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I figli degli asini

di Paul Sark
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Pubblicato il 30/10/2012 09:41:28

                                  “FIGLI DEGLI ASINI”

noi, i ragazzi di san benedetto

-tra cricche, pivelle e cremalba

 

 a Brunello Tolu (Brown), Vincenzo Boi (Cenzo),

Antonio Moi (Tonio), Salvatore Piras (Tore) e Walter Pagani,

con il rimpianto di non essere riuscito

a regalare loro i miei giocattoli 

 

…quando il vento dell’est mi porterà

il profumo dei capelli suoi

io guarderò verso il vento dell’est

e mi ricorderò che lei è andata di là

e fa che i suoi capelli siano sempre più lunghi

perché solo così è più bella che mai…

…noi

i ragazzi di san benedetto

che avevamo i binari del tram in mezzo alla fronte

e spade e fionde dentro le tasche

noi

i ragazzi di san benedetto

che avevamo terrazzi e comignoli grigi

dentro le arterie

e la sabbia del poetto avvitata alle superga bianche

e alle argentine lisce come il pianto

noi

i ragazzi di san benedetto 

che respiravamo il maestrale

la sera

quando il calcio balilla era muto e freddo

 

…il problema più importante per noi

è di avere una ragazza di sera

se restiamo da soli soli tutto male

non si può neanche cantar

forse non ci crederete ma è vero

la malinconia ci prende di sera

con la barba già fatta

soli senza nessuno ce ne andiam per la città

 

una sera di novembre il cielo cade a pezzi

e proiettili americani rimbalzano di qua

da un oceano a stelle e strisce

mentre le palpebre del mondo si chiudono

sotto le suole nere di una marcia con un sogno

a forma di un carillon

avvitato alla barba di abramo lincoln

 

eravamo i ragazzi di san benedetto

noi

quelli con quaderni di cristallo dentro le scarpe

con una pizza senza forma e cinquanta lire

da regalare alla notte

 

eravamo i ragazzi di san benedetto

noi

quelli che nascondevano gli amori sotto il primo banco

durante le ore di matematica

quelli senza jeans e senza odore politico

quelli con un panino e mortadella arrangiata

prima di arrivare a casa

quelli con le lacrime immortali dentro al cervello

quelli con mao tze tung sporco di cremalba sopra il letto

quelli con che guevara addormentato

sotto gli aghi di pino delle domeniche gelate dall’attesa

quelli con le urla delle madri dentro ai cortili

quelli con le urla delle madri annidate dietro le basette

dietro un telefono elementare

dietro le orecchie annerite dall’inchiostro dell’idiozia

 

eravamo noi

i salvatori del mondo

i paladini dell’universo

i vendicatori del sempre

con le stringhe annodate a una gilera grigia

con quattro aghi di pino nel montgomery

con i diari straripanti di caroselli e di she loves you

 

eravamo noi   

con un capodanno vetroso al posto delle falangi

con un libretto rosso attorno alle spalle

a proteggere le dita arrossate delle madri senza lavatrice

con i mobili della cucina appena nata

tra ventagli di fòrmica e tubi d’acciaio cromato

 

…sotto una montagna di paure e di ambizioni

c’è nascosto qualche cosa che non muore.

Se cercate in ogni sguardo

dietro un muro di cartone

troverete tanta luce e tanto amore.

 

eravamo noi

i ragazzi di san benedetto

quelli con il cortile facile

con i campanili a forma di richiamo materno

con le piazze senza fontane

e fichi d’india numerati

per incartare l’orologio come premio

di una prima comunione polverosa e difficile da capire

 

io vagabondo che son io

vagabondo che non sono altro

soldi in tasca non ne ho

ma lassù mi è rimasto dio

 

eravamo noi i ragazzi di san benedetto

eravamo la gola tagliata della luna

eravamo il terrazzo violentato dalle bouganville

eravamo la colomba nera della paura

eravamo la pioggia incerta della primavera

con inchiostri e sangue e pane e terra e bottiglie

e palloni di plastica e trottole

e corde da suonare alle ragazze

eravamo noi i ragazzi di san benedetto

con le tombe dei piccioni dentro le tasche

con l’acqua scura dell’ottobre dentro le curve dei tram

 

eravamo tonio e tore e walter e bruno e cenzo

i ragazzi di san benedetto

con la nascita del sughero e del cardo bolentino

dietro la sella del diavolo

muta e irridente

con denti e scogli uguali

e una lingua di lamiere e scorpioni

da regalare a un pomeriggio futuro

 

il maestrale dettava la scrittura e il senso del giorno

e i libri di medicina di brunello

il maestrale dettava la scrittura e il senso del giorno

e gli LP delle Orme di tonio

il maestrale dettava la scrittura e il senso del giorno

e le differenze bianche e nere

dei tasti del pianoforte di tore

il maestrale dettava la scrittura e il senso del giorno

e la paura delle uova bollite di walter

il maestrale dettava la scrittura e il senso del giorno

e le macchie di grasso e vernice sulle braccia di cenzo

 

il maestrale dettava la scrittura e il senso del giorno

e quattro parole calpestate e agonizzanti

fuggirono improvvise e tremanti

dai marciapiedi di via dante

 

 

eravamo noi

i ragazzi di san benedetto

con il respiro dei cortili annodato attorno al cuore

eravamo noi

i ragazzi di san benedetto

con gli occhi ammalati dai virus di carosello

e di topo gigio

di bonanza e di rin tin tin di cricche colme di gelosie

e di beatles stretti intorno alle vene

 

eravamo noi

i ragazzi di san benedetto

senza pietre o marmellata malata nelle tasche

eravamo noi

i ragazzi di san benedetto

con la lingua a forma di barduffola e di fionda

con le dita affondate nei jeans senza tempo

con le orecchie appese al respiro della schiuma marina

nata tra le unghie aspre degli ulivi secchi e silenziosi

di piazza san giovanni

 

eravamo noi

i ragazzi di san benedetto

con foglie di pane lunghe un secolo

e parole mummificate nelle ossa dei padri

a forma di schillelè, pedizzone,

barabba, roglio,

fill’e preri, conca ‘e bania, trucchista,

accabbussare, pisci alluau,

famini allichiriu, togo, abborsare,

pivella, marrano, eia,

luna monda,

zacca zacca su piscionè, aiò, mì…

 

andarono presto a letto la sera

i ragazzi di san benedetto

il giorno della morte dei melograni

e la notte riempì le grotte

e il vuoto degli addii mai pronunciati

 

il cortile dettò il sapore delle lontananze marine

la terra rubò il sorriso nero delle vedove e delle pivelle

e il sughero mise in fuga cristalli e palloni

zinzole  figurine panini e cerbottane grigie

e le combinazioni terrazzate del pinnacolo clandestino

 

crescerai imparerai crescerai arriverai

crescerai tu amerai

il rimpianto rimarrà

di quella età di quella età

 

andarono presto a letto la sera

i ragazzi di san benedetto

il giorno della morte delle parole sottintese

e la notte si riempì di bugie e baci mai regalati

e il vuoto delle paure mai riconosciute

 

tornarono indietro

bruno cenzo walter tore tonio

a graffiare il muro dei vent’anni

per non accorgersi di cadere in un passato indovinato

stracarico di veleni acidi

pennellato di confessioni e cinema parrocchiali

e sigarette fosforescenti

appese a una lingua bambina

 

tornarono indietro

bruno cenzo walter tore tonio

a respingere la notte dei vent’anni

per non capire che dietro le spalle

il senso delle cose era volato via

senza lasciare neanche un’impronta

sotto le scarpe

prima di affacciarsi al buio di porte sconosciute

 

tornarono indietro

bruno cenzo walter tore tonio

per imparare il sapore di un pane freddo

a forma di scodella solitaria

a forma di silenzio lontano

con qualche nome nuovo sotto la gola

annodato con lo spago

forte

per non dimenticare

 

noi i ragazzi di san benedetto

nati per cambiare il mondo

nati per giocare con la vita

un’altra milionesima volta

 

paul sark, 2010  

 

piccolo glossario

 

san benedetto: quartiere di cagliari; cricche: combriccole; pivelle: ragazze

cremalba: antenata della nutella; poetto: la spiaggia di cagliari

argentine: magliette bianche per la ginnastica a scuola

cardo bolentino: cardo selvatico commestibile; sella del diavolo: promontorio nel golfo cagliaritano; Orme: gruppo italiano degli anni ’60-‘70

barduffola: trottola di legno che si fa roteare

con uno spago; schillelè: ragazzino di strada; pedizzone: barbone

barabba: losco figuro; fill’e preri: letteralmente “figlio di prete”,

che sta a significare persona privilegiata; conc’e bania: letteralmente “testa di sugo”,

che identifica una persona rossa di capelli; trucchista: faccendiere, manipolatore di coscienze

accabbussare: tuffarsi in acque poco profonde; roglio: gioco con le trottole

pisci alluau: pesce pescato con utilizzo di bombe lanciate in acqua. Viene riferito a persone

che hanno lo sguardo spento e poco intelligente

famini allichiriu: letteralmente “fame agghindata”. I nobili, a Cagliari, risiedevano nel quartiere Castello, situato sul colle che sovrasta la città. Durante la seconda guerra anche i ricchi

ed i nobili, ovviamente, tiravano la cinghia ma, non mostrando segni di disagio e di ristrettezze economiche, erano soliti percorrere i portici di via Roma, la passeggiata bene della città, mettendo in mostra tutto quanto potesse far presupporre invece uno status sociale positivo, abbiente,

come cappellini, vestiti, trucchi, ecc., non per nulla contagiato dal periodo storico

particolarmente difficile e precario per tutti. togo: dicesi di persona capace, brava, scaltra. 

La battagliadiTsushima in Giappone, detta comunemente battaglia navale

del mare del Giappone, fu l'ultima e più decisiva battaglia

della guerra russo-giapponese (1904-1905). Venne combattuta il 27 maggio

ed il 28 maggio 1905, nello stretto di Corea. In questa battaglia la flotta giapponese,

al comando dell'ammiraglio Tōgō Heihachirō, distrusse due terzi della flotta Russa,

al comando dell'ammiraglio Rožestvenskij. Poiché la flotta giapponese era numericamente

inferiore a quella russa, l’ammiraglio Togo compì un’impresa

memorabile, che passò alla storia. abborsare: corteggiare. Il termine deriva

dall’abitudine dei ragazzi di accompagnare  le loro compagne verso casa,

dopo la scuola. Durante il tragitto, per cavalleria, il ragazzo, solitamente, portava lui

anche la borsa della “pivella” cui faceva la corte.

marrano: appellativo che si attribuiva, in segno di scherno, a colui che era particolarmente antipatico, al fine di provocare una lite, quando si era sicuri di avere la meglio, ovviamente.

luna monda: gioco piuttosto lungo e complesso, che potremmo paragonare alla cavallina. 

eia: semplicemente l’affermazione “ sì ” aiò: andiamo, sbrigatevi, su forza, dai.

: guarda, stai attento; dallo spagnolo mirar, guardare. zacca zacca su piscionè: gioco tra due squadre. Letteralmente “picchia, picchia sul polpaccio”, qui troppo lungo da spiegare.

zinzole: le biglie di vetro, quelle molto piccole; quelle normali erano dette semplicemente palline,

mentre quelli di taglia super erano le “manzillone”.pinnacolo: gioco di carte, da effettuarsi con le carte francesi. Per chi volesse saperne di più, esiste di tutto su internet.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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