Pubblicato il 03/04/2009 08:52:00
Un giovane curato di campagna, rozzo, forse ignorante, secondo alcuni non molto adatto per fare il sacerdote, ed una ragazza borghese e volgare che molti pensano una brava ragazza che in realtà è una sgualdrina, ed in seguito assassina, incarnano il Bene ed il Male in questo bel romanzo. Il povero curato vede il male che si annida nella donna, lo riconosce come il Diavolo in persona e ingaggia contro esso una lotta che non risparmierà nessuno, né la ragazza, che soccomberà ben presto, né il sacerdote cui causerà atroci sofferenze. Il giovane curato pensa che la via verso la santità e la sconfitta del peccato e del male, passi attraverso la penitenza, egli indossa sovente il cilicio ed indulge nell’autoflagellazione. Bernanos ci mostra come tali pratiche portino invece l’impronta del demonio stesso, nella vanità dell’auto infliggersi il dolore, nella vanità di voler essere più santi degli altri, subdolamente si annida il Maligno che sa come l’animo di chi si crede migliore di altri sia una facile preda. Spesso i sacerdoti, nel ritenersi prescelti da Dio, per la loro missione, si sentono superiori ai fedeli, e questo porta loro fiammate di orgoglio e non distinguono più il bene e il male alimentando così quest’ultimo. Il curato, dopo l’incontro col male, si dedicherà alla confessione dei fedeli con zelo, con amore verso il prossimo, senza giudicare i peccatori, ma prendendo su di sé questo fardello, avvicinandosi così al vero ideale di santità. L’attualità del libro di Bernanos è quanto mai evidente in questi tempi in cui chi si sente più cristiano di altri, più vicino a Dio, perché da un pulpito emette giudizi sul prossimo, giudica con spietato odio i peccati che egli ritiene commessi dai fedeli, ma così facendo altri non è che l’incarnazione del male assoluto. Nel libro è messo vigorosamente in evidenza come il male si annidi nella vanità, soprattutto di certi alti prelati, convinti di sapere già ogni cosa, di essere favoriti da Dio per la loro erudizione, per il parlare disinvolto, ma non si rendono conto di essere così totalmente asserviti a Satana. Il bene, la vicinanza con Dio, vanno cercati nell’umiltà, nell’abbassarsi verso chi è debole, chi ha peccato, chi soffre, ma non con l’alterigia di poterlo salvare, ma con l’umiltà e la semplice compassione di chi si sente, davvero, dal profondo dell’animo, allo stesso livello del fratello che cade. Quanto sono lontani da Dio quei prelati, lussuosamente vestiti, che giudicano, insultano, offendono, i fedeli e la Chiesa stessa, tanto sono all’altissimo vicini quelli che non predicano ma accolgono con sé chi sbaglia, raccolgono chi è caduto, senza giudicare, ma prendendo con amore su di sé, per condividerlo, il dolore di chi soffre, essi lo fanno senza pensare che ciò è gradito da Dio, e quindi ne avranno una ricompensa; questi umili, preti e laici, lo fanno perché è l’amore a dettarlo loro, senza che da ciò nutrano la loro vanità. Quello di Bernanos è un monito vigile e severo, e per coglierne in pieno l’attualità basta seguire un qualunque telegiornale, dove è facile vedere persone, che si reputano da sé cristiane e sante, tradire facilmente il primo messaggio di Dio: l’amore. Aggiungiamo a questa forza di contenuto un linguaggio ed una costruzione assolutamente mirabili e si nota come il libro, pubblicato ormai 83 anni or sono sia ancora un capolavoro; la forte cristianità di cui è permeato il libro, lo ha fatto passare per qualche decennio un po’ in ombra, facendogli appiccicare addosso l’etichetta di “fuori moda”, ma nei nostri anni, in cui il termine cristiano è passato a designare maggiormente la politica che l’amore per il prossimo, “Sotto il sole di Satana” è tornato ad essere una lettura “edificante”. Bernanos ha tutto il talento e la capacità dei grandi narratori francesi, costruisce i suoi scenari in modo mirabile, con rapide pennellate di colore, scuro e denso, lasciando filtrare tra le immagini il gusto amaro del dolore e spesso dello sconforto, senza descriverlo, ma lasciandolo aleggiare nell’aria del romanzo.
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