VATTENE DALLA MIA TERRA
-preghiera a S. B.-
Vattene dalla mia terra,
lasciala stare; vattene via, per favore;
lascia stare la mia terra,
abbandona la Gallura, per favore;
lascia che l’olivastro ed il lentisco crescano in pace,
senza l’offesa di quel tuo ghigno indecente,
senza la visione di quel tuo sorriso deficiente,
senza quelle parole tue, da demente.
Vattene, per cortesia,
tornatene ad Arcore, per favore;
lascia che il silenzio delle querce e del sughero
pianga la loro millenaria solitudine.
Lascia che le lacrime del granito
si posino ancora sulle asprezze diamantate dell’ulivo,
senza dover girare lo sguardo dall’altra parte,
per non sentire il puzzo della tua arroganza,
e non raccogliere nel loro cuore
le impronte del tuo fetido sudore.
Vattene dalla mia terra,
lascia le acque del Tirso e del Cedrino,
dimentica lo sguardo nero del mirto;
lascia che il muflone annusi il culo dei suoi cuccioli,
senza dover confondere le torri acuminate della Barbagia
con la cremagliera dei tuoi denti recintati dalla sporcizia.
Abbandona la mia terra,
lascia che il falco disegni i suoi gridi
sulle somme gaiezze del Gennargentu;
lascia che il cinghiale abbia ancora a correre,
senza dover inciampare
sull’oscenità calcolata della tua ferocia.
Vattene via,
non hanno bisogno di te le foche monache
o le corone dorate della ferula.
Non ti pensano i candelaus ed i crepuscoli umili della Marmilla;
non ti pregano, la sera, i tritoni ciechi di Su Mannau,
o le infiorescenze immacolate dei suoi polmoni.
Vattene dalla mia terra,
non sporcare i miei nuraghi
con la saliva biforcuta delle tue parole,
con il tuo sperma verderame, incenerito dall’odio,
con il tuo siero ammuffito,
con le tue lacrime sporche di menzogne,
se lacrime riesci a produrre.
Vattene da questa mia antica e dolorosa terra,
lascia stare le domus de janas e le loro pietre,
contagiate dallo scirocco;
non riempire le loro ferite
con le tue scarpe pilotate dall’apparenza,
con i tuoi capelli unti di consumismo e di finti manifesti.
Lascia questa terra di Sardegna,
lascia che questa terra nera muoia da sola nel suo sangue nero,
nelle sue agavi contorte dalla tramontana,
nei riccioli eterni delle corna dei suoi cervi.
Vattene da questa luna sarda,
non guardarla più negli occhi;
non contaminare col grasso fetido delle tue mani
il cardo bolentino ed il caprifoglio,
o le soavi rotondità dei gueffus e delle seadas.
Abbandona questa terra di vento e di pietra,
ché tanto non capiresti mai la pluralità
della merda delle capre e degli asini.
Vattene in silenzio,
strappa gli ormeggi di quella tua barca dal cervello stanco,
e non voltarti indietro,
ché il grecale od il carrubo non ti risponderebbero;
non conoscono, loro,
il tuo linguaggio inventato dalla stupidità e dall’ignobiltà.
Vattene con la tua paura,
vattene con tutta la tua gente,
vattene con le tue medaglie e le tue bandiere,
vattene con le tue mutande malate,
vattene con il tuo spazzolino da denti,
vattene con il tuo cuscino,
vattene con il tuo pigiama d’oro,
vattene con la tua lingua sporca di parole crude,
vattene con le tue bambole di cemento e menzogne,
vattene con la lussuria delle tue calze indolenzite dal sonno,
vattene con il ricordo, te lo concedo.
Vattene da questo mare,
che non conosce imbrogli;
vattene senza neanche una conchiglia nelle tasche,
vattene con il colore ipocrita dei tuoi miliardi sotto le ascelle,
e che il rimorso ti accompagni fino alla fine dei tuoi giorni,
attraverso l’infinita idiozia delle tue orecchie .
paulsark 2009
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