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Livree e monocoli

di Marcel Proust (Biografia)

Proposta di Giuliano Brenna »

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Pubblicato il 07/04/2008

... Il barone gli promise che sarebbe andato a fare la visita ch' egli desiderava, dopo averlo accompagnato fino al portone del palazzo Saint-Euvert, dove Swann arrivò tranquillizzato dal pensiero che Monsieur de Charlus avrebbe trascorso la serata in via La Pérouse, ma in uno stato di malinconica indifferenza per tutto quel che non avrebbe riguardato Odette e, in particolare, per le cose mondane, stato che dava a esse il fascino di ciò che, non costituendo più un fine per la nostra volontà, ci appare in sé. Non appena disceso dalla vettura; in primo piano di quel compendio fittizio della loro vita domestica che le padrone di casa pretendono offrire agli invitati i giorni di ricevimento, nei quali cercano di rispettare la verità del costume e quella del decoro, Swann si divertì a vedere gli eredi delle «tigri» di Balzac, i grooms, séguito consueto delle loro passeggiate, i quali, in cappotto e stivali, stavano fuori, dinanzi al palazzo, al principio del viale, o dinanzi alle scuderie, come giardinieri allineati all'ingresso del giardino. La disposizone particolare da lui sempre avuta a cercare analogie tra gli esseri e i ritratti dei musei,s’esercitava ancora, ma in una maniera piùcostante e più generale: l'intera vita mondana, ora che ne era distaccato, gli si presentava come una serie di quadri. Nel vestibolo dove, un tempo, quand’era mondano entrava avvolto nel suo soprabito per uscirne in marsina, senza rendersi conto di quel che era avvenuto nei saloni, stando col pensiero, nei pochi istanti che vi si tratteneva, o ancora nella festa che aveva da poco lasciato, o già in quella dove stava per essere introdotto, per la prima volta notò destata dall' arrivo inopinato d'un invitato così in ritardo, la muta sparsa, magnifica e disoccupata dei domestici in livrea che dormivano qua e là su delle panche e delle casse e che, sollevando loro nobili profili aguzzi di levrieri, si rizzarono e, raggruppati, formarono cerchio attorno a lui. L’un di essi, particolarmente feroce all'aspetto e assai simile a certi dipinti della Rinascenza che rappresentano supplizi, s’avanzò verso di lui con un’aria implacabile per prendere la sua roba.
1"'1 ' di 1m con un d I '1111 vanzo Ma la durezza del suo sguardo d'acciaio era compensata dalla dolcezza dei suoi guanti di filo, così che, avvicinandosi a Swann, sembrava dimostrare sprezzo per la sua persona e riguardI per il suo cappello. Lo prese con una cura cui l'esatta misura del guanto conferiva qualcosa di miracoloso e una delicatezza che rendeva quasi commovente l’apparecchio della sua forza. Lo passò poi a uno dei suoi aiutanti, novellino e timido, il quale esprimeva lo spavento che provava volgendo in tutti i sensi degli sguardi furiosi e manifestava l'agitazione d'una bestia catturata nelle prime ore del suo addomesticamento.
A qualche passo di distanza, un pezzo d'uomo m livrea sognava, immobile, scultorio, inutile, come quel guerriero puramente decorativo che si vede nei più tumultuosi dipinti di Mantegna sognare appoggiato allo scudo, mentre al suo fianco v'è gente che si slancia e si sgozza;
staccato dal gruppo dei suoi compagni che si davano d'attorno a Swann, sembrava deciso a disinteressarsi della scena, che seguiva vagamente coi suoi occhi glauchi e crudeli, come si fosse trattato del massacro degli Innocenti o del Martirio di San Giacomo.
Sembrava proprio appartenere a quella razza scomparsa, e che forse esiste solo nella pala di San Zeno e negli affreschi degli Eremitani dove Swann l'aveva conosciuta e dove sogna ancora, nata dalla fecondazione d'una statua antica dovuta a qualche modello padovano del Maestro o a qualche modello sassone di Albert Durer. E le ciocche dei suoi capelli rossi, increspati per natura ma tenuti fermi dalla brillantina erano lungamente modellate come nella scultura greca studiata indefessamente dal pittore di Mantova il quale, se nella creazione non rappresentava che l'uomo, sa tuttavia trarre dalle sue semplici forme delle ricchezze così variate e quasi prese a prestito da tutta la natura vivente, che una chioma, per le lisce volute e le punte acute dei riccioli o nella sovrapposizione del triplice e fiorito diadema delle trecce, sembra a un tempo un ciuffo di alghe, una nidiata di colombe, una corona di giacinti o un tortiglione di serpenti.
Altri, poi, anch' essi colossali, erano collocati sui gradini d'una scalinata monumentale che la loro presenza decorativa e la loro immobilità marmorea avrebbe potuto far denominare, come quella del Palazzo Ducale: «La Scala dei Giganti» e che Swann si accinse a salire triste al pensiero che Odette non l'aveva mai scesa. Ah, con qual gioia, al contrario, si sarebbe arrampicato su per quei piani neri, maleolenti e rompicollo della ex sartina! In quel quinto piano sarebbe stato felice di pagare, più caro d'un palco d'abbonamento di proscenio, il diritto di passare la serata, quando vi andava Odette, ed anche gli altri giorni, per poter parlare di lei, vivere con le persone ch'era solita vedere quando egli era assente e che per questo gli sembravano racchiudere, della vita della sua amante, qualcosa di più reale, di più inaccessibile e di più misterioso.
Mentre in quella scala fetida e desiderata dell'ex sartina, non essendovene un'altra di servizio, si vedeva la sera, dinanzi a ogni porta, un recipiente per il latte, vuoto e sporco preparato sullo zerbino, invece nella scalinata magnifica e disdegnata che Swann saliva in quel momento, da una parte e dall' altra, a differenti altezze, dinanzi a ogni anfrattuosità prodotta nel muro dalla finestra della guardiola o dalla porta d'un appartamento, rappresentando il servizio interno che dirigevano e rendendo omaggio agli invitati, un portiere, un maggiordomo, un amministratore (brave persone che il resto della settimana vivevano un po' indipendenti nel loro dominio, mangiavano in casa loro come piccoli bottegai e sarebbero stati forse domani al servizio d'un borghese, medico o industriale), attenti a non venir meno alle raccomandazioni che erano loro state fatte prima di lasciare che indossassero la livrea smagliante, da essi rivestita solo a rari intervalli e nella quale non si sentivano molto a loro agio, stavano sotto le arcate dei rispettivi portali, Con uno sfoggio pomposo attenuato da una popolare bonomia, come dei santi nella loro nicchia; e uno «svizzero» enorme, in uniforme come in chiesa, batteva il marmo del pavimento con la Sua mazza al passaggio di ogni invitato. Giunto alla sommità della scalinata, lungo la quale lo aveva seguito un domestico dal viso pallido, in codino annodato dietro la nuca, come un sagrestano di Goja o un notaio da commedia, Swann passò dinanzi a una scrivania ove alcuni valletti, seduti come notai dinanzi ad ampi registri, si alzarono e scrissero il suo nome. Poi attraversò un piccolo atrio che - come certi vani, disposti dal proprietario per servire da cornice a una sola opera d'arte, da cui prendono il nome, e che, d'una voluta nudità, non contengono altro - esibiva all'ingresso, come una preziosa effigie creata da Benvenuto Cellini raffigurante un uomo di guardia, un giovane domestico in livrea, il corpo leggermente piegato in avanti, che ergeva sull'alto collo rosso dell'uniforme un viso più rosso ancora, da cui si riversavano torrenti di fuoco di timidezza e di zelo, e che, forando le tappezzerie d'Aubusson tese dinanzi al salotto ove si ascoltava musica, col suo sguardo impetuoso, vigile, sperduto sembrava, con un'impassibilità militare o una fede soprannaturale - allegoria dell' «all' erta», incarnazione dell'attesa, commemorazione del posto di combattimento - spiare, angelo o scolta, da una torre di maschio o di cattedrale, l'apparire del nemico o l'ora del Giudizio. A Swann non restava più che penetrare nella sala dove aveva luogo il concerto; un domestico, dal pesante collare a catena, gli aprì le porte, inchinandosi, come se gli consegnasse le chiavi d'una città. Ma egli pensava alla casa ove avrebbe potuto trovarsi in quello stesso momento, se Odette lo avesse permesso, e il ricordo intravisto d'un recipiente vuoto per il latte su di uno zerbino gli strinse il cuore.
Swann ritrovò subito il senso della bruttezza maschile, quando, al di là del parato di tappezzeria, allo spettacolo dei domestici seguì quello degli invitati. Ma questa stessa bruttezza di volti, che pure conosceva tanto bene, gli sembrava nuova da quando i lineamenti di essi, invece di essere per lui segni praticamente utilizzabili per l'identificazione della tal persona che fino allora aveva rappresentato per lui un fascio di piaceri da perseguire, di noie da evitare, o di cortesie da ricambiare, riposavano, coordinati soltanto da rapporti estetici, nell'autonomia delle linee di essi. E in questi uomini, in mezzo ai quali Swann si trovò rinserrato, perfino i monocoli portati da molti di loro (i quali, un tempo, avrebbero, tutt' al più, permesso a Swann di dire che portavano un monocolo), sciolti ora dal significare un' abitudine, eguale per tutti, gli apparivano ciascuno con una specie d'individualità. Forse perché guardò il generale de Froberville e il marchese de Breauté, i quall discorrevano sulla Soglia, solo come si guardano due personaggi in un quadro, mentre erano stati a lungo per lui gli amici utili che lo avevano presentato al Jockey e assistito in duelli, il monocolo del generale, rimasto tra le sue palpebre come una scheggia di proiettile nella sua faccia volgare, sfregiata e trionfale, in mezzo alla fronte che essa aveva accecato come l'unico occhio del ciclope, apparve a Swann come una ferita mostruosa che quegli poteva gloriarsi d'aver ricevuto, ma che era indecente mostrare; mentre il monocolo che Monsieur de Breauté aggiungeva in segno di festa, ai guanti grigio-perla, al gibus, alla cravatta bianca, e sostituiva agli occhiali familiari (come faceva lo stesso Swann), quando andava in società, recava incollato al suo rovescio, come un preparato di storia naturale sotto un microscopio, uno sguardo infinitesimale e brulicante d'amabilità che non cessava di sorridere al1'altezza dei soffitti, alla bellezza della festa, all'interesse del programma e alla qualità dei rinfreschi.
- Toh, voi, ma è un secolo che non vi si vede!- disse a Swann il generale che, notando i suoi lineamenti tesi e inducendone che forse una malattia grave lo teneva lontano dalla società, aggiunse - Sapete che avete un bell'aspetto? - mentre Monsieur de Bréauté domandava:
- Come, voi, mio caro, e cosa ci venite a fare, qui? - a un romanziere mondano che s'era allora incastrato all' angolo dell' occhio un monocolo, unico suo organo d'investigazione psicologica e di spietata analisi, e che rispose con aria importante e misteriosa, arrotando la R:
- Io - osservo.
Il monocolo del marchese de Forestelle era piccolo, non cerchiato e, obbligando a una contrazione incessante e dolorosa l'occhio ove s'incrostava come una cartilagine superflua, la cui presenza è inesplicabile e la materia ricercata, conferiva al volto del marchese una delicatezza malinconica e lo faceva giudicare dalle dame capace di gran pene d'amore. Ma quello di Monsieur de Saint-Candé, cerchiato da un enorme anello, come Saturno, era il centro di gravità d'un viso che si disponeva a ogni istante in rapporto a esso e il cui naso fremente e rosso, e la bocca dal labbro inferiore sporgente e sarcastica, procuravano con delle smorfie di essere all' altezza del fuoco continuo di spirito di che il disco di vetro scintillava, e si vedeva preferito dagli sguardi più belli del mondo di giovani snob e depravate che mercé sua sognavano incanti artificiali ed una raffinata voluttà; intanto, dietro al suo, Monsieur de Palancy il quale, con la sua grossa testa di carpione dagli occhi rotondi si spostava lentamente in mezzo alla festa, schiudendo di tanto in tanto le sue mandibole come per cercare l'orientamento, sembrava trasportare solamente con sé un frammento accidentale, e forse puramente simbolico, del vetro del suo acquario, parte destinata a rappresentare il tutto che ricordò a Swann, grande ammiratore dei Vizi e delle Virtù a Padova, quell'Ingiusto al cui fianco un ramo fronzuto evoca le foreste dove si nasconde la sua caverna…

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