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Poeti in dieci righe: Giorgio Bārberi Squarotti

Argomento: Poesia

di Alfredo Rienzi
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Pubblicato il 14/03/2017 16:05:13

Poeti (di Torino) in 10 righe - 8. Giorgio BARBERI SQUAROTTI

 

vedi aggiornamento su

https://alfredorienzi.wordpress.com/2021/01/07/poeti-di-torino-in-dieci-righe-giorgio-barberi-squarotti/

 

 

 

Giorgio Bárberi Squarotti (Torino, 1929), laureatosi con G. Getto all’Università di Torino,  dove è stato Professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea, dal 1967 al 1999; noto per l'intensa e importante opera critica, ha dedicato attenzione anche alla letteratura contemporanea, tra rigore accademico e passione militante. Imponente anche la sua produzione poetica, con una ventina di raccolte, da La voce roca, Scheiwiller, 1960, fino al recente Le ancelle della regina Mab, Nuovi fermenti, 2016.

La definizione, ricorrente, di «anche poeta», se da un lato rimarca la preminente attività di critico, tra i maggiori italiani contemporanei, non deve sminuirne la vastissima opera poetica, che ritengo meriterà presto maggiori e più sistematici studi di quelli finora ricevuti. Fin dagli esordi, in tempi di sperimentalismo, la sua scrittura si è sempre connotata per la grande attenzione formale, i rimandi colti, l’illuminante creazione di folgoranti figure, quali le fanciulle nude, proustiane jeunes filles en fleur, vestali di Storia, Verità e Natura.

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_B%C3%A0rberi_Squarotti

http://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio-barberi-squarotti/

https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/11/01/poesie-giorgio-barberi-squarotti/

 

 

Gli oleandri

 

Le tre ragazze brune in corsa sulla spiaggia

verso la linea immobile del mare

alternamente verde e grigio sotto il rapido

passaggio degli stracci delle nuvole

buie di una tempesta che non è giunta fino a questo giorno

di luglio, l’acqua si richiude sopra

i corpi scuri, sull’aureola nera dei capelli,

un vento lento cancella poco a poco

le orme sulla sabbia, e forse che

una traccia vi sarebbe restata più profonda

se qui Venere fosse nata dalle spume

delle onde, o se ci fosse stato un candido palazzo

di re o il fuoco rosso sulle torri vinte

di Ilio, più alto fu forse il suono di quei popoli

antichi o i baci che si scambiavano i ragazzi

in un angolo quieto della scena

di un giorno di vacanza, al mare: risalirono

ridendo il pendio dolce della spiaggia,

un po’ scotendo l’acqua dai capelli,

un po’ tremando per il filo freddo

d’aria, nell’ora del crepuscolo,

gente passava cantando per le strade,

e auto e un amaro odore di oleandri,

e la storia che è già oltre, in un altro tempo

e in n altro luogo

 

Varigotti, 12 luglio 1985

 

da In un altro regno, Genesi, 1990, p. 43

 

 

 

L’origine del vento

 

Da dove viene il vento? Ma che importa

se da occidente, portando luci d’alba

e viaggi di nuvole istoriate

con le figure degli dei del mare

che benedicono i sudditi nudi

fra i picchi e le pianure e i rami d’aria,

o da oriente: la ragazza si fumo

sinuosa, lieve, danza oltre la cima

del campanile fiammeggiante, oltre

la voce cavernosa che ne esala

come un rantolo d’agonia o di coito;

l’angoscia è per dove andrà a morire

con l’ultimo sospiro tenebroso,

nel fresco sogno d’alberi o d’un fiume

mosso appena da brividi che scorrono

verso chi sa che oceano di pace,

o in un vuoto spiazzo: qualche palma

secca, una bugainvillea viola

appesa al nulla di se stessa, due ragazzi

si torturano, poi i capelli biondi

avvolgono lunghissimi i due corpi,

li nascondono all’ultimo sussulto

molle, un fiato così debole che ormai

non arriva a scoprire, per un attimo

almeno, l’aspra smorfia dei due volti,

se mai sia noia o il trionfo della conquistata

conoscenza del tutto.

 

Alghero-Roma, 23 luglio 1994

 

da Dal fondo del tempio, Genesi, 1999, p. 78

 

 

Quadro

 

La donna opima lievemente dorata

è distesa nell'erba luminosa

e lieve, appena scossa da un astratto

vento e celeste, tutta nuda, esposta

sinceramente, il viso mite, un poco

per pudore arrossato, gli occhi volti

in basso, come per guardarsi il corpo

per il dolce imbarazzo e anche per l'ansia

che non ci fossero esigui segni

sulla pelle perfetta: una o due gocce

di rugiada, il rapidissimo velo

di una minima foglia o il filo d'aria

turbata: intorno, per accompagnarla

con l'armonia illuminata, i colli

appena sollevati come il pube

pur rilevato e le mammelle colme,

il taglio sfumato al di là degli alberi

leggeri, verso l'annuncio immaginabile

di una morbida valle e serenata,

tre nuvole nel cielo, sul punto, rosse

come sono nella luce, di sciogliersi

o allontanarsi per lasciare libero

del tutto lo splendore maturato

della donna nella pienezza breve.

 

Venezia, 12 dicembre 2002

 

da Le Langhe e i sogni, Joker Ed. 2003, Pref. F. Pappalardo La Rosa, p. 64


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