Pubblicato il 02/05/2013 09:45:30
VIAGGIO A SORPRESA Il Cairo. Il locale era al completo: luci basse, note di alud e tendir, tavoli strapieni di tazze e bicchieri e una danzatrice del ventre che si muoveva tra i tavoli leggera e piena di grazia. Era molto giovane, il bel volto incorniciato da capelli neri, ricci e trattenuti da una reticella di perle e dischetti, alla foggia delle beduine arabe; gli occhi brillavano, nerissimi e pungenti come spilli, spostandosi da un tavolo all’altro e senza fermarsi su nessuno. Distaccata ed irraggiungibile. “Che Dea!” Chi aveva parlato era un ragazzo. Un europeo; c’erano molti europei nel locale: l’Egitto è pur sempre un Paese in grado di accendere la fantasia del turista. Alto, bruno, l’aria scanzonata, il ragazzo aveva appena fatto il suo ingresso nel locale e stava seguendo un cameriere, fez rosso in testa, che lo stava accompagnando al suo tavolo. Non era da solo. Con lui c’era un altro ragazzo, un coetaneo, alto esattamente quanto lui, ma un po’ più robusto. Raggiunto il tavolo, i due vi presero posto e ordinarono da bere; il cameriere si allontanò. “Cos’era quella roba che hai ordinato?” domandò all’altro uno dei due. “Veramente non me lo ricordo, Leo. Mi è piaciuto il nome.” “Quale nome?” “Non lo so, accidenti. Non me lo ricordo.” “Non sarà aranciata o acqua brillante!” “Ma insomma… aspetta. E poi, che vuoi che me importi. E’ lei che m’importa.” il ragazzo indicò la danzatrice, da cui non aveva staccato per un attimo lo sguardo. “Sono sempre così affollati questi locali?” chiese ancora l’amico. “Credo di sì! Guarda quanti turisti.” “Ma ci pensi, Franco… siamo in Egitto! Ah! Voglio che questa vacanza sia indimenticabile! Ma… da bere non arriva più?” “Ti avranno preso per un minorenne – rise Franco – e stanno pensando se portarti gazzosa o acqua brillante, ah.ah.ah… Bella fregatura, sarebbe!” “Niente paura, Franco. Niente paura. Siamo maggiorenni… freschi maggiorenni con tanta voglia di divertirsi.” Il cameriere arrivò proprio in quell’attimo; sul vassoio c’erano due bicchieri con del liquido trasparente e dall’apparenza innocua. “Te lo avevo detto. acqua brillante! Si tratta proprio di acqua brillante.” Rise ancora Franco prendendo il bicchiere e portandoselo alle labbra. Ne tracannò d’un fiato quasi la metà del contenuto, ma ciò che finì nel suo stomaco gli sembrò davvero esplosivo: il volto divenne rosso, gli occhi strabuzzarono e una mano corse a trattenersi la gola. Leo lo guardò stupito e divertito, col suo bicchiere trattenuto a mezz’aria. “Ti è andato di traverso?” scherzò. “Questa roba è dinamite!” esclamò Franco, invitandolo a bere; anche Leo ne tracannò. “Porca vacca! – proruppe, passandosi sulla bocca il dorso della mano - Hai ragione… Ehi ! – aggiunse immediatamente dopo - Guarda quell’uomo. Guarda quell’uomo… Ha uno strano atteggiamento.” “Ma cosa vuoi? – lo sguardo di Franco stava seguendo sempre la bella danzatrice – Lasciami ammirare quello schianto di ragazza.” “Deve sentirsi male. – insisteva l’amico – Guarda.”
A malincuore, Franco dirottò lo sguardo nella direzione indicata; Leo, intanto, s’era alzato e avvicinato all’uomo che aveva attirato la sua attenzione, un europeo anche lui. “Si sente bene, signore? – sentì Leo domandargli – Parla italiano?... Do you speak english?” Nessuna risposta ed a questo punto Franco, che aveva raggiunto il tavolo dello sconosciuto, gli pose una mano sulla spalla. Al lieve contatto, l’uomo reclinò la testa sul petto. “Ma questo sta davvero male! - esclamò il ragazzo – Sembra…” “Sembra un po’ morto! - lo interruppe l’amico con preoccupata ironia, indicando la vistosa ferita alla schiena, inequivocabile segno di una pugnalata – Bisogna chiamare qualcuno. L’assassino potrebbe ancora essere qui intorno.” Franco fece un gesto per attirare l’attenzione della gente seduta ai tavoli vicini, ma uno dei camerieri lo raggiunse alle spalle e gli bisbigliò all’orecchio qualcosa di assolutamente incomprensibile. “Che cosa vuole, questo? – anche Leo si girò a guardarlo – Perché non fa qualcosa?” “Qualcosa la sta facendo, - spiegò l’amico – Mi sta puntando un pugnale nel fianco.” “Accidentaccio!... Ma che cosa vuole e perché…” “Che cosa vuole non lo so, - lo interruppe Franco – ma se non lo seguiamo… questo è chiaro, vuole che lo seguiamo… mi infilzerà come un pollo.” Lo seguirono, fin dietro la tenda che nascondeva una porta, e si trovarono in un corridoio; qui, altri due figuri altrettanto poco raccomandabili, si unirono al primo. “Che cosa volete? – Leo si girò verso uno dei due che aveva cominciato a parlare concitatamente con il cameriere – Non abbiamo fatto nulla. Non siamo stati noi a far fuori quel turista.” “Maledizione! – imprecò Franco – Ci siamo cacciati in un bel pasticcio.” “Già! – assentì l’amico – Devono essere quelli che hanno fatto la festa a quel poveraccio e noi abbiamo avuto la disgrazia… anzi, tu hai avuto la bella idea di metterti a fare il detective.” “Che diavolo vorranno da noi?” “Niente di buono, temo. Se almeno riuscissimo a capire quello che dicono… Ehi, che volete da noi? Chi siete?” “Tu cammina.” esordì uno dei tre con fare perentorio. “Ah, ma tu mi capisci? – fece Leo – Parli italiano?” “Tu cammina. – ripeté quello – Tu visto cosa che non doveva vedere… tu e tuo amico.” “Dove volete portarci?” domandò Franco. “Tu niente domanda, se vuoi salvata vita.” rispose quello con pessimo accento italiano. “Sei un extra-comunitario?... Oh, qui l’extra-comunitario sono io, ah.ah.ah – rise Leo, poi – Per la Barba del Profeta, come dite voi, dì al tuo amico che non mi sforacchi!” continuò. “Cosa … sforacchi?” domandò l’uomo. “Sforacchi , significa tagliare corda.” Uno sguardo d’intesa passò tra i due ragazzi; l’uomo li guardava stupito. “Tagliare corda?” replicò, mentre Leo continuava a protestare: “Attento al tuo amico… potrebbe affettarmi con quel pugnale!” Un cenno e il cameriere abbassò il pugnale, ma continuò a tenere saldamente stretto il suo braccio, l’altro teneva Franco. In fondo al corridoio si vedevano i primi gradini di una scala. Il gruppo si fermò davanti alla penultima delle numerose porte che si affacciavano su quel corridoio; uno dei tre malviventi infilò una chiave nella serratura e l’altro, quello che teneva Leo per un braccio, si avvicinò alle scale, senza separarsi dal ragazzo: avevano sentito un rumore provenire dal piano di sotto. “E’ il momento! – esclamò Franco – A cavalcioni della ringhiera.” Uno strattone, un calcio negli stinchi, la sorpresa dalla loro parte e i due ragazzi si ritrovarono liberi. Montati a cavalcioni sulla ringhiera, si lasciarono scivolare fino al piano di sotto. I tre li inseguirono immediatamente giù per le scale imprecando, ma i due ragazzi riuscirono a guadagnare la porta in fondo alle scale e l’uscita. Imboccarono la prima stradina che trovarono; una corsa frenetica e furono dietro l’angolo. “Che si fa, adesso? - Franco si fermò a riprendere fiato – Quei tre ci staranno cercando per fare la festa anche a noi.” “Proseguiamo per questa strada, che porta alla città vecchia. Penseranno che siamo diretti al fiume.” propose Leo. “Però, così ci allontaneremo troppo dall’albergo.” replicò l’altro. “Ci torneremo quando saremo sicuri di aver fatto perdere le tracce.” “Nei quartieri della città nuova sarebbe più facile liberarci di loro.” Obiettò Franco. “Ti sbagli. Sarà più facile qui, in queste stradine.” “Non è meglio fare qualcosa, invece di scappare…. Per esempio, avvertire la Polizia?” “Sei pazzo!” “Perché?” “Stranieri incasinati con un delitto… Per prima cosa ci toglierebbero i passaporti e poi ci terrebbero in guardina per chissà quanto tempo.” “Hai ragione. Torniamo nella città vecchia, poi cercheremo un taxi e torneremo in albergo." Tornarono inditro e riattraversarono la città vecchia. Rasentarono case popolari ammassate come greggi sorprese dalla pioggia, passarono davanti a splendidi palazzi appartenuti a lontani, temuti califfi e sempre di corsa, attraversarono suk e bazar. Furono in vista di un caravan-serraglio, testimonianza di un avventuroso passato non troppo remoto, ad una delle porte della città vecchia: qui si fermarono. Fu Leo a fermarsi per primo; Franco continuava a correre. “Fermiamoci, Franco. Abbiamo corso abbastanza. – Franco parve non averlo udito – Aspetta, Franco. – lo richiamò il ragazzo – Non mi sento bene. Fermati.” Franco rallentò la corsa e tornò indietro: ansava ed era molto pallido. “Mi… mi manca il respiro.” balbettò. “Anche a me. – disse Leo – Mi tremano le gambe e il cuore mi batte forte.” “Anche a me. Che cosa ci succede?” “Sarà stato l’intruglio bevuto in quel locale.” “Che cos’era?” “Non lo so… - Franco parlava a fatica - Fermiamoci a riposare.” Il ragazzo sentiva come un nodo stringergli la gola; sollevò gli occhi al cielo: il sole splendeva implacabile e picchiava spietato. La testa pareva scoppiargli, come stretta in una morsa rovente e il cuore palpitava furioso; le vene delle tempie pulsavano vertiginosamente. Respirava a fatica e una profonda stanchezza gli opprimeva corpo e spirito; il più piccolo gesto gli costava sforzo immane. Si girò verso l’amico, come a chiedere soccorso. Leo stava appoggiato ad una parete rocciosa, le mani aggrappate ad una sporgenza e la testa abbandonata sul petto; il suo respiro sembrava l’ansimare di un animale selvaggio. Gli parve che quella roccia prima non ci fosse; in verità, gli pareva che tutto quanto li circondava, prima non ci fosse. Ma non se ne stupì affatto. Era così che doveva essere e la vista di quelle rocce, che profilavano tutto l’orizzonte, gli quietarono l’animo, perché familiari. Si avvicinò all’amico e lo toccò sulla spalla; Leo si girò. “Principe Sethos… coraggio. – disse, lo sguardo deferente e nella voce un tono di profondo rispetto – I nostri inseguitori sono lontani. Qui abbiamo trovato la nostra salvezza.” Franco, che Leo aveva chiamato principe Sethos, scosse il capo, ma senza alcun stupore nello sguardo, anzi, guardò l’amico con un sorriso. “E’ solo una provvisoria salvezza. – rispose – Ram-Seth, il mio implacabile nemico, non ci darà tregua.” “Ne sono consapevole, mio signore, ma noi potremo trovare rifugio per qualche ora tra queste gole.. Il fianco di questa montagna offre molti anfratti e screpolature e la potente Nefty ci proteggerà.” “Sì, mio fedele Amosis. Una di queste gole profonde ci permetterà qualche ora di riposo e la Dea Nefty, nostra Protettrice, veglierà su noi.” Passarono attraverso una delle tante fenditure che screpolavano la superficie della montagna che nascondeva caverne, gole e bui corridoi. “Qui non ci raggiungerà nessuno, principe Sethos.” disse Leo-Amosis. “La generosa Nefty ha convinto il dio Ammon ad anticipare il suo viaggio attraverso la Duat, il Mondo-di-Sotto.” “La tua vita, mio signore, è preziosa a tutti gli Dei.” I due cercarono un posto per riposare qualche ora poi lasciarono l’anfratto e il fianco della montagna e ripresero il cammino. Camminarono per un tratto senza parlare, poi Franco-Sethos esordì: “… se avessimo un cammello o un cavallo…” “Purtroppo i nostri nemici hanno cammelli veloci. Ma non importa. Siamo ormai vicini: l’Amentit, la Terra-Nascosta, è dietro quei monti.” Era già notte, ma la luna rischiarava ogni cosa. Percorsero ancora qualche miglio poi raggiunsero la cima di una collina. “Ecco la Città-dei-Morti. – disse Sethos tendendo il braccio verso il basso e la grande vallata disseminata di fosse, tumuli e tremolanti lumicini – Noi andremo laggiù.” “Ma io non posso varcare quei sacri confini e profanarli con la mia presenza.” replicò titubante Leo-Amosis, facendo un passo indietro. “Lì saremo al sicuro, proprio perché a nessuno è permesso varcare quei confini.” spiegò il principe. “Ogni disgrazia cadrà sulla persona di Amosis, se oserà profanare quel luogo sacro, principe Sethos. Solo tu puoi farlo, perché presto sarai Faraone del Basso ed Alto Egitto.” “Non temere, Amosis. Io sarò con te.” lo incoraggiò il principe e Leo-Amosis tacque e lo seguì, ma quando furono in vista dei primi tumuli di terra smossa, Amosis fu nuovamente preso dal panico. “Io non posso violare la legge di Osiride o la sua collera mi perseguiterà per sempre.” Amosis pareva davvero terrorizzato e irremovibile; l’altro lo interruppe: “Taci… Non senti delle voci?” “Sì, le sento. Chi può essere? Forse i nostri inseguitori?” “Ascolta questa voce…” Amosis tese l’orecchio. “E’ la voce della principessa Nefer.” esclamò. “E’ con i suoi rapitori. Mia sorella, la principessa Nefer è con i suoi rapitori… possiamo ascoltare le loro voci.” Ascoltarono. “Per il vostro bene, lasciatemi. – stava dicendo una voce femminile – La collera di Iside e Osiride, i Signori di questo Luogo Sacro, vi perseguiterà in eterno se non mi lasciate andare.” “Se non ti portiamo indietro, principessa Nefer, il Gran Visir, Ram-seth, ci metterà a morte.”replicò una voce maschile. “Temete più un mortale che la collera degli Dei? Se avete ancora un po’ di rispetto per la vostra principessa e di devozione per i vostri Dei, lasciatemi stare e io placherò l’ira degli Dei.” “E’ inutile implorare né minacciare: la collera di Ram-seth è più vicina e reale di quella di Iside ed Osiride.” udirono la voce di un altro uomo; erano almeno una mezza dozzina. “Se sei davvero la figlia di Iside ed Osiride – fece una terza voce – ebbene, perché non arrivano in tuo soccorso?” “Sciocchi… invocherò la collera di Iside, che sarà implacabile con voi.” “Chiama pure i tuoi Dei, ma sappi che nessuno potrà aiutarti.” “Oh, Isis ed Usir – prese ad invocare, a questo punto la principessa Nefer – squarciate le tenebre e punite gli empi. Tu, Anubi, prima di guidare la mia anima verso la Duat, prendi con te questa gente sacrilega e torturali lungo il cammino…” Ghigni e risate accompagnavano le parole della principessa, ma un lampo, improvviso e inatteso, squarciò la tenebra e spezzò le parole sulle sue labbra. Il serpente di fuoco e illuminò la scena e si abbatté sul gruppo. Caddero tutti a terra, spinti dallo spostamento d’aria. Ne approfittò il principe Sethos per calare giù, seguito da Amosis. “Nefer, sorellina mia. – gridò – Sono qui. Sono qui.” I due ragazzi raggiunsero la principessa; era stesa a terra, colpita anche lei dal fulmine. “”Uh, Dei possenti! – gemette il fratello chinandosi su di lei e sollevandola, per stringerla al petto – perché? Perché avete colpito anche lei, Perché non avete ascoltato le sue suppliche? Perché…” “Sethos… - la voce di lei lo scosse - Gli Dei mi hanno ascoltata.” Disse sorridendo. I due fratelli stettero a lungo abbracciati; Amosis li guardava muto. Quando si alzarono, la principessa trasse un oggetto da sotto il mantello. “E’ per questo che il Gran Visir è disposto ad uccidere. – disse tendendolo al fratello – E’ lo Scettro-del-Comando.del Faraone. Ram-seth lo ha portato via durante la Cerimonia di sepoltura di nostro padre, il Faraone., ma solo tu puoi impugnarlo, perché sei il principe ereditario.” Sethos prese lo Scettro reale. “Dimmi, Nefer, - domandò – come sei arrivata alla Terra-Nascosta?” “E’ stata Iside a proteggere i miei passi. Ho pensato che questo fosse il solo posto che potesse darmi rifugio e salvezza e che anche tu saresti venuto qui, ma gli uomini di Ram-seth mi avevano preceduta… Ora posso tornare a Palazzo.” “Sì, sorella mia. Io devo raggiungere la guarnigione militare e scoprire se il popolo ama oppure no il suo principe erede.” Si salutarono; il sorriso della principessa era dolce e triste insieme. Presero strade diverse: Nefer con il solo cavallo scampato al fulmine e il principe Sethos, con il fedele Amosis, a piedi. “Riposiamo, principe Sethos. – propose Amosis appena fuori della Cttà-dei-Morti – La notte è ancora lunga e anche il cammino che ci attende.” “Sì. Riposiamo.” Si trovarono un posto sicuro e tranquillo ove trascorrere la notte e la notte scivolò silenziosa sopra le loro figure rannicchiate, fino a lasciarsi fugare dai primi chiarori del nuovo giorno che stava nascendo-
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