Pubblicato il 18/09/2016 22:42:09
Emigrazione : Scene di ordinaria partenza
Per esperienza diretta ,si vuole raccontare un pò le scene in cui si svolgevano le partenze e le ripartenze dei nostri famigliari emigranti, e lo strazio palpabile che si avvertiva. Non parlo di quando mio padre lasciò mia madre, sola, con i miei fratelli più grandi, piccolissimi e ancora da svezzare,per andare ad arruolarsi per qualche tempo nella Polizia di Stato,reparto “Celere”,presso la Squadra Mobile di Firenze, che lui ,quand’ era ancora in vita ,ricordava come :”Quando facevo lo sceriffo….” .Sarà stata sicuramente una scena straziante , ma di cui non posso dare testimonianza in quanto non ero neanche nato. Però,ricordo benissimo le sue partenze ,i suoi arrivi e le sue ripartenze per la Svizzera, proprio come avveniva nella maggior parte delle famiglie raponesi nel secolo scorso e fino agli anni 70 (più o meno). Il giorno della partenza: quasi sempre si partiva di pomeriggio, quasi sempre si partiva in treno e viaggiando di notte,quasi sempre appena ci svegliavamo capivamo che non era un giorno come gli altri,sempre,e ripeto sempre, eravamo un pò tristi.Anche se bene o male eravamo già abituati ad altre partenze,…sembrava che era sempre la prima volta! Non sò perchè, ma pensavamo sempre con preoccupazione,alla scena della mamma che piangeva quando sarebbe arrivato il momento dei saluti.Nella mattinata i nostri emigranti in partenza nel pomeriggio,andavano già a salutare amici e parenti più ”alla lontana”, poi rientravano a casa. Dopo aver mangiato e aver aggiunto sempre qualcosa a quella valigia di cartone pressato, color marrone, sempre più gonfia ,sempre più fragile, la si “rinforzava” aggiungendo sempre più spago.Ed ecco che: iniziavano ad arrivare per i saluti finali, parenti e amici più”stretti”.In attesa dell’arrivo della macchina che doveva portare l’ emigrante alla stazione di Rapone,per ingannare l’attesa si dialogava del più e del meno tranquillamente.Poi però,appena si sentiva il rumore del motore della macchina in sosta sotto casa,…alè! i discorsi si interrompevano e si passava direttamente ai saluti;e… a quella scena già prima temuta.Cercavamo di trattenere le lacrime,ma nonostante l’impegno non si riusciva a domarle del tutto,più si guardavano mamme e famigliari che piangevano, più ci si arrendeva.Si salutava poi con lo sguardo la macchina che ripartiva,ognuno accompagnato dalle proprie pene . Man mano che i minuti passavano, ci accorgiavamo poi, che il petto si sgonfiava e tutto tornava quasi come prima… Per smorzare l’angoscia che ti assaliva ,già si pensava al suo prossimo arrivo(è una regola di sopravvivenza!).Nell’attesa il tempo non passava mai,prima che passasse un anno…ce ne voleva! adesso invece è tutto il contrario,il tempo trascorre velocissimo. All’epoca , il “collegamento” fra le “parti “si svolgeva solo a” lettera”,ogni quindici giorni circa,ecco che arrivavano e partivano” lettere”.La cronaca di vita di quindici giorni di ognuna delle “parti”, riportata in quelle lettere.Molto spesso , i raponesi emigrati ,risiedevano nello stesso luogo o nelle vicinanze di altri compaesani e a volte le informazioni si ricevevano anche indirettamente nel seguente modo; si incontravano casualmente due mamme o due mogli,soprattutto, e dopo i saluti rituali iniziava l’ ’”approfondimento”,con frasi tipo:”Giuseppì, ha scritt Francis.c ?”, e lei di rimando:”Uei sì! e a ti ha scritt maritt?”,e la risposta a volte era :”Macchè!…è nu me-s ca nun scriv!...quiru mostr!” Sicuramente alla fine qualche informazione in più si era avuta. Quando poi giungeva il momento del loro ritorno,eravamo contenti si,ma… eravamo più contenti(parlo da bambini) perchè sapevamo che ci avrebbero portato la cioccolata e le caramelle.Allora, non ci preoccupavamo certo della loro scadenza ,come fanno i nostri figli ora,anche perchè all’epoca non c’era ancora l’obbligo di riportarla sulla confezione.La genuinità,diciamo così, la scoprivamo sul campo,cioè mangiandola! e siccome all’epoca non si buttava niente ,non ricordo mai di aver buttato un pezzo di cioccolata. Una nota a parte la merita la partenza delle famiglie raponesi che emigravano oltreoceano,soprattutto Australia e Stati Uniti,un esodo biblico che coinvolgeva tutto Rapone, Con la quasi consapevolezza che quelle persone difficilmente si sarebbero potute rincontrare a breve distanza di tempo ,quasi tutti i raponesi andavano a salutarli prima della partenza. Personalmente, ricordo, quando partì per l’Australia la famiglia del sig. Giacinto Moliterno,dovevo andare a salutarli anch’io perchè ero amico anche delle figlie,soprattutto di Lucia,che veniva a scuola con me,ma sapendo che la casa era piena di gente e conoscendo il mio carattere troppo timido,feci una fatica enorme e alla fine andai.Ricordo che: Lucia ,conoscendo il mio carattere timido,appena mi vidde, mi venne incontro dicendomi più o meno così:” Eri l’ultimo! pensavo che non venivi!”,ricordo che capii che mi stava aspettando.Soprattutto per loro, che partivano per terre così lontane, non doveva essere facile staccarsi dagli affetti e da Rapone,lo si capiva dalla voce ,a tratti tremolante , che cercavano di nascondere dietro il sorriso di circostanza.Era forse il 1968, ci siamo rivisti solo una volta qualche anno dopo . Come è stata e come è tutt’ora ,amara, l’esperienza dell’emigrante,quante scene si sono succedute,quante ,forse, ne succederanno ancora.Per apprezzare bene Rapone,bisogna vivere lontano da Rapone .Per noi emigranti,i ricordi dei suoi tramonti,dei suoi cieli azzurri, della sua gente, di quel venticello che sempre ti accarezza,ci accompagneranno sempre,ovvero, fino al nostro …“tramonto”.
Gerardo Miele
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