Pubblicato il 20/02/2011 23:56:45
IL CROLLO DEL MURO ARABO di Ulrich Beck Cos'hanno in comune la rivolta in Tunisia e quella in Egitto con il crollo del muro di Berlino? Non è accaduto soltanto qualcosa di imprevisto e imprevedibile, ma anche qualcosa di inimmaginabile. “Follia" è la parola che allora e oggi esprimeva ed esprime il crollo delle certezze. Chi avesse predetto che due regimi autoritari del mondo arabo sarebbero caduti e che gli altri avrebbero vacillato, sarebbe stato considerato pazzo. Finora in Occidente si era ritenuto che ci si potesse attendere il mutamento politico soltanto dall'alto, il colpo di Stato di regime, o, nel caso peggiore, da parte dei movimenti degli islamisti fondamentalisti. Ammettere solo queste due ipotesi ha impedito agli esperti di politica di cogliere ciò che andava diffondendosi: il contropotere, non ideologico ed espresso dalla società civile, di una nuova generazione collegata in Rete a livello globale, che era considerata nel tutto "impolitica" . Mai giovani del Cairo sono riusciti a penetrare dal mondo virtuale nella realtà politica. Si tratta di una rivoluzione di tipo nuovo. Sono state le contraddizioni in cui si è impigliato il regime autoritario di Mubarak con la sua politica di modernizzazione ad aprire la strada a questa rivolta inimmaginabile. Già nel 1997 Mubarak aveva esortato gli egiziani a sfruttare le nuove opportunità di Internet. Voleva fare dell'Egitto il modello di una moderna società del sapere nel mondo arabo. Dopodiché si cercò sempre di risolvere con mezzi autoritari la contraddizione tra la libertà di navigare in Internet e la censura sulla stampa. Si tratta di un "incendio di vaste proporzioni"? La rivoluzione araba è dunque un "rischio globale" - come quelli rappresentati dall'11 settembre, dalla crisi finanziaria o anche dal mutamento ambientale? Da essa può partire una frana politica che minaccia l'intera regione arabo-israeliana o addirittura l'ordine mondiale? La rivolta araba può anche essere un "terremoto" politico, ma non è un evento naturale: nasce dal coraggio di persone che nella loro disperazione sono riuscite a vincere la paura. Nel caso della rivoluzione araba si tratta di insurrezioni contro regimi autocratici; come quelle avvenute con la rivoluzione francese, la rivoluzione americana o la caduta del muro di Berlino nel 1989. A ragione la cancelliera tedesca, Angela Merkel, cresciuta nella Ddr, di fronte alle dimostrazioni pacifiche del Cairo ha ricordato le Montagdemonstrationen, le dimostrazioni pacifiche che hanno contribuito a abbattere il regime comunista. Si può riconoscere tutta una serie di paralleli tra il 1989 europeo e il 2011 arabo: in entrambi i casi si tratta in primo luogo di rivolte non violente, in secondo luogo di catene di eventi transnazionali, e – terzo - in entrambi i casi i regimi avevano/hanno fatto bancarotta. In quarto luogo, i cittadini della Ddr si vedevano privati delle opportunità di vita, così come la gioventù araba, che a dispetto della buona istruzione si trova chiuse le porte del mercato del lavoro. In quinto luogo, là come qui la gente vuole la stessa cosa di gran parte delle persone dell'Occidente: una vita migliore, maggiore uguaglianza sociale, posti di lavoro e libertà di opinione. In sesto luogo, tanto nel blocco orientale europeo quanto nei Paesi arabi la religione crea luoghi di rifugio sociale nei quali la resistenza si è potuta organizzare. Tuttavia, in settimo luogo, c'è questa differenza fondamentale: il crollo del Muro di Berlino era stato salutato e festeggiato in tutto il mondo. Ovunque, in tutte le teste è in tutti i governi, l'alternativa politica era presente. Si trattava soltanto del "come", non del "se", arrivare all'integrazione dei Paesi e degli Stati post-comunisti nel sistema del capitalismo democratico. Invece, per l'Egitto manca proprio questa chiara alternativa. L'immagine del mondo arabo è cambiata Ci sono buoni motivi per ritenere che l'era del post-colonialismo, nella quale la "democrazia" araba aveva assolto alla funzione di rendere possibile il persistere dell'imperialismo occidentale, sia giunta alla fine. Si può intendere la rivolta araba anche come una paradossale protesta condotta nel nome dei valori occidentali contro il perdurante dominio dell'Occidente. Lo si può rilevare considerando il ruolo dell'esercito egiziano che ha avuto una parte decisiva nell'aprire l'Egitto al mercato occidentale, ma nello stesso tempo ha assicurato il potere autoritario di Mubarak contro le richieste di partecipazione democratica. Molti egiziani sono scesi in piazza non soltanto per conquistare la loro indipendenza dal rais. Essi manifestano anche per la loro indipendenza dagli USa e dai loro alleati. Una differenza essenziale tra il 1989 europeo e il 2011 arabo sta però anche nel fatto che l'Europa, bloccata e fuorviata dall'islamofobia, non vuole comprendere che (finora) c'è anche una serie di innominati perdenti della rivoluzione araba, ossia in primo luogo il fondamentalismo islamico - fino ad al Qaeda – e in secondo luogo il coro dei critici fondamentalisti del fondamentalismo islamico (in Germania Necla Kelek, Thilo Sarrazin e compagni). Non si tratta affatto di una rivoluzione teologica, ma demografica. Ciò che ha fatto battere il cuore di questa protesta non è stato l'islamismo radicale, ma la disoccupazione degli attivisti di Facebook, dotati di un alto livello di istruzione e connessi in rete. Guardate l'Egitto: non è una dimostrazione vivente della possibilità di unire l'Islam e i valori occidentali? (traduzione di Carlo Sandrelli) (la Repubblica 20 febbraio 2011)
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