Pubblicato il 05/05/2009 00:16:00
Il grande romanziere americano, uno dei più grandi, e, forse il meno americano, oltre che grande autore di biografie, unendo le sue passioni confeziona la sua autobiografia. E quando dico le sue passioni, non alludo solo a quelle letterarie, non si può certo tralasciare di citare – sia letto questo volume, sia i suoi precedenti – come passioni di White, Parigi, il sesso e la paura della morte, morte non nel senso stretto della propria, ma quella sorta di “morte globale” che fu (e purtroppo è) l’AIDS, che nel volgere di pochi anni sterminò migliaia di esistenze, e, con esse, uno stile di vita e la voglia di raccontare gli anni precedenti alla terribile epidemia. White, invece continua a raccontarci di incontri sessuali, a due, tre, e più, casuali, con sconosciuti, organizzati, mercificati, mentre molti dei suoi colleghi preferiscono tacere su questa malattia in quanto argomento doloroso, e per non incitare – idea totalmente ipocrita – i giovani a seguire l’esempio di quella specie di “ottovolante del sesso” che fu, principalmente New York negli anni settanta, e ogni altra città in cui vi era un gruppo di gay. Edmund White, visse, ed alimentò la sua vena creativa nel milieu culturale del famoso “Village” di New York e poi in un ambiente simile a Parigi. Pare quindi chiaro che la parabola di un giovane americano, omosessuale, colto e letterato rispecchi questo ambiente, l’autore, infatti, visse a New York, poi a Parigi e sentì la morte da AIDS (anche per droghe) alitargli addosso da ogni dove e dai suoi ricordi. Questa esuberanza iniziale del vivere, scoprire, crescere in quello che sembrava l’ambiente dorato dei bellissimi – e facili – uomini americani, e vederlo letteralmente morire nel volgere di poche, brevi stagioni è anche il nucleo pulsante di questa splendida, leggibilissima autobiografia. La cui bellezza sta, anche, nella genialità, e qui il colpo di genio, forse scaramantico, è stato costruire dei racconti fittizi attorno ad episodi reali della propria vita; attraverso questi, White, universalizza – globalizza – la propria biografia, fa vivere ad altri episodi della sua vita, dimostrando che spesso la propria vita, che si ritiene unica, è la stessa di altre persone, che magari non conosciamo neppure. Nella lettura incontriamo degli studenti di college, una anziana coppia che vive a Parigi, un giovane gay che va a visitare la madre, e così via, vari personaggi, ma che sono nell’essenza la stessa persona. A tratti appare nella lettura il concetto proustiano (e White è grande conoscitore del genio francese) per cui ogni giorno siamo via via un uomo differente, e White riesce a mostrarci gli uomini differenti che è stato, facendoli vedere non sovrapposti come di solito appaiono, ma schierati, in modo da mostrare al lettore tutte le loro peculiarità. Nello scorrere della biografia, la morte fa spesso capolino, non appare mai in prima persona, non si manifesta se non rosicchiando le vite ai margini di quelle dei protagonisti dei vari racconti, facendo sentire i suoi spaventosi passi, ma andando oltre, questa volta, e la prossima? La grande capacità di romanziere dell’autore compone racconti molto belli a volte assai ironici, altre volte crudi, ma sempre scritti con grande eleganza e gusto romanzesco, quasi più europeo che americano, e nel tratteggiare le varie storie, White si diverte a fare piccoli “pastiche”, cambiando registro secondo il tono del racconto, facendone sembrare alcuni quei telefilm degli anni in bianco e nero, altri con un gusto spiccatamente francese, e così via. Una misurata ironia e qualche acre sarcasmo rendono ancor più gustoso questo caleidoscopio di personaggi, che sovrapposti compongono un grande protagonista della letteratura. Tra tutti bellissimo il racconto “L’oracolo” con un finale davvero mozzafiato. In questo periodo di grande ipocrisia sul tema dell’omosessualità, sentirla raccontare in modo così schietto, profondo ma semplice è davvero una boccata d’aria.
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