È una questione minimale, mi rendo conto e cerco di farla breve.
Non ci sarebbe nulla di male e di sbagliato a dire “ho vinto un premio di poesia, o un concorso letterario”.
Apparentemente e secondo logica no.
Però, mi viene da pensare, che lo sprinter, il nuotatore, il ciclista, il maratoneta “vincono” le loro gare: uno arriva primo, amen! I tuffatori, pattinatori e ginnasti artistici stanno a metà tra il “vincere” e l’”ottenere il punteggio più alto”. Le sincronette, lasciamo stare (esiste il reato di discriminazione sportiva?).
I premi di poesia non si vincono: vengono assegnati!
Per carità, ci si capirebbe comunque, ma dopo ogni proclama e sbandieramento di “vittoria” (anche per “menzioni”, “segnalazioni”, anche in premi dove tutti sono “menzionati” o “prescelti” – volete esempi? ), mi è scattata una certa insofferenza. Proprio dopo che mi è stato assegnato il primo premio ad un concorso, mi rendo conto che non ho vinto nulla! Alla giuria è piaciuto quel testo, virgola, e mi ha assegnato il primo posto, punto.
Forse nella genesi di questo mia banale considerazione ci sta il fatto che quel testo non mi ha mai convinto troppo (ha più di dieci anni e non l’ho mai pubblicato e proposto – ma era uno dei pochi inediti a disposizione per un concorso che ho voluto fare, per ragioni mie), ma non cambia lo sviluppo e l’esito del ragionamento.
Quindi, da oggi, non “vincerò” più alcun premio di poesia (bacchettatemi quando mi contraddirò) e rettificherò ogni nota biobiblio sostituendo “ha vinto” con “gli è stato assegnato”.
P.S. Questa riflessione è stata possibile nel post-prandiale: prima, sarebbe stato ben più importante riflettere se scegliere un’insalata e/o quali verdure cotte.
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