L’esistenza “in controluce”, l’amore e “l’arcano” nella poesia di Maurizio Soldini, il medico-filosofo romano dell’Università “La Sapienza”
La poesia come felice incontro tra fisica e metafisica, tra lettura del senso delle cose e trasfigurazione della realtà, tra fides et ratio, spiritualità e corporeità, ricerca di dignità e spersonalizzazione dell’esistenza, è quella che Maurizio Soldini, medico – filosofo, poeta e scrittore romano, ha maturato lungo il suo solido itinerario culturale, caratterizzato, per quanto concerne la poesia, dalla pubblicazione delle sillogi “Frammenti di un corpo e di un’anima” (Aracne, 2006), “In controluce” (LietoColle, 2009), “Uomo. Poemetto di bioetica” (LietoColle, 2010), “La porta sul mondo” (Giuliano Ladolfi Editore, 2011), “Solo per lei. Effemeridi baciate dal sole” (LietoColle, 2013), e oggi fortemente alimentato con testi inediti di particolare rilievo sociale e filosofico-esistenziale.
Maurizio Soldini, che insegna Bioetica presso l’Università la Sapienza di Roma e che collabora con il quotidiano Avvenire e con diversi blog e riviste letterarie on line, è sicuramente una figura eclettica, atteso che i suoi campi di interesse spaziano dalla medicina alla filosofia, dalla letteratura alla poesia, dalla critica letteraria alla narrativa, tutti ambiti nei quali trova modo di offrire contributi con saggi scientifici e di forte spessore intellettuale.
In questa sede desideriamo occuparci del Soldini poeta, con particolare attenzione alle raccolte “In controluce”, “La Porta sul mondo” e “Solo per lei. Effemeridi baciate dal sole”, testi nei quali egli utilizza apprezzabili registri stilistici ed estetici per tradurre – e prendo a prestito il poeta Giovanni Giudici – la “vita in versi”, stabilendo una circolarità ermeneutica tra tempo ed esistenza, realtà sensibile e soprasensibile, ontologia e prassi, essenza e contingenza, corpo ed anima.
a. “In controluce”
“In controluce” è una raccolta dove predomina la testimonianza poetica di una relazione affettiva, quella che si stabilisce tra madre e figlio, ricondotta su un binario lirico emotivamente intenso e contrassegnato da sentimenti che si snodano come un “canzoniere”, al fine di ridare voce e parola, in controluce, al “volto di una madre che cola(va) lacrime”.
Il poeta, nelle prime due sezioni del volume, si abbandona ad una struggente malinconia interiore trovando conforto “nella presenza dell’assenza” della madre “che ormai non trema più per il freddo argentino fuori dal tempo”, ma “nel gelo della pietra nuda” divenuta la sua casa, e che non ascolta più “chi declama ad alta voce / il “meriggiare pallido e assorto / (di montaliana memoria) su aguzzi vetri di bottiglia / lungo un rovente muro d’orto”.
Egli ritma nei suoi versi tempi e luoghi del distacco materno, con un andamento lirico dal quale traluce “una poetica degli affetti” fortemente contrassegnata dall’amore. Il poeta e il medico diventano, nel verso, un’unica sostanza, quella dell’uomo che si curva sul dolore della madre “mentre la neve ricopriva i prati”, e “la morte si affacciava / col suo pesante fardello”; l’uomo del dolore che si appresta a fare l’ultimo viaggio con lei e che “solo con le mani in testa siede / sulle possibili evenienze della scienza / che poi non sono tante…” ; l’uomo della speranza che “aspetta il verdetto della verità” mentre il suo cuore ascolta il lamento della madre che, muovendo la mano, sembra dirgli “andiamo”.
In questo quadro d’affetti, la raccolta si estende, poi, in altre cinque sezioni che si integrano nell’unità di un discorso lirico ove il poeta Soldini raggomitola i filmati della memoria in una sorta di atmosfera chiaroscurale nella quale – come bene dice Stefano Verdino nella prefazione – “ ‘in controluce’ è la peculiare angolatura delle relazioni umane, che Soldini non vede in una relazione di luce-buio, ma nella particolare dimensione del controluce” . E in tal modo il suo poetare si connota come “nostos”, come ritorno alle origini, come ricongiungimento tra il passato e il presente, arricchendosi di affacci crepuscolari imbevuti di emozioni e stati d’animo che disegnano il tracciato di un percorso di meditazione sulla significabilità degli accadimenti umani.
Il tono elegiaco dei versi si estrinseca in un atteggiamento di dialogo interiore del poeta con se stesso e con la madre, atteggiamento a volte malinconico, triste, ma aperto al bisogno di sospendere il tempo, mediante la poesia, per ricollocarvi i vissuti già consumati nel cuore.
E questa “sospensione del tempo” costituisce fondamentalmente il leit-motiv delle altre sezioni del volume “In controluce”, dove Soldini rivisita il suo distacco familiare, rievoca sentimenti, emozioni, attimi di speranza, sogni perduti, aneliti e passioni con un linguaggio mesto, dolente e caratterizzato dall’alternarsi di toni meditativi.
Il poeta, insomma, dà una voce al ricordo; il suo verso si trasforma – direbbe Platone – in una sorta di “tavoletta di cera” posta nell’anima, nella quale egli imprime i suoi ricordi materni come delle impronte: “Le piaceva il mare quando poteva andare / e ascoltava il sole guardandolo attraverso / la brezza stampigliata sulla sua pelle / abbronzata di sale e imperlata di sabbia…”; “…Di poco sapeva accontentarsi e spesso lo diceva / che per lei Piazza Venezia era il simbolo / della sua città…”; “Tu vivi appesa alla mia vita / fintanto che io vivo e non c’è / morte che possa cancellarti / se prima non mi porta via…”
b. “La porta sul mondo”
Un “viaggio odissiaco” appare la raccolta poetica “La porta sul mondo”, ove Soldini ricorrendo ad una versificazione dal piglio poematico fa interrogare l’uomo contemporaneo sul suo essere nel tempo e nello spazio, situandolo in quello che oggi è l’ipermercato, “scatolone / dove il tempo è scandito / da quel televisore / che annuncia le occasioni di giornata” (VIII).
Puntando su tre eroi paradigma, Marcovaldo, Astolfo, Ulisse, il poeta disegna le coordinate del cammino giornaliero nel quale ogni persona, che rappresenta Itaca, si imbatte nel sistema organizzativo, psicologico, culturale del centro commerciale. Con parallelismi poetici che richiamano la cultura classica, il poeta Soldini riesce a farsi interprete di un disagio che aggredisce l’uomo della post-modernità, il quale pensa che dentro “lo scatolone”, divenuto “centro di gravità permanente”, trova tutte le risposte ai suoi bisogni, attribuendogli, pertanto, un valore soteriologico in quanto strumento che non costringe più a correre alla ricerca di “negozi sparpagliati / uno a ponente l’altro a meridiana / uno più a nord e l’altro a est o a ovest” (VII).
La raccolta “La porta sul mondo” è, insomma, la denuncia dell’alienazione dell’uomo contemporaneo ingabbiato dentro sistemi economico-commerciali di plagio mentale ove tutto è preconfezionato e telecomandato, ma , paradossalmente, percepiti come liberanti: “I centri commerciali / Ci hanno liberati: /Ci hanno allontanato / Da quelle passeggiate /Che un giorno facevamo in plein air” (VI).
Maurizio Soldini utilizza un linguaggio poetico ricco di ironia, di satira, le sue parole ricorrono alla provocazione, incitano ad una rivoluzione mentale (“Decidi allora/ Di andar controcorrente/ Di uscir da questo mare di incertezze “- XIII) e aprono un orizzonte nuovo: quello dell’amore, al quale, per il poeta, solo l’arte aiuta ad accedere.
All’uomo della post modernità, secondo il poeta Soldini, non resta che trovare in Ulisse il suo riferimento, essendo l’eroe “che nonostante tutto / naviga in questo mare di vergogna” (III), il cercatore di spazi di senso dentro le contraddizioni e i paradossi del non senso dell’esistenza.
c. “Solo per lei. Effemeridi baciate dal sole”
Proseguendo nella nostra analisi sulla poesia di Soldini, notiamo che fra “In controluce” e il volume di poesie “Solo per lei. Effemeridi baciate dal sole”, si coglie senza dubbio un “continuum”, che è dato dalla dimensione degli affetti, rivolti, in questo secondo testo, a Mina, destinataria ed ispiratrice della raccolta, che assurge – come si legge nella prefazione – “a quel ruolo straordinario di sacerdotessa e custode del proprio innamorato, senza perdere tuttavia la sua identità stabile di Donna e di Creatura terrestre”.
Proprio come l’amore, che è sempre sorprendente, dinamico, in movimento, ricco di passioni ed emozioni, impressioni e delusioni, solarità e dono, così appare la morfologia del volume, che risulta caratterizzato da versi che variano da settenari ad endecasillabi e che approdano sulla pagine anche con il ricorso alla scelta di versi ipermetri.
“Solo per lei” è un canto lirico dove viene alla luce proprio la dinamica dell’amore. La figura femminile è quella di Mina, una donna amata, sognata, attesa, evocata nel ricordo, e la cui vita è scritta insieme a quella del poeta sul “muro coperto da muschio”: “…Sul muro coperto da muschio / scivola lentamente come una goccia di rugiada / abbarbicata in un abbraccio alle verdi ife / la nostra piacevole esistenza di comuni intenti…”
C’è, nei versi di Soldini, uno slancio affettivo che descrive la bellezza dell’amore con immagini nitide, calde, con un mix di eros e di agape, con una punta di contemplazione che enuncia il senso anche spirituale di un sentimento che nel nostro tempo, purtroppo, ha smarrito la strada di senso: “…Vorrei gridare a questo mare / e a questo sole che si annuncia appena / che l’amore mio è immenso come la distesa / di acqua e di aria che ci stanno di fronte /.Vorrei scandire ad una ad una le lettere / delle parole e delle frasi che solo il cuore / sa ascoltare. Parole (…) che tu sola, Mina, anima mia / sai leggere e capire nel dire mio mutato nel silenzio / che ti comunico guardando negli occhi / tra i baci dati a perdifiato sull’umida battigia / di questa fresca mattina alla cara marina”.
Dentro questo quadro ove cielo e terra si fondono nella sostanza di un rapporto intenso, il poeta Soldini offre la dichiarazione d’amore alla sua donna con parole ricamate di bellezza, di calore, di passione, di gioia, di metafore, di immagini, di allusioni, di riferimenti circostanziati: “Soltanto se incontro te, se imbatto i passi miei nei passi tuoi – dice il poeta – (…)solo allora mi accorgo di esserci e che esistono i pensieri, / che il mondo è qui a farmi gioire, che esiste una persona/ che mi rende vivo, / che fa annegare la mia indifferenza, / che riesce a darmi un senso per la mia vita , che oltre sa / portarmi al routinario, che sola sa donarmi felicità, / che unica, mia Mina, incedendo verso me, / riesci a farmi emozionare e farmi palpitare”.
Queste citazioni sono lo specchio di un sentimento che si dispiega come “ esperienza d’amore” variamente vissuta ed avvertita come necessaria, quasi intrinseca al vivere quotidiano.
Ed è una esperienza che il poeta annota come in un diario e che rivede nelle sue sfumature più sottili: ora incendiata di passione ora di attese, ora attraversata da spazi d’aurora ora da sguardi di silenzi, ora da sogni ora da desideri di comunione intima percepita nella sua gioia più profonda: “La languida espressione di labbra / che cercano le mie in un rosso / bagnato di piacevole desio / mi fanno sconfinare in paradisi / mai tentati prima di ora nell’ora / che non è più di questa terra…/
La silloge “Solo per lei” è davvero l’espressione di un amore forte ed autentico, dove non traspare sentimentalismo di maniera, ma emerge il ruolo di una donna divenuta “un paesaggio d’anima ” dipinto in versi, e amato e contemplato con un crescendo lirico che parla di sentimenti vivi, di sogni lontani dal cadere e destinati a durare nel tempo. Con un linguaggio impressionistico il poeta vede se stesso, i suoi affetti, i suoi amori e le sue esperienze interamente immersi in un universo trascendente, ove egli si percepisce quasi come un attore – personaggio che cerca di ricucire, mediante l’ itinerario lirico, i fili e le immagini della sua memoria. La poesia di Soldini è certamente un atto di amore verso la vita, è lo specchio sul quale egli vede scivolare frammenti della sua storia e della sua esistenza.
d. Recenti poesie sparse
Le note del nostro discorso critico non possono, infine, non soffermarsi sulle scelte stilistiche del poeta, il quale in alcuni testi non disdegna il minimalismo, in altri cerca di evitarlo e in altri affina il verso con parole che volano alto fino a toccare vette di ermetismo. Sono, senza dubbio, scelte condivisibili, atteso che il poeta sa di essere un uomo dentro la storia e non dentro una torre eburnea, con molti maestri di riferimento che risuonano nei suoi versi, come Montale, Giudici, Pavese, Zanzotto, Luzi, Caproni, tanto per citarne alcuni.
Una certa raffinatezza stilistica ed una vena di ermetismo si avverte nelle ultime liriche pubblicate da Soldini sulla rete e in alcuni siti on line, liriche nelle quali egli alza il livello della sua versificazione con dichiarazioni di poetica in cui si interroga sul senso della morte, sull’essenza della quotidianità e dell’essere nel tempo, sul malessere esistenziale dell’uomo della post modernità.
La poesia dell’ultimo Soldini opera, insomma, una approfondita analisi della psicologia della quotidianità. E’ una poesia che definirei realistica, sociale, psicologica, drammatica: insomma una poesia in cui troviamo una combinazione di svariati elementi, che vanno dal “brusio dei tavolini” ai “passi rotti dai vetri”, dalle vetrine della sera agli sguardi degli occhi, inespressivi e privi di significanza. Il poeta opera un circuito lirico-comunicativo tra il sensibile( la tazzina, i tavolini, l’odore del caffè, le vetrine..) e il sovrasensibile ( lo scorrere del tempo, il rapporto con il proprio presente e il senso dell’hic et nunc). Soldini sembra simboleggiare l’uomo che va alla ricerca della propria identità, del proprio rapporto con il tempo, dello scorrere delle giornate ove “ognuno si affoga nella spesa di tempo” magari domandandosi : dove sono? Dove mi sto avventurando? A cosa sto andando incontro? In queste domande si concentra lo spaesamento che vive il poeta, specie quando comincia ad avvicinarsi alla verità : “si sbriciola il presente come sfoglia”.
Soldini mostra di sentire tutto il malessere dell’uomo contemporaneo condannato alla solitudine e all’incomprensione, e rassegnato ad essere pirandellianamente “Uno, nessuno centomila”.
Alcune sue recenti poesie evocano, poi, sentimenti capaci di dare voce alla materia, alle figure, alle cose e all’ambiente(“l’ombra che si defila nel giorno”, “lo sfrenarsi di luci”) con un impasto di immagini e di effetti chiaroscurali e cromatici armonizzati all’interno di una tecnica poetica originale, e con un metalinguaggio che nasconde l’indagine interiore dell’autore lasciando trasparire il bisogno di un dialogo tra l’io poetico e i linguaggi della realtà, che vengono riprodotti nella loro funzione simbolico- semantica; il ritmo dei versi e la scelta delle parole riescono a porsi davvero come sviluppo di dichiarazione di poetica.
Qualche altro testo lirico ci offre una serena riflessione sulla morte, riportandoci al pensiero di Sören Kierkegaard , il quale sostiene che “Nella vita l’unica cosa certa è la morte, cioè l’unica cosa di cui non si può sapere nulla con certezza”. E cos’è la morte per Soldini? Non sembra essere un semplice dato biologico, quanto un “evento”, da un lato, e, dall’altro, il più intimo e singolare dei vissuti umani: “…cos’è la morte / se non il guazzabuglio del tempo / che ferma l’incanto del movimento / nel procedere nelle quattro stagioni”.
Il poeta pone al lettore due prospettive diverse di rapportarsi alla morte, le quali corrispondono alle due figure della ragione e della fede. In quanto costituisce un “fatto”, la ragione poetante oggettiva la morte, mentre, in quanto vissuto interpretato dalla fede, la morte costituisce l’essenza stessa del vivere umano ed è indissociabile da esso, per cui il senso del morire già appartiene al senso del vivere. Piace questo parlare di Soldini della morte, perché si contrappone all’idea di molti che punta invece su una “rimozione della morte”: una rimozione pratica, a livello di condotte sociali, ed una rimozione teorica, relativa alla mediazione culturale del fatto.
Il poeta, invece, non la rimuove ma la affronta come “guado lento o svelto tormento”, con la consapevolezza che “rimane solo il computo della parola”, ossia la parola che canta quella che Gregorio Magno chiamava “prolixitas mortis”, ossia il suo riflesso sulla vita, attraverso le esperienze di fragilità, di finitudine, di mutevolezza, e che trova nella poesia il suo ruolo soteriologico. Solo “i ricordi appesi alla memoria” ci proiettano nel futuro tra finitudine ed eternità.
In un’altra recente poesia, “L’arcano nel bieco seminterrato”, Soldini ci introduce ancora in una dinamica esistenziale che trova nel binomio “bisogno-attesa” un suo nodo problematico. L’absurdum del nostro tempo che il poeta ci mette di fronte è il fatto che ogni uomo, pur vivendo, “ha bisogno di vita” , perché quella che vive spesso è solo apparenza, è segnata da fuggevolezza, instabilità, mutevole cambiamento, fragilità, parcellizzazione e costante divenire. Da qui la ricerca, l’ansia dell’attesa , il bisogno di trovare “un istante per guardare oltre”.
“In ogni istante della nostra vita – diceva Oscar Wilde- siamo ciò che saremo, non meno di ciò che siamo stati ed Eraclito aggiungeva “Io stesso muto nell’istante in cui dico che le cose mutano”. Ebbene, la poesia di Maurizio Soldini riesce a muoversi all’interno di coordinate metafisiche anche in un sol breve componimento, ove egli riesce a dare una visione dell’universo, un segreto dell’anima, una poetica di cose di oggetti, tutto insieme. Analizzando per un attimo il significato del lemma utilizzato dal poeta, cioè “istante”, notiamo che istante è un composto : in- stante: cioè che “sta in”, “sta dentro”: qualcosa, qualcuno.
L’istante di Maurizio Soldini è uno “spazio di senso” ove è possibile “guardare oltre” e nel quale c’è uno scontro tra l’ “io superficiale” del poeta e il suo “io profondo” : l’io superficiale afferra le emozioni, le suggestioni e queste passano, sono fuggevoli, non durano a lungo; l’io profondo poggia sulla ragione che afferra la sostanza, il valore, il senso di ciò che vale in sé e per sé e che quindi perdura anche se l’istante è fuggevole. C’è insomma nel poetare di Soldini una attesa, l’attesa che si nutre di un “quid”, di un “valore altro”, che è “l’arcano
che precipita come sbalzo di luce” , quindi una speranza: nella lotta tra “sconfitta e vittoria” cui l’esistenza umana si trova ad oscillare, la vita, intesa come armonia dell’essere con l’Essere, è lì , “dietro la svolta ad aspettare al buio”. Bisogna solo saperla trovare ! E quando la si trova, anche la morte, illuminata dalla luce dell’arcano, acquista senso e diventerà seme di resurrezione.
Messaggi di forte valore umano si dipartono, ancora, da altre liriche sparse, costruite con un ritmo ed una melodia che arrivano al lettore come “carezza dell’anima” accompagnata da elementi paesaggistici e naturalistici. Il vento, le cicale, le nuvole, i grilli, la luna, il cielo e le stelle, il “fruscio del pero e del susino” diventano il tessuto poetico di un’epifania del sentimento che si fa meditazione dolente dell’esistenza. Il poeta Soldini entra quasi in punta di piedi (“Chiedo permesso”) e in silenzio dentro questa scenario naturale, per ritemprarsi tra gli spazi dell’immenso e per “uscire dal nulla” che opprime, nonché per compiere un atto di liberazione: gridare, nonostante tutto, che egli “c’è”, che egli “ è vivo”.
Nei suoi versi c’è, pertanto, l’ estensione di una tematica universale che riguarda ogni uomo che è alla ricerca di se stesso, al quale il poeta rivolge l’invito a “svoltare l’angolo” e a credere in se stesso, immergendosi nel paesaggio naturale. E così il suo poetare si dispiega con un linguaggio che crea una circolarità ermeneutica tra “sguardo e paesaggio”, tra “ esistenza ed esperienza” , “oppressione e ansia di libertà” non per rifuggire dal mondo, ma per rimanervi trovando nella poesia un’ ancora di salvezza.
Dunque l’atmosfera entro cui si muove la poetica di Soldini – si veda, ad esempio, la lirica “Settembre” – offre al lettore sentimenti che danno al tempo non un mero significato cronologico inteso come alternarsi del ciclo delle stagioni, ma una “funzione kairotica”, cioè di rappresentazione di senso di un momento di intima esistenzialità e di avvio di nuove esperienze(“settembre lascia dietro a sé l’estate / di distrazioni come fiato perso”) con cui il poeta rilegge il suo rapporto con il tempo in termini di relazionalità sentimentale ed affettiva, proiettando il suo “io lirico” su treni dai cui finestrini “scorre una filiera di muti / che disperdono parole in vacanza / come chiacchiera da parrucchiere” e in cui si affollano “visi da magazine in occhiali da sole”.
Attraverso un intreccio di immagini, figure retoriche e trasfigurazioni paesaggistiche, Soldini accoglie il mese di settembre come “ tempo della ricordanza ” di leopardiana memoria se è vero che egli tesse istanti e spazi che vanno dall’ “era di maggio quando giovani e forti / si preparava la battaglia per partire / la tenda un sacco a pelo e la bisaccia” alla scrittura di “nostalgie di muri / sopra le breccole di persiche”; il poeta, insomma, riesce a ricreare, attraverso la fantasia e l’immaginazione, la “finzione” di un nuovo tempo, e cioè il tempo della poesia, il tempo del linguaggio, nel quale al “vero” tempo vissuto nella giovinezza si sostituisce il tempo della nostalgia nella sua valenza di ricongiungimento.
Certamente nella memoria nostalgica di Soldini il passato viene anche ingentilito e ammantato di una certa aura positiva, tant’è che si coglie anche un processo di nobilitazione.
Per concludere, un poeta davvero “completo” Maurizio Soldini, che è in grado di viaggiare sulle ali della quotidianità, degli affetti più comuni, sulla semplicità delle cose con toni più dimessi, ma che sa anche tenere un profilo alto interrogando il nostro tempo con un poetare che si snoda come fenomenologia dell’esistenza, perché coglie l’uomo nella sua situazione esistenziale singolare e nella concretezza della vita vissuta.
Luzianamente parlando, Soldini indaga l’identità, le differenze, le relazioni, il destino, la morte , interroga il piano divino dell’essere e la verità oggettiva con versi dal “piglio filosofico” radicati in una dimensione umana e trascendente matura, ragionata, comunicata con il cuore, con immagini, metafore, simboli, accostamenti analogici e con uno stile delicato, soave e impregnato del suo pathos interiore. Ma, soprattutto, come dice lo stesso Soldini, con quel “pathos dell’amore e della poesia che sono la faccia della stessa medaglia”.
http://www.radiortm.it/2016/06/05/in-punta-di-librodi-domenico-pisana-lesistenza-in-controluce-lamore-e-larcano-nella-poesia-di-maurizio-sol/
5 giugno 2016