Pubblicato il 01/04/2016 22:23:34
Costanza Lindi intervista Maurizio Soldini
Maurizio Soldini è nato nel 1959 a Roma, dove vive tutt’ora. Insegna Bioetica presso l’Università la Sapienza di Roma. Scrittore, medico e filosofo ha pubblicato numerosi saggi ed articoli scientifici su riviste internazionali. Ha collaborato con il Messaggero, collabora tutt’ora con il quotidiano Avvenire e con diversi blog e riviste letterarie online. Tra le raccolte di poesie abbiamo: Frammenti di un corpo e di un'anima (Aracne, 2006), In controluce (LietoColle, 2009), Uomo. Poemetto di bioetica (LietoColle, 2010), La porta sul mondo (Giuliano Ladolfi Editore, 2011) e Solo per lei. Effemeridi baciate dal sole(LietoColle, 2013). Da una formazione e una professione strettamente legata alla scienza come sei arrivato a scrivere e quando hai conosciuto e ti sei interessato alla poesia? La poesia è stata da sempre nelle mie corde al primo posto dei miei interessi e delle mie aspirazioni. Dirò di più. La letteratura, ma in particolare la poesia, e con questa la critica, hanno fatto parte da sempre del mio essere. Già da bambino la poesia mi prendeva, la sentivo profondamente, mi entrava dentro, mi emozionava, esaltava il mio sentire interiore e il corrispettivo fisico era il cuore in gola. E quando frequentavo la scuola elementare e le scuole medie inferiori amavo imparare a memoria le poesie, che mi piaceva recitare sia in classe sia in casa, dove passavo diverso tempo a leggerle e a rileggerle a voce alta, declamandole, per la gioia (sic!) di mia madre, che spesso ne usciva fuori stonata. Così come mi piaceva cercare di interpretarne il significato, attraverso i commenti, che erano in qualche modo un fare ‘critica’ in embrione. Mi affascinava la parola e la sua musicalità. Ma mi affascinava anche il significato o quantomeno il senso che la parola sapeva trasmettermi. Ma devo essere sincero. Si deve essere portati alla poesia, ma bisogna avere anche un po’ di fortuna e incappare in insegnanti, che amino e di conseguenza ti facciano amare la poesia. E per me è stato così. La mia maestra, la maestra Alberini, e la mia professoressa di italiano, la professoressa Rella, davano molta importanza alla poesia. Ricordo perfettamente che portai all’esame di licenza media alcune poesie, imparate rigorosamente a memoria, di Umberto Saba, Giuseppe Ungaretti e Eugenio Montale. Eravamo all’inizio degli anni Settanta e posso dire, ora, che i miei insegnanti erano davvero “avanzati” come capacità di programmazione scolastica. Poi sono arrivati il Ginnasio e il Liceo Classico, frequentati all’Orazio di Roma, dove ho avuto la possibilità di avere ottimi docenti, che mi hanno dato modo di poter approfondire la mia predisposizione soprattutto alle discipline umanistiche. E lì ho incontrato negli ultimi anni di Liceo il Preside, famoso latinista e letterato, il Professor Silvio Pelosi, studioso in particolare di Dante e Manzoni, che mi introdusse allo studio dello strutturalismo e volle che approfondissi le tematiche della critica strutturalista in confronto con le altre correnti critiche allora in voga. Studio che mi appassionò tantissimo e che ancora oggi mi porto dietro. E che mi fa muovere piuttosto bene nel campo della teoria della letteratura e della critica. E non dimenticherò mai quando comunicai al Preside, col quale ero entrato in sintonia, che mi sarei iscritto alla facoltà di Medicina. Non poteva crederci e fece di tutto per dissuadermi cercando di convincermi affinché mi iscrivessi a Lettere. Ma non ci riuscì. Ricordo che dopo la maturità, quando ero già iscritto alla Facoltà di Medicina, - i corsi allora iniziavano a novembre -, i primi di ottobre, all’inizio dell’anno scolastico, andai a salutare, con un po’ di nostalgia, i miei professori e allora il Preside mi propose di fare supplenza di latino e di italiano nella mia ex sezione, dacché avevano qualche difficoltà a reperire il supplente. La qual cosa mi inorgoglì, ma nello stesso tempo mi fece entrare in crisi, perché comunque le lettere continuavano ad appassionarmi e io invece ero ormai una matricola di Medicina. Per fortuna ci furono difficoltà col provveditorato e questo mi aiutò a uscire dalla crisi e da possibili ripensamenti e cambi di facoltà. Riguardo alla scelta di immatricolarmi a medicina, ancora oggi, neppure io riesco a darmi una spiegazione. Scelta che comunque onorai, perché mi appassionai allo studio della medicina e conclusi gli studi laureandomi anzitempo, in soli cinque anni e una sessione, anziché in sei anni, a pieni voti e con la lode. [continua a leggere al link appresso]
http://www.insulaeuropea.eu/leinterviste/interviste/lindi_soldini.html
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