazione vengono alla luce complicati intrighi fra banchieri, politici, poliziotti e magistrati, e sopra questi paesaggi umani variabilissimi unica costante il cielo di Roma, sempre cupo e minaccioso, spesso gravido di pioggia e sul quale di tanto in tanto transita sinistro uno stormo di neri dirigibili. Il libro, all’epoca della pubblicazione – il 1988 – poteva forse sembrare provocatorio o addirittura pessimistico ma, come si sa, la realtà supera la fantasia, di tutti gli intrighi narrati nel romanzo ormai sono pieni i quotidiani, di corruzione, collusione, trame misteriose, sovvertimento, si parla tutti i giorni, come, ahimè, di fatti normali, così come si parla del tempo. Rugarli aveva immaginato una società corrotta che si inventa quasi per noia una potente organizzazione segreta, la quale poi sfugge di mano ai creatori e si aggira nella società come misteriosa belva, capace di divorare la giustizia e la legalità. Oggi, purtroppo, questa belva è allevata e coccolata da molti, e si aggira alla luce del giorno, indisturbata, talvolta protetta, ma all’epoca dell’uscita del libro era solo una ipotesi, una probabile piega che avrebbero potuto prendere gli avvenimenti, e qui sta il primo dei grandi pregi dell’autore, aver visto lontano dentro i fatti quotidiani, aver costruito una storia assolutamente plausibile nel contenuto, leggendo i primi segnali che si udivano allora nell’aria. Suppongo che il rapimento di un noto politico abbia avuto congrua parte nella creazione dell’intreccio, ma molte parti sono nate dalla lungimiranza dell’autore. Ma il valore di un romanzo è altro che la verosimiglianza con la realtà, è nel modo in cui è scritto, e qui siamo di fronte ad un libro scritto con mano eccezionalmente felice, Rugarli tesse e ricama con ogni singola parola, che immagino soppesata e misurata prima di essere messa nella narrazione, tanta è la precisione e la evocatività che rappresenta. Il linguaggio del Rugarli è a mio avviso una delle migliori espressioni della letteratura italiana di questi ultimi vent’anni, l’autore gioca con le parole, usa aggettivi che riescono a rappresentare perfette sfumature di colori, così come stati di animo, le descrizioni dei luoghi in cui si svolgono le azioni sono acquarelli mirabilmente precisi, ma densi di rimandi ad altre dimensioni visive. Un linguaggio che come spesso in Rugarli riecheggia gli accenti del Gadda, tant’è vero che da critici ben più autorevoli è stato scorto un parallelo tra il Pantieri e l’Ingravallo di gaddiana memoria. Un libro davvero bello, nella sua struttura teatrale (prologo, tre atti ed epilogo), con colonna sonora di Čajkovskij, amato dal Pantieri ed un finale a sorpresa da cui riguardare gli anni passati e avere l’impressione che il commissario Pantieri ci dica “ve l’avevo detto…”.
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