Pubblicato il 17/04/2009 01:24:00
Abbiamo ricevuto questa bella plaquette, una raccolta di brevi poesie dal titolo invitante: “Il sospetto e la lusinga”. Titolo ben rappresentato dalla bellissima fotografia di copertina della scrittrice e fotografa Gabriella Maleti: un fiore, forse una rosa bianca, in parte illuminata da una delicata luce soffusa e in parte in leggera penombra; immagine che richiama, allo stesso tempo, decisione e delicatezza e introduce nell’aria che si respira nella lettura delle poesie di Carmen Grattacaso. L’intelligente e quanto mai azzeccata riflessione sulla poetica dell’autrice, che avvia alla lettura della raccolta, a cura dello stimato professore e poeta Luigi Fontanella, e intitolata “Tra l’osare e il ritirarsi”, mi pare che possa essere presa a parafrasi del titolo della plaquette. Fontanella scrive: “[…] sarei tentato di definire la poesia di Carmen del ‘disamore e della disillusione’, ma sarebbe una definizione tutto sommato riduttiva, ché subito la sinuosità della versificazione di questi suoi testi coinvolge e conquista il lettore. […]”. Una sinuosità non tortuosa né ambigua né ingannevole ma che invece procede sicura, dal primo poema fino all’ultimo, trasportando il lettore, attraverso l’asciuttezza dei versi, nel mondo di una donna, madre premurosa e donna d'amore, “[…] // Un intero mondo per un quadro incompleto / da appendere quando nessuno guarda / su una parete obliqua.”, (pag. 11). Se c’è una effettiva diversità tra l’uomo e la donna, è nella capacità decisamente preminente di quest’ultima, rispetto all’uomo, di saper accogliere e soffrire per amore. L’accoglienza, in particolare, è dono quasi istintivo connaturale alla sua potenzialità di essere madre: “Come una madre sulla porta di casa / coprirei di premure il mio prigioniero, / incautamente trascinando via l’anima / dal suo posto tranquillo”, (pag. 10). Correlata alla sua particolare propensione all’accoglienza vi è il suo saper patire per amore, che equivale al saper molto amare, e quindi, a mio avviso, di nuovo, la capacità di essere madre, ruolo che la donna sa vivere in modo completo, anche senza avere necessariamente vissuto la gravidanza fisica, amando fino a trasformarsi in qualcosa d’altro, cedendo la propria parte di vita al soggetto d’amore e collocandosi nel giusto ruolo, onde arrivare a vivere da un punto di vista privilegiato le trame della commedia umana: “Grazie a te mi trasformo / in un’attrice non protagonista. / Cammino, ti sto dietro, / recito le battute. // E’ un compito importante: esserci / per mostrare te, / unico commediante.”, (pag. 16). Nella trasformazione, che è poi un tentativo di incontro, ci si può ritrovare, dantescamente parlando, a fermarsi nel bosco delle diversità e delle incomprensioni, ma prima di perdersi completamente, rischiando di non incontrarsi più, ci si può fermare: “[…] // Mi fermo nel bosco / […] / sepolta dagli abbandoni, / tremante nell’accoglierti.”, (pag. 21). Soltanto nell’abbraccio ritrovato tra i corpi, “Un corpo. L’altro”, si ricompone il mondo che si era oscurato dietro il muro, “abitato dolore venirmi nel profondo”, è la pace ciò che piace, “Così mi piace. A fare pace”, “la casa ridiventa casa / […] / il cuore è cuore”. Carmen Grattacaso narra al lettore, in poche e vigorose poesie, i suoi umori, che appaiono sempre pacati e sereni, come a voler dare un senso di vita alle vicende anche di abbandono e divisione. Ma la cosa interessante è che queste poesie sembrano riflessioni personali, pagine di un diario dell’anima, con le sue propensioni e strategie, intelligenti e faticose, talvolta rare oasi di unione con un tu, vi si leggono sentimenti, ma la loro sapiente esposizione in versi, ben pesata nelle parole, fino alla nitidezza di ogni pagina scritta, rende e amplifica nel lettore una sorta di serenità, regalando pagine di accorta e sapienziale poesia: “Non è la notte che mette buio nelle case. // Sono le porte / quando si chiudono forte / alla nostra richiesta di entrare.”, (pag. 30).
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