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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Elio Pecora

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 17/11/2009 17:27:08

[Intervista a cura di Roberto Maggiani]

*

DOMANDA.
Come ti presenteresti a persone che non ti conoscono? Chi è Elio Pecora?

RISPOSTA.
Uno che da diversi decenni, fin dalla prima adolescenza, ha creduto che vivere significava conoscersi e conoscere per sentire meglio, per esistere più attentamente e più intensamente. Vale ancora oggi.


DOMANDA.
Ci tratteggi la tua storia di scrittore? Gli incontri importanti, la tua formazione, le tue pubblicazioni…

RISPOSTA.
Ho cominciato a scrivere poesie a quindici anni. Erano anni in cui dedicavo molte ore delle mie giornate alle letture più diverse. Ho scritto molto per anni, poi ho strappato tutto e ho ricominciato, lasciando Napoli, vivendo a Roma dal 1966 . Ho pubblicato il mio primo libro nelle edizioni Cappelli, nel 1970, e lì dentro, fra versi e prosa, è confluito tanto di me e del mondo che traversavo. Di là ho sviluppato temi e dilemmi che ancora mi nutrono e mi spingono. Da allora ho pubblicato libri di poesia, di narrativa, di saggistica, di fiabe. Ho curato antologie di poesia. Ho scritto dieci testi di teatro tutti rappresentati e due radiocommedie. Ho curato per la Rai alcune decine di programmi letterari. Ho collaborato con quotidiani e riviste, da “La Voce Repubblicana” a “La Stampa-Tutto Libri”, da “Il Mattino” a “La Repubblica-Mercurio” , da “Tempo Illustrato” a “L’Espresso”, per la critica letteraria. Ho pubblicato racconti e poesie su riviste e settimanali. Che più? Migliori informazioni, per chi voglia saperne di più le fornisce il computer con le sue ricerche perfino eccessive. Gli incontri importanti? Incontri con persone a cui ho dato la mia amicizia e il mio affetto, e da cui ho avuto altrettanto, e che mi interessavano per la ricchezza umana e per il talento. Non li ho ammirati, li ho amati, e nell’amore comprendo anche la capacità di vederne le fragilità e le contraddizioni. Qualche nome? Potrei farne decine. Bastino Wilcock, Penna, Moravia, Pasolini, Elsa Morante, Bellezza, Amelia Rosselli, e tanti altri, da Lalla Romano a Volponi, da Elsa De Giorgi a Palazzeschi. Troppi, e tutti frequentati molto, visti nella loro quotidianità, avendone l’affetto e la confidenza. La mia formazione? Ho frequentato il liceo classico, l’università. Intanto leggevo tantissimo, m’innamoravo di quel che leggevo, credevo nella forza e nella verità della parola che arriva all’espressione e si consegna. Ero ancora bambino e leggevo tutto quel che mi capitava. Ma già l’ho raccontato in una lunga libro-intervista curato da Paolo Di Paolo e pubblicato da Empiria l’anno scorso. Ho letto da ragazzo molto più gli stranieri, soprattutto narratori, diaristi, pensatori. Così, a Roma, nel mezzo della società letteraria, la maggiore di allora, portavo quel che mi avevano già dato Max Frisch e Gombrowicz, Henry Miller e un Nietzsche letto fuori dei pregiudizi, Virginia Wolf e tanti altri ancora. La mia formazione è stata libera, così è stata libera e ampia la mia attenzione alle opere altrui, di cui ho scritto per qualche migliaio di volte in libri e giornali. Ho anche sentito intorno a me non poche stretture della cultura nostrana, e ne sento oggi tante più. Ma respiro forte ogni volta che apro un libro che mi prende, può essere un racconto di Alice Munroo o la prosa recente e coraggiosa di Sandra Petrignani, di Biancamaria Frabotta, o una poesia di Fernando Bandini o quella di uno sconosciuto che ha concorso all’ultimo Premio Penna che presiedo. Che altro?


DOMANDA.
Sei uno scrittore, ma prima di tutto un lettore. Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, e che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?

RISPOSTA.
Ho già risposto sopra. Preciso. Pretendo di arrivare alla comunicazione, quella della poesia e della scrittura che si consegna per trattenere, per muovere dentro, per aprire porte. Credo nella scrittura e nella poesia come nella più essenziale delle comunicazioni . Per questo, già negli anni del ginnasio, ho amato enormemente la poesia dei greci e quella dei latini, da Lucrezio a Ovidio. E poi Leopardi e, dopo, quando già scrivevo da anni e tutto si era formato, mi sono conosciuto vicino a Saba e a Penna. Ma gli incontri avvengono di continuo, anche nei miei anni (tardi?), se tuttora mi emoziono, stupisco, sono travolto, attratto, per una frase, un verso, un pensiero.


DOMANDA.
Che cosa caratterizza la tua scrittura poetica, rispetto ai poeti tuoi contemporanei? Quali sono il filo conduttore e l’aria ispiratrice che fin dai primi versi ti accompagnano? E come si è evoluto il tuo scrivere?

RISPOSTA.
Spetta ad altri chiarire quel che mi differenzia o mi caratterizza come autore. Qualche mese fa l’editore genovese San Marco dei Giustiniani, per conto dell’Università di Palermo, ha pubblicato in una splendida edizione tutta una serie di studi critici, firmati da studiosi di varia età ed estrazione, sui miei libri. Un autore che si rispetti spiega le sue opere attraverso le sue opere. Posso soltanto affermare che quanto scrivo affiora da un’urgenza interiore che m’accompagna da tanto. Credo che la parola della poesia si ponga davanti a noi come un continente insieme prossimo e remoto nel quale troviamo le nostre più ardue domande, le risposte aperte a nuove domande. So che potrei fare a meno di scrivere, ma non potrei fare a meno di leggere. Ho bisogno in ogni istante di nutrirmi, di nutrire quel che insisto a nominare come anima e come cuore. Non so quanto si sia evoluta la mia scrittura. S’è piuttosto arricchita di toni e di modi. Già nel mio primo libro pubblicato la prosa conviveva con la poesia e la limpidezza del dettato era la stessa che rivendico nel mio ultimo libro e in quello che vado componendo. Ho già scritto, alcuni anni fa, di ritenere che l’artista porta in sé, dai suoi inizi, nodi e domande e ossessioni che lo spingono a esprimersi e intorno a quelli lavora per tutta l’esistenza. Pensate al Dante de "La vita nova", al Goethe del primo Faust.


DOMANDA.
Come avviene il tuo processo di scrittura, in particolare in versi? In quali ore e luoghi, con quali modalità? Scrivi di getto oppure rivedi i tuoi testi, sia nella forma che nei contenuti?

RISPOSTA.
Se le scritture in prosa seguono un progetto che richiede un impegno giornaliero, la scrittura in versi si presenta quando si è fatta più urgente e necessaria, in qualsiasi luogo, con qualsiasi modalità. Il primo verso, come hanno sostenuto tanti poeti ormai promossi agli altari delle letteratura, lo detta “Dio”, ossia viene da una spinta inesplicabile, dall’intensità di un’emozione, di una percezione, di un pensiero. Il resto è anche lavoro, abbandono all’inesplicabile prima di renderlo esplicabile (fino a che punto?), quindi il lavoro dell’artista che è il proprio primo lettore e che dunque interviene per far cadere oscurità gratuite, inutili ornamenti, intellettualismi capziosi. Forma e contenuto sono tutt’uno, affiorano già avvinti l’una all’altro. In questa unità si compie il lavoro della poesia che è spontaneità ricreata, fuoco acceso in un altrove durevole.


DOMANDA.
Se tu dovessi dare indicazioni introduttive in un corso di scrittura poetica quali punti toccheresti? A livello pratico, quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo poetico? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona poesia?

RISPOSTA.
Non credo nei laboratori di scrittura. Sono invece assai propenso a laboratori di lettura. Bisogna saper leggere e leggere il meglio di quel che ci ha consegnato il passato per formarsi un gusto, che è capacità di scelta. Ho scritto di qualche migliaia di libri, dopo averli letti attento e nei casi migliori partecipe. Mi sono pronunciato e mi pronuncio sulla base del mio gusto, e questo gusto viene da modelli che per me significano reali traguardi espressivi. Una buona poesia è quella che non si consuma in parole vuote: l’amore non va nominato, ma raccontato, mostrato; così il dolore, la felicità eccetera. I cattivi poeti, e ce ne sono tanti nel nostro paese, paese in cui si legge poco e male, trafficano sulle superfici, si beano di parole che non levano echi, si perdono in estetiche mal digerite. Credo, come sosteneva Gottfried Benn, che il miglior libro si regga su quattro-cinque poesie “buone”, “risolte”. Il poeta rimane “rara avis”.


DOMANDA.
Vi sono case editrici che, approfittando del desiderio di molti di vedere stampate le proprie opere, pubblicano qualunque testo, anche scadente, dietro compenso. Che cosa ne pensi di questo atteggiamento? Secondo te è necessario arrivare alla pubblicazione su carta stampata per essere annoverati tra gli scrittori?

RISPOSTA.
Le pubblicazioni servono a pochissimo se non seguono a un’attività poetica che ha già un suo rilievo attraverso le buone riviste di poesia e per la fiducia e l’attenzione di quei pochissimi fra critici e antologisti di qualche autorità che hanno un gusto affinato per la poesia. Le case editrici che commerciano sulla vanità degli autori sono deprecabili. Va anche detto che sono diverse migliaia le persone che confidano di darsi un’identità, un motivo di esistere, facendosi pubblicare un librino: che distribuiscono fra gli amici e che, fra difficoltà e delusioni, per qualche tempo dà qualche conforto. Si può sempre sperare di essere scoperti e indicati al mondo da chi ne ha o ne avrà il potere. E’ accaduto ad alcuni dei più grandi. Non va taciuto che è accaduto e accade di scovare nelle minime case editrici autori di valore che, nei casi più fortunati, arrivano alla notorietà e alle pubblicazioni maggiori.


DOMANDA.
Perché non si legge poesia? E’ una tendenza italiana o anche all’estero è così? Perché tanti lettori trovano difficile la poesia? Che cosa ne pensi? Qual è la responsabilità dei poeti (se di responsabilità si può parlare); quale quella degli editori; quale quella dei lettori e, non ultima, quella dei librai e dei mezzi di informazione?

RISPOSTA.
La poesia è stata letta nel passato da un’aristocrazia e da una borghesia che frequentava scuole in cui la poesia veniva molto studiata e soprattutto imparata a memoria. La società di massa è stata educata all’apparenza. La poesia chiede partecipazione, vicinanza interiore, coinvolgimento estremo. Il poeta se è tale parla di sé e del mondo, ossia parla di sé e insieme dell’altro, del lettore. E questi sfugge alla riflessione sulla propria limitatezza, sul destino di morte, sul tanto che regola e opprime la vita umana ma anche la esalta e la nobilita. Si legge nei paesi in crisi. Si leggeva molta poesia nella Russia dell’oppressione, nell’Europa delle dittature. Non si può accostare la poesia se si è occupati e distratti dai riti televisivi e dai minimi consumi. A queste mancanze contribuiscono le scelte editoriali, i commerci librari, le pagine dei libri: tutti facenti parte del sistema.


DOMANDA.
larecherche.it ha recensito, e proposto come lettura consigliata, la sua ultima raccolta di poesie “Simmetrie”, Mondadori, dalla quale riprendo: “[…] si legge un poeta molto elaborato nella scrittura e nel pensiero, alla ricerca di una possibile via di fuga dal reclusorio della materia corporale ma che, nello stesso tempo, è affezionato al luogo della sua detenzione; talvolta il suo versificare è misterioso e assorto, come se il poeta si perdesse in meditazioni sue personali che scrive sul foglio non tanto per comunicarle a probabili lettori ma quanto appunto per meditare in sé stesso. […]”. Ci piacerebbe un tuo commento in tal senso, è necessario fuggire dal corpo? Come è nato questo libro?

RISPOSTA.
Chi scrive e pubblica deve pure essere esposto a fraintendimenti. Spesso il “critico” porta nella lettura i suoi timori e le sue opinioni. Per fortuna non pochi di quelli che hanno scritto del mio Simmetrie, e che conoscono bene i miei libri precedenti, hanno inteso quel che da tanto nutre e motiva quanto scrivo. Non è un caso che il mio verso più citato sia “Io compio l’avventura di restare” che è dentro il mio Motivetto apparso nel 1978. Il corpo lo si abita non lo si lascia, ma lo si abita accettandone i limiti, la precarietà, le paure. Io vivo la vita con allegria, ossia con energia. Ma rinnego le vecchie scadute illusioni e i grandi fantasmi. Il corpo non è una detenzione, ma è un limite, una stanza che ha stretture e angustie, pure ha finestre luminose e spazi godibili. Quanto alle meditazioni “personali”, l’individuo raccoglie in sé l’umano nella sua essenza e vastità e se arriva alla poesia è perché conosce nella sua verità la verità di tanti e di tutti. La meditazione, per essere tale, non può che risolversi nella discesa dell’io nel sé. Penso ad Agostino, penso al Leopardi dell’infinito che siede dietro la siepe e annega nel mare della sua visione e con lui annega il lettore che sappia riconoscersi nelle sue parole.


DOMANDA.
Tra le attività e gli impegni letterari attuali quali ti appassionano di più?

RISPOSTA.
Io vivo le mie giornate con passione, nel senso che le traverso attento e partecipe, patendo e godendo. Ritengo che l’eternità dell’uomo consista nella capacità di cogliere ogni attimo della sua giornata. L’attimo colto, vissuto intensamente, (e può essere un morso di mela, la forma di una nube) è eterno nel senso della pienezza, della totalità.


DOMANDA.
A quando il prossimo libro di Pecora? Poesia o narrativa? Se qualcosa è imminente, ce ne potresti dare una piccola anticipazione?

RISPOSTA.
Negli ultimi due anni sono apparsi quattro miei libri. Troppi, ma due libri accolgono vecchi scritti, uno pubblicato da Guida è una scelta di scritti letterari apparsi nel tempo su quotidiani e riviste, ed è intitolato “La scrittura immaginata”. L’altro, appena pubblicato da Bulzoni, comprende quattro miei testi teatrali e s’intitola “Teatro”. L’estate scorsa ho lavorato a un romanzo, che ho da rivedere lungo il prossimo inverno. E’ ancora un romanzo con una folla di persone che vi si muovono, così come accadeva nel mio “Estate” pubblicato da Bompiani nell’81. Ma è prematuro parlarne.


DOMANDA.
Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su larecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete?

RISPOSTA.
E’ un nuovo modo di pubblicare questo di riviste come “La recherche” che, a ben vedere, si differenzia dalle riviste cartacee solo per il mezzo più esteso e meglio rinvenibile. Merita molta attenzione questo fenomeno che va dilagando soprattutto fra i più giovani e che può travalicare difficoltà editoriali e cecità di redazioni. Debbo aggiungere che diffido delle riviste che si dedicano alle vanità dei propri redattori. La cultura è circolazione , ma è soprattutto gusto e qualità. Quanto alla libertà in rete non deve significare accoglimento di tutto. La resa nella scrittura comporta passione e fatica, in più ricchezza di umori e vivezza di sentimenti. Non ho mai creduto che tutti possano tutto. Ognuno di noi, anche dei più dotati, può qualcosa e là deve dedicarsi per trarne frutti.


DOMANDA.
Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?

RISPOSTA.
Sono tante le domande che ho ancora da rivolgere a me stesso.

R. Grazie.

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