È un ritmo alterno dei respiri
quello che si sente battere.
Pochi tocchi repentini
reclusi nel tempo,
imprigionati nella pietra
e nella sabbia.
Un gioco di riflessi duplice,
sull’incerto confine
dell’altrove.[1]
Fra le tappe di un viaggio dentro lo sterminato bianco che abbaglia per i suoi numerosissimi dettagli, segni d’un ignoto siderale irraggiungibile, eppure visibile a tratti, percepibile, si materializzano le tracce esistenti di esplosioni poetiche silenziose. Su questo sentiero ermetico, impreziosito da sospiri surrealisti, si snoda il cammino di Floriana Porta.
Cadenzate e simili nella struttura, come uno spettacolo teatrale breve ed intenso suddiviso dalle chiusure e dalle aperture d’uno stesso sipario – firma, questa, della poetessa – le sue liriche parlano di mondi nascosti oltre l’orizzonte. I suoi piedi percorrono bordi poetici d’ignoto, eppure reali: il poeta poggia s’una materia familiare soltanto a lui, e celata per gli altri.
La Porta testimonia attraverso i suoi sguardi, le sue continue torture, la vita, intesa come vita del poeta, perchè non può essere nient’altro che tale: onirica, intellettuale; la realtà, intesa come realtà del poeta, riflessa come una luce che si posa in molti luoghi, riflesso di riflesso, fino alla sua ultima comparsa come luce pura, essenza magica.
Nuove infinità si susseguono nell’anima di questa autrice – in ogni sua cellula disobbediente agli dei – che incarna il merito universale di saperle cogliere col suo dono, all’interno di una precisa estetica, e di scolpirle sul bianco: Là dove risuonano misteri impenetrabili.
Manuel Paolino
(Poeta, critico, traduttore)
[1] Floriana Porta, Respiri e riflessi, da Dove si posa il bianco, Sillabe di Sale Editore, Condove (TO), 2014.
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