Pubblicato il 11/09/2012 20:05:39
A Ernesto Volkening
Mi sono abituato ad amare le sorprese. Il filo di uno sguardo che stabilisce un ponte silenzioso in mezzo al chiasso della gente. Così la vita si lascia dietro il rancore indifeso e il suo abbandono doloroso mentre ci consegna umorismo e affetto come pegni. Eppure, come mantenere quella gioia e farla sussistere, se sei fedele soltanto alle parole e il carattere volubile non riesce a concludere i doveri assunti? Nessuna responsabilità, tranne il canto. Ogni responsabilità, perché canto. Chiedo lo stesso rigore che rifiuto ma è anche certo che l’eccesso di miracoli diventa facile e alla fine solo ci concede una festa frastornante. Tu sei oggi il mistero senza rive e la metamorfosi che ti trascina nel turbinio dei fatti. Ma come dirlo se ho sporcato il mio pensiero con deboli desideri e la fretta mi ha tolto l’intenso fulgore dell’ovvio? Se sono stato sbadato e fallace per recuperare con inganni ciò che la frivolezza aveva degradato? Volevo parlare soltanto del balsamo che allevia la paura e del terrore che singhiozza come un animale inerme alle tre di notte. È così fragile tutto quello che abbiamo e sono così complesse le corde che ci reggono che devo controllare aspetto e peso in ogni linea.
Soltanto in questo modo riuscirò a preservare l’innocenza. La routine quando diventa meccanica ti nobilita. Per questo volevo portare qui la tua mano che segna sulla guancia la sua pietà intelligente. È per causa sua che la coercizione si dilegua e il tempo riprende a scorrere. Scrivere è pregare in modo diverso. Le uniche notizie che valgono la pena le trovi nelle poesie. Tutti i poeti sono santi e andranno in paradiso.
(da Todos los poetas son santos e irán a cielo, Tutti i poeti sono santi e andranno in paradiso, 1983, in http://www.filidaquilone.it/num019canfield2.html, a cura di Martha Canfield)
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