Leggere questa raccolta di poesie di Conte è una bella esperienza. La sensazione che ho riportato, leggendo i primi testi, è quella di essere di fronte a una persona fervente, dinamica, solare, in lotta con le leggi di invecchiamento che la vita, alla quale l’autore si riferisce in continuazione come il tu del suo dialogare, vuole imporre ai corpi e alle vicende quotidiane. Leggendo la sua raccolta mi è venuto spontaneo pensare all’analogia tra la vita e un grande fiume alle cui sponde il poeta cerca di ancorarsi riuscendo, talvolta, a rimanervi saldo, a non scorrere con la corrente impetuosa verso la foce, ma, nonostante lo stringere i denti, ne è sopraffatto, e anche in questo scorrere, che in breve tempo lo avvinghia allontanandolo da quella che è la sua prestante giovinezza, il poeta riesce a gioire, a creare, a fare del suo andare con le acque il suo luogo di vita e a dialogare con il fiume stesso. Il poeta non è mai vinto dalla vita ma anzi vi sale in groppa come a un destriero e corre per i suoi vasti paesaggi: riesce a vedere i dintorni a coglierne la bellezza, a ricondurli al ricordo e a riviverli nell’esperienza della sua giovinezza: “Credevi di andartene, ma io / ti ospito troppo bene in un cuore / feroce e ragazzo, che niente ha domato, / che conosce troppo bene la tua carezza / e come rinasci fenice dalle tue ceneri”. Dalla poesia di Conte traspira un forte senso morale, il tentativo, la buona intenzione di una morale, ma, ahimè, è una bella lotta, c’è un bel da fare a vincere le proprie aspirazioni al piacere, alla caducità spicciola del pensiero e dei gesti, propositi di pochi attimi che ricadono nella sua gioia smodata per l’esistenza, accompagnata dai più belli e immediati intrattenimenti che la vita possa offrire. Il poeta è un uomo che conosce il soffrire e non ne è vinto e anzi lascia capire che egli proprio tutto ha amato della propria compagna Vita “i rami secchi e in fiore”, un uomo tenace “un uomo sempre offeso e mai vinto”, che ama la poesia e trova in essa la sua redenzione: “Questo il mio nuovo canto”. Egli cerca nel canto poetico di meditare, di concentrare le sue energie per riuscire a capire la strada da percorrere, la via di fuga che lo salverà ancora una volta dalla barbarie del tempo che tutto sbiadisce, e cancella il sogno tanto lusinghiero dell’amore: “E per te, Giuseppe, nel tuo inverno / quali sogni ti dicono che ancora / verranno primavere, verrà Amore? / Quali falò divamperanno, quali / torce accenderai per compiere / nel secolo che inizia / il cammino che ti rimane? / Quali sogni, quali stelle lontane?”. Ci sono poesie veramente belle che ridestano la forza di camminare nel quotidiano, nonostante il piattume del consumismo tenti si assuefarci: “Lo Spirito che ci genera / come uomini e ci dà il canto / ama la materia e il suo grembo / come l’amò all’inizio, quando / la penetrò con un moto / vorticoso e veloce / finché fu / luce”. E nonostante la vita sia alle volte implacabile, l’inverno, freddo e ingordo di luce, è il preludio ad una nuova primavera, ci dice “che è possibile riavere / dal niente forme, profumi, colori”; v’è sempre la speranza che solleva l’anima del poeta affranta dal tempo che inesorabile scorre portando con sé la giovinezza. Infine ci sono poesie immancabili per un poeta, quale Conte si presenta, in cerca del bene, poesie contro la guerra, contro la morte: “Ora so che la guerra è il disonore. / Non è mai giusta, non è mai utile. Non credeteci / quando ve lo dicono”. Qualcosa mi sento comunque di dirla a Conte, perché la perfezione non è di questo mondo, per quanto banale tale affermazione è quanto mai vera, mi pare che in certi tratti la sua poesia sia eccessivamente in corsa dietro le sue sensazioni, fatica a seguirlo, a correre appresso ai suoi slanci di vita, è alle volte più occupato a dialogare con la vita che non a prendere sotto braccio la poesia, sarà questo uno dei motivi per cui egli si sente un po’ traditore della poesia? “Ma ritorna, ritorna, Poesia. / Oso invocarti e sperare. / Seduto sulla sponda del torrente in secca ad aspettare / e ancora tra le rovine a cantare”. Ci sono alcuni versi che potevano essere semplificati. Ma d’altro canto queste critiche che ho in sordina mosso alla sua raccolta, sono anche ciò che danno merito a Conte rispetto a tanti complicati poeti che nell’eccessivo rigore diventano alieni ai più che vedono nella poesia qualcosa di limpido e, soprattutto, leggibile e comprensibile. Quindi questo è uno dei pochi libri poetici che consiglio di cuore anche a lettori meno esperti di poesia.