L’espressione di sollievo illumina inaspettata lo sguardo di Irene fino ad allora triste e preoccupato. Le sue mani si cercano e si toccano, le sue dita si intrecciano e si stropicciano e poi Irene si abbraccia, incrocia le braccia sul seno e stringe se stessa per amarsi un po’ di più.
La tensione accumulata viene meno e le sue labbra si distendono in un ampio sorriso, i suoi occhi si socchiudono appena, non sono più aperti, come contratti, senza vedere, in attesa ma ridono partecipi delle espressioni compiaciute del volto intero.
Irene abbassa il capo, stanco, cerca un sostegno dove sedersi, dove rilassare la fatica del corpo intero irrigidito da troppo tempo e si abbandona sulla sedia . Con una mano sposta i capelli, scesi sparsi davanti agli occhi e li accomoda portandoli dietro con il gesto pieno e fermo della mano. Il suo sorriso si apre e i suoi occhi si riempiono di luce che riflette il proprio sentimento di benessere compiuto. I piedi si uniscono mentre le ginocchia sono piegate con i calcagni appoggiati al suolo e gli alluci pareggiati, poi Irene flette le gambe, le distende e le divarica. La gonna le scende formando un’onda di tessuto tra le gambe e gioca ripetendo il movimento, come, bambina, con i capelli intrecciati, soleva fare. Pur scomoda e traballante la sedia assolve al piacere fisico e mentale di rilassamento del suo corpo ancora leggermente contratto.
Irene si alza e, equilibrando il peso del corpo con l’oscillazione delle braccia, ondeggia danzante, muove passi e rotea la testa; i capelli, sciolti , si slanciano e si ritraggono in movimenti ondulatori, rotatori, sussultori. Irene aumenta il ritmo come mossa da tamburi percossi, ride, libera la grazia e l’accompagna alla frenesia, al piacere del corpo che si muove, esaltato da fluidi positivi che irrorano le membra poco prima immobili e quasi percepite come inutili. La vita ritorna e i dispiaceri diventano memoria.
Irene saluta il vento che le vortica attorno, bacia la pioggia che la illumina, ride e così si toglie l’ultimo velo d’ombra e anche le gote risplendono, mirabilmente, come pomelli porpora, impreziositi dalle ciocche di capelli neri che le si adagiano, istante per istante, sul volto.
Irene si toglie, languida e sola nella stanza, gli abiti che appesantiscono la danza e intralciano i movimenti, si ammira nella sua visione di un giorno e si apprezza, si sente finalmente se stessa. Irene volteggia e cerca la sua ombra, cerca di osservare i movimenti della sua ombra e immaginarsi come segni di matita leggeri che disegnano le tracce armoniose del suo corpo. Un gesto di un pittore l’avrebbe fatta felice, per grazia e passione se avesse scelto lei.
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