Poeti (di Torino) in 10 righe - 3. Daniele GIGLI
Daniele Gigli è nato a Torino nel 1978, lavora come archivista documentalista e consulente di comunicazione. Studioso e amante di T.S. Eliot, ne ha curato alcune traduzioni, tra cui quelle di The Hollow Men (2010) e Ash-Wednesday. Ha pubblicato le plaquette Fisiognomica (2003) e Presenze (2008) ed il volume di versi Fuoco unanime (Raffaelli, 2015 – Joker, 2016), con postfazione di Francesco Napoli. Scrive di poesia e filosofia su «Il sussidiario», «Biblioteca di via Senato» e «Studi cattolici».
In Fuoco unanime, di fatto la sua opera prima, Gigli mostra una poetica già, come suol dirsi, matura e definita: una visione elevata, sacrale e religiosa della vita e della poesia viene sostenuta da una “lingua dura e tagliente [che] si muove secondo una meditazione concentrica e sempre più alta” (A. Rivali) e dalla forte tensione morale della parola, vero strumento per «ricostruire dopo la sfacelo». Lo stile e l’architettura dei versi, delle sillogi e della raccolta, sono attentamente sorvegliati, eleganti e vivi.
Tre testi da Fuoco unanime, I ed. Raffaelli, 2015, II ed. Joker, 2016
CIVILTÀ DEL FUOCO
Un monumento, dice Wystan,
al primo che dimentico del pranzo illuminò la pietra.
E chi dopo di lui rubò l’idea, chi con il fuoco non illuminò ma arse,
a quelli che consumano la vita a fuoco basso,
a loro quali grida, quali danze di vendetta?
FUOCO UNANIME
1.
L’urlo delle cornacchie squarcia l’aria.
Sul piano d’orizzonte, tra i palazzi,
all’ora in cui s’attardano i pensieri e sfumano parole nei racconti di giornata
– diafane e imprensili, non catturanti –
piega la poca luce verso sera.
Convergono
dal prima all’ora, ciascuno dal suo carcere,
nell’ora d’aria che riscatta il tempo,
nel tempo che consuma, tesi ad afferrarlo, a farne brama.
Tracce di fango umido sotto le suole, si fermano alla soglia
immemori, ciascuno fisso al proprio punto,
attesi al corpo della polvere, votati alla schermaglia, al fremito
dei gomiti sul tavolo.
ALYSCAMPS
4.
«Chi passa il delta muore».
Uomini che s’alzano nell’alba, verde
l’alba, verde la speranza. I nomi
tornano alle facce, alle attese di giornata,
dove riaffiora l’opera interrotta.
I nomi
tornano e le forme, i fili dell’intreccio
sparsi si ricuciono, s’intessono nel ritmo ignoto
del disegno, nell’ordine di pieno e vuoto, fioriscono
le immagini, la trama esborda dall’ordito.
Tempo confuso e in pena,
tempo fermo, tempo senza fine.
«Avremo un corpo luminoso un giorno?»
Si innalzano preghiere dalle case,
dai borghi che inchiodarono le assi.
«Un giorno, un giorno»
chiedono pietà e memoria
– loro estinti, loro vinti –
pietà e memoria mentre passa,
mentre si dissolve questa gloria,
questo mondo.
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