IL SENTIERO DEI BIANCOSPINI – PROUST E L’AMORE NELLA RECHERCHE
Al ciel, a voi, gentili anime, io giuro che voglia non m’entrò bassa nel petto; ch’arsi di foco intaminato e puro. Vive quel foco ancor, vive l’affetto, spira nel pensier mio la bella imago da cui, se non celeste, altro diletto giammai non ebbi, e sol di lei m’appago.
Questi versi di Leopardi sarebbero, secondo me, una sintesi abbastanza acuta della rappresentazione dell’amore nella Recherche proustiana.
L’amore (o le idee di Proust sull’amore) è fortemente tematizzato nell’intera opera e tutti i tipi di amore che vengono presentati, da quello di Marcel per Gilberte alla sua ossessione per Albertine, da Swann e Odette fino alla sodomia e all’omosessualità di Charlus, hanno una caratteristica comune: l’irrealizzabilità. L’amore non è realizzabile; non solo, l’essere amato non è raggiungibile. Non lo toccheremo mai né penetreremo mai il suo mistero. E’ inutile sforzarci, vano seguirlo per le strade di Parigi, domandare a chiunque non serve. C’è qualcosa insito nell’essere amato (o fatto oggetto d’amore) che noi non conosceremo mai; c’è qualcosa nella natura dell’ amore che non permette che esso sia realizzabile.
Scrive Proust nella Prisonnière:
Et je comprenais l’impossibilité où se heurte l’amour. Nous nous imaginons qu’il a pour objet un être qui peut être couche devant nous, enfermé dans un corps. Hélas! Il est l’extension de cet être à tous les points de l’espace et du temps que ces être a occupés et occupera. Si nous ne possédons pas son contact avec tel lieu, avec telle heure, nous non le possédons pas. Or nous ne pouvons toucher tous ces points. Si encore ils nous étaient désignes, peut-être pourrions-nous étendre jusqu’à eux. Mais nous tâtonnons sans le trouver. De là défiance, la jalousie, les persécutions. Nous perdons un temps sur une piste absurde et nous passons sans le soupçonner a côté du vrai.
Allora noi non possiamo toccare l’essere amato se non ‘incatenandolo’ a noi per un certo periodo di tempo(Albertine è “La prisonnière”); tuttavia, l’essere amato, che è quello più sfuggente (Albertine è “La fugitive”), a un certo punto ci lascia, fugge, scompare e noi non possiamo fare nulla per impedirlo. L’amore, così come è rappresentato nella Recherche, è sempre tragico. In definitiva, l’amore non è amore perché l’essere amato si trova sempre in un altro luogo, in un altro tempo; ha, quindi, delle coordinate del tutto diverse dalle nostre. Noi non possiamo arrivare a toccarlo per questo motivo, per questo problema di coordinate.
Laddove siamo noi, l’essere amato non può esserci o se c’è è prigioniero, obbligato a essere lì ma sostanzialmente altrove se è vero che “una persona è dov’è il suo cuore non dov’è il suo corpo”; e viceversa. Laddove l’essere amato è, in quel luogo e in quel tempo privato e personale, noi non possiamo essere, non possiamo entrare nel suo spazio, non facciamo parte del suo tempo. L’amore nella Recherche, e credo anche nella concezione di Proust, si traduce in questo: nella sua irrealizzabilità. L’amore è l’impossibilità del suo compimento. E’ già insito nel carattere dell’amore stesso il tormento, la gelosia, la menzogna e l’impossibilità di essere amati. “L’amore non afferra mai l’oggetto del suo desiderio” nella Recherche e nella vita di Proust. Non solo, ma l’innamorato, come si diceva, non arriva mai nemmeno a toccare l’oggetto del suo desiderio. “Proust”, secondo François Mauriac, “è un uomo che deve aver sofferto in maniera spaventosa. Egli era arrivato a uno scetticismo e a un nichilismo totale, sia per quanto riguarda l’amore sia per quanto riguarda l’amicizia. […] Le sofferenze dei suoi personaggi è su di sé, su se stesso che le ha provate”. Quindi, se ci viene detto che l’amore è così, possiamo fidarci.
“Nessun luogo è lontano”, ha scritto Richard Bach. “Se desideri essere accanto a qualcuno che ami, non ci sei forse già?” Un pensiero consolatorio e, per chi lo desidera, possibile. Io credo tuttavia che Proust avesse sperimentato che non è così. Non si è vicino a chi si ama, né per Proust né per Marcel nella Recherche, solo perché lo si desidera. L’essere amato fugge da noi, non desidera essere con noi; di conseguenza, noi non siamo con lui, non ci avviciniamo nemmeno a lui. Diciamolo ancora una volta perché è qui, in quest’idea, che si gioca tutta la questione della rappresentazione dell’amore nella Recherche: l’essere amato ha altre coordinate, noi non abbiamo il codice di quelle coordinate.
Nella Recherche molti sono i segni che il lettore è invitato a cogliere. Quasi tutto si esprime per segni. L’essere amato è colui che più di tutto rappresenta un segno da decifrare. E è anche colui che invia (volontariamente o no) messaggi che l’innamorato non comprende; l’innamorato non può decifrare i segni che formano l’essere amato. Questi resterà sempre un mistero.
Ogni cosa nell’opera si esprime attraverso segni: l’amore, la mondanità, l’arte, la gelosia.
La gelosia è strettamente legata alla rappresentazione dell’amore nell’opera proustiana. L’innamorato, che non può toccare l’oggetto del suo amore, è sempre geloso. La non conoscenza, il non poter sapere rendono l’innamorato geloso. Swann è il prototipo ideale in questo senso. Scrive infatti Proust in Un amour de Swann:
À partir de cette soirée, Swann comprit que le sentiment qu’Odette avait eu pour lui ne renaîtrait jamais, que ses espérances de bonheur ne se réaliseraient plus.
Ecco, l’amore e le ‘speranze di felicità’che a questo si attribuiscono (altrimenti, perché innamorarsi?), non si realizzerà mai. C’è sempre, nella Recherche come nella vita, una sera che diventa ‘quella sera’, in cui non si può più fuggire da questa consapevolezza. In ‘quella sera’ diventa chiaro che la felicità non si realizzerà mai. In ‘quella sera’ veniamo bruscamente e ferocemente messi a contatto con “la réalité [que] est donc quelque chose qui n’a aucun rapport avec les possibilités”; infatti, Swann che è geloso e nella sua gelosia diventa una sorta di ‘investigatore privato’, vaglia sempre tutte le possibilità, cerca di colmare tutti i vuoti delle giornate di Odette. Sono le cose che non sa, le menzogne di Odette, i luoghi e il tempo in cui lei è senza di lui che danno energia alla sua gelosia e permettono la sua ‘investigazione’. Swann contempla tutte le possibilità, cerca tutte le risposte possibili alla domanda che lo tormenta e che è motore della sua gelosia (di ogni gelosia); cerca, invano, di capire dov’è Odette quando non è con lui, che cosa fa Odette in quelle ore e, soprattutto, con chi. Contempla ogni possibilità Swann, da bravo ‘detective’; “agli occhi di Swann, nessun atto di Odette è privo di significato, agli occhi del Narratore nessuna frase di Albertine è innocente”, ma la sua domanda è destinata a restare senza risposta perché, abbiamo visto, ‘la realtà non ha alcun rapporto con le possibilità’. Più di questo, ancora, l’essere amato non ha le nostre coordinate, non vive nel nostro spazio e nel nostro tempo. Marcel non potrà tenere per sempre legata a sé Albertine né la nonna; e Swann non potrà mai sapere (o non vorrà mai sapere) che cosa fa Odette in quelle ore senza di lui (e, credetemi, è meglio per lui non saperlo).
Secondo Giacomo Debenedetti, “la Ricerca del tempo perduto è l’immensa istruttoria di un geloso, l’implacabile interrogatorio che Proust, con l’ossessiva ostinazione della mania gelosa, rivolge alla sfuggente vita”. Ecco allora che il geloso Swann è una parte molto piccola del geloso Proust. E allora l’amore ansioso di Swann per Odette è “la chiave critica per rileggere tutta la Recherche”.
Quando il desiderio non è appagato diventa energia. Il desiderio non appagato e il non poter sapere, l’essere escluso dalla vita dell’amato di cui si parlava prima, sono il motore delle azioni del geloso. Il desiderio appagato porta a una situazione di calma e, in alcuni casi, a non desiderare più niente. E’ infatti il non appagamento, la non realizzabilità del desiderio o dell’amore o di qualunque altra cosa che produce l’energia o la tensione necessaria all’avanzamento della storia. E’ così per gran parte della Recherche ed è così, spesso, nella vita. Voi provate a innamorarvi, ma innamorarvi per davvero – con tutto il cuore, con tutto il corpo, con tutto il cervello – di qualcuno che non vi vuole, che non vi desidera, che non ama né voi né il vostro amore per lui. Voi provate a amare qualcuno sul serio. Amate questo qualcuno con tutti voi stessi o non amatelo per niente. Amatelo con il cuore, con la cassa toracica, con le mani; amatelo con il cervello, con la schiena, con le punte dei capelli. Amatelo con tutto il vostro corpo e con tutto il vostro cuore. Se amate qualcuno (quindi siete disposti a (con) patire per lui), amatelo così o non amatelo affatto. Farete cose impensabili per gli altri esseri (umani ma non innamorati) se amate qualcuno così. E sarà il vostro desiderio non appagato (e non appagabile), la vostra felicità perduta, non realizzabile a ‘muovervi’ in questa direzione. Correreste nudi nella neve se fosse per correre da lui. Dichiarereste il vostro amore pur sapendo – e a dispetto di questo – di venir respinti, che lui non v’ama in cambio, ma voi sì, quindi glielo direste. Il vostro desiderio frustato, i vostri sogni disperati e irrealizzabili vi porterebbero a questo.
Tutto questo discorso può essere importante per quanto riguarda la ‘coppia’ Marcel – Albertine. Albertine è l’essere amato e fuggente per eccellenza. Le coordinate di Albertine sono decisamente altre da quelle di Marcel e lei è totalmente in un altro spazio e in un altro tempo. Albertine è irraggiungibile, nel senso che per l’innamorato (Marcel) non è possibile avvicinarsi a lei se non, lo dicevamo già, ‘costringendola’, facendola prigioniera.
Anche Marcel, come Proust e Swann, è geloso e la sua gelosia è di tipo retrospettivo.
La gelosia retrospettiva è la forma estrema dell’attaccamento: attaccamento senza pace e senza remissione, senza speranza alcuna di futura redenzione. Essere gelosi del passato dell’altro significa incatenarsi, e incatenarlo, alle ombre di una dimensione che non gli appartiene più. Oppure gli appartiene ancora? Questo è il dubbio che tormenta il geloso: perché, anche se il passato è passato, non per questo lo si può cancellare; al contrario, lo si può far rivivere nel ricordo, lo si può rivivere con tale fedeltà da renderlo ancora attuale e presente.
Marcel, come Swann, è geloso del passato dell’amata: geloso, dunque, di quello che lei è stata prima di conoscerlo; geloso dei luoghi che ha visitato senza di lui, delle persone con cui ha parlato quando lui non c’era. Geloso, in definitiva, di quel pezzo dell’essere amato che esisteva già prima di lui, che lui non conosce (e non conoscerà mai) e che non potrebbe (ri)conoscere in futuro. Per quanto ci si impegni, infatti, qualcosa nell’essere amato, quel qualcosa che dovremmo raggiungere per conoscere la persona che amiamo, ci resterà precluso; non sapremo mai chi è colui che amiamo. Infatti,
per entrare in noi, un essere è obbligato a prendere la forma, a piegarsi alla cornice del tempo. Apparendoci soltanto per momenti successivi, non ha mai potuto darci di sé che solo un aspetto per volta, non ha mai potuto fornirci di sé che una sola fotografia. E’ una gran debolezza, certo, per un essere umano consistere solo in una semplice collezione di momenti; è una gran forza anche; dipende dalla memoria, e la memoria di un attimo non conosce tutto quel che è successo in seguito;
né, potremmo dire, quello che è successo prima; ed è il prima, il passato il campo d’azione del geloso.
La gelosia non è comunque l’unica forma in cui si manifesta, o alla quale si riduce, l’amore. C’è qualcosa di molto più sottile, diffuso nell’intera opera e che è amore secondo me. L’arte, la letteratura soprattutto. Non tratterò qui né Vinteuil (e la musica) né Elstir (e la pittura), ma credo sia importante fermarsi un attimo su Bergotte (e la scrittura). Bergotte è lo scrittore nella Recherche. Marcel lo sarà molto più tardi e Swann non lo sarà mai; quindi, per gran parte dell’opera, è Bergotte lo scrittore. E’ una forma d’amore anche questa. Quella di Bergotte per la scrittura come lo sarà poi quella di Marcel e come non lo è stata quella di Swann. Il discorso è senz’altro molto più lungo e complesso, ma, almeno in parte, si riduce a questo: Swann non diventa uno scrittore perché si perde nella mondanità, nei piaceri, nell’ ‘amore’ (o in quello che lui crede essere l’amore), nel vizio; quello di Swann non è un rapporto d’amore con la scrittura, non spenderebbe la vita per la letteratura (al contrario di Bergotte, di Proust e, in parte, di Marcel), per questo non può diventare uno scrittore. E’ nella sua caratterizzazione non poterlo essere quanto in quella di Odette lo è mentire. Bergotte, e Marcel alla fine, sono diversi.
Bergotte è lo scrittore e viene letto da tutti nella Recherche; Marcel lo legge fin dall’infanzia. Bergotte è colui che concretizza l’arte, la scrittura nell’opera. E, se intendiamo la scrittura di Bergotte come una forma d’amore, si può dire che il suo sia il solo amore ricambiato. Se lo scrittore dà la vita per i suoi libri, sono poi questi che durante “tout la nuit funèbre, aux vitrines éclairées, disposés trois par trois, veillaient comme des anges aux ailes éployées et semblaient, pour celui qui n’était plus, le symbole de sa résurrection”. L’unica forma d’amore, se vogliamo considerarlo tale, a cui c’è una risposta; un affetto in cambio. L’unico modo d’amare che ci permette d’essere noi stessi; non c’è necessità di fingere con i libri. “Avec les livres”, scrive Proust in Sur la lecture, “pas d’amabilité”. Tutti i nostri timori, le nostre domande, i nostri dubbi scompaiono di fronte a quella forma d’amore (Proust, in realtà, parla d’amicizia) che è la lettura; per Bergotte e per Marcel, alla fine, la scrittura.
Swann, allora, perdendo il suo tempo e la sua intera vita per quello che non è importante, non ha nemmeno la possibilità di conoscere l’amore (non è amore, in definitiva, quello che lui prova per Odette) né d’essere ricambiato. Swann si perde perché non è capace di riconoscere le cose importanti; le sue coordinate sono del tutto sbagliate, e lui stesso alla fine di Un amour de Swann è costretto a riconoscerlo. Proust, infatti, mette in bocca al personaggio Swann queste parole:
E pensare che ho sprecato tanto tempo, ho provato un grande amore, desiderato di morire, per una che non mi piaceva, che non era neanche il mio tipo.
Com’è diversa la ‘fine’ di Bergotte e di Swann. Bergotte, in fondo, meglio di Swann ha avuto (solo) l’accortezza di ascoltare, di pazientare e di capire per che cosa spendere la vita; quello che farà anche Marcel, come già Proust aveva fatto, alla fine del suo lungo apprendistato che inizia in una stanza da letto e finisce non in un luogo ma “dans le Temps”.
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