Pubblicato il 26/04/2016 22:38:56
THAT’S ENTERTAINMENT
Gay / Pepusch: “L’Opera el Mendicante” Brecht / Weill : “L’Opera da Tre Soldi”
“Se la miseria è titolo di poesia, nessuno potrà negarmelo di certo. Mi professo membro della Compagnia dei mendicanti e sono uno di loro ai festini settimanali di St. Gilles; mi spetta un piccolo compenso annuo per le ariette che compongo, e sono il benvenuto ai loro pranzi quando mi garba di prendervi parte … Ma vedo che è l’ora di ritirarsi: gli attori sono pronti a incominciare. Musicanti attaccate il preludio!” È quanto riportato in apertura di “The Beggar’s Opera” (L’Opera del Mendicante) di John Gay in tre atti con musiche di Johann Christoph Pepusch, che a tutt’oggi, occupa un posto rilevante nel panorama della ‘ballad-opera’ cosiddetta per il fatto che alterna al dialogo arie musicali e canzoni, e dalla quale si vuole derivi ‘l’opera-comique’ francese, o meglio il ‘singspiel’ tedesco e, ovviamente, il moderno ‘musical’inglese. Rappresentata per la prima volta a Londra nel 1728 fu sottratta dall’oblio letterario e restituita in chiave musicale al teatro popolare inglese entusiasmando generazioni di pubblico, per quanto il fascino sottile della sua satira politica sia ormai andato perduto. John Gay è quindi riconosciuto come il creatore della ‘Ballad Opera’ che aprì le porte al grande ‘Musical’: canzoni, ballate, filastrocche notissime al mondo anglosassone di allora, vennero poi utilizzate per il commento musicale e orchestrale dai musicisti raccolti attorno a John Cristopher Pepush, musicista e compositore ‘barocco’ d’origine tedesca, musicista e compositore di parecchie opere e ‘masques’ messe in scena al teatro Lincoln's Inn Fields:
“Nei più vari rapporti della vita / il compagno maltratta il compagno; / la sgualdrina e il ruffiano passano per sposi, / tutti i mestieri s’infrangono a vicenda”. (..) “La professione dell’avvocato è onesta, e altrettanto lo è la mia – fa dire Gay a Mr. Peachum – come me egli agisce in due sensi: contro i malfattori e in loro difesa. È più che giusto che noi si protegga e si incoraggi la delinquenza, visto che è la nostra fonte di sostentamento”.
Il pubblico londinese dell’epoca è appurato, vi riconosceva i personaggi presi di mira, sostituiti in chiave farsesca dall’autore con la complicità dell’invenzione teatrale di un mondo visto alla rovescia. I personaggi di Gay sono ribaldi, ladri, accattoni che sostituiscono nobili, ministri e cortigiani della società del settecento che si spendeva in lussi e sprechi a sfavore della povera gente. All’occorrenza, il ‘brindisi dei mendicanti’ è ben altra cosa e presenta una morale rovesciata, ben rappresentata anch’or oggi:
“Come la gazza, l’uomo acido nasconde ciò che non può godere, per il solo piacere di nascondere. Sono questi i rapinatori dell’umanità, perché il denaro è stato creato per i generosi. E che male c’è nel prendere agli altri ciò che non sono disposti a usare?” – fa dire l’autore a Matt, uno dei furfanti da lui interpellati. E ancora fa dire a Ben, un altro della banda dei mendicanti: “Noi siamo per una giusta spartizione dei beni del mondo, perché ognuno ha diritto di godersi la vita.” Si comprende come certe frasi suonassero sospette ai regnanti di allora per l’ideologia rivoluzionaria che fomentavano, che tuttavia la situazione odierna non sembra affatto cambiata, non vi pare?
Giunta fino a noi grazie ad ulteriori riletture e nuove interpretazioni che di volta in volta hanno scavato nel sottofondo socio-politico dell’epoca in cui fu scritta, l’Opera di John Gay venne ripresa nel tempo da Bertolt Brecht che ne trasse l’ormai famosa “Opera da tre soldi” (1928), una satira sociale e politica che si rivolgeva in modo anche violento contro i guasti della guerra, e che Kurt Weill orchestrò sui moduli sincopati del Jazz molto in voga in quegli anni. Ma di là dall’occuparci delle diatribe socio-politiche che l’Opera apriva e che riversarono verso l’autore l’ostilità dei intellettuali e gli scrittori dell’epoca, le ragioni di questa scelta vanno dirette alla nostra epoca, cioè a quell’oggi scombinato che ci sta portanto al disfacimento di valori di giustizia e libertà sociale che credevamo aver raggiunta. Con Brecht-Weill siamo nel 1928, sono passati due secoli, il signore e la signora Peachum con il resto della banda si muovono nell’ambiente della malavita dei bassifondi del quartiere di Soho a Londra, dove s’intravvede, non lontanissimo, l’ambiente della Germania di Weimar. Quand’ecco la storia si ripete. L’odierno autore dell’Opera veste i panni del cantastorie e ci presenta la figura dell’anti-eroe della malavita, Mackie Messer col dire: “S’introduca il personaggio!”, Mackie Messer di Brecht alias Macheath di Gay è poco più che un furfante con la buona reputazione che si conviene a un bandito, un Don Giovanni da strapazzo che ama fra le tante Polly, figlia di Geremia Peachum e signora, e Lucy figlia di un certo Lockit commissario di Polizia, un ottimo esempio di ricettatori e strozzini.
Entrambi i personaggi manifestano la loro disapprovazione per un sentimento tanto assurdo quanto lo sarà l’amore di Polly per il bellimbusto Mackie, e ovviamente l’amore di Lucy rimastane incinta. I due amanti fuggono insieme per sposarsi. Amici e soci improvvisano per loro un sontuoso banchetto, insieme cantano “La canzone di nozze per la povera gente”: “Che importa se i fiori ti mancano / e se ti sposi senza l’altar / i doni, non sai di dove vengano / ma tu sei felice di amar. / È vero, qualcosa, nel mondo si sa / non invecchia, non cambierà./ Che importa come, quando e dove? / L’amore c’è o non c’è.” . . . “Billy Lawgen e Mary Syer / sono sposi da mercoledì. / Viva gli sposi! Viva e via!/ Quando andarono innanzi al Sindaco / sol da poco si conoscevano: / lui di lei non sapeva il nome né l’età. / Viva! / Sa che cosa fa sua moglie? / No! / Sa che adesso niente donne più? / No! / Di mia Moglie a me fa comodo / una parte piccolissima / Porco! / Viva!”
Al banchetto di nozze partecipa anche il Capo della Polizia, compagno d’armi di Mackie. Insieme cantano la ‘Canzone dei cannoni’:
“John era insieme a noi come Jim / e Georgie diventò sergente: / nulla chiedeva l’armata a noi tre: / solo andare a nord o ad oriente./ Soldati e bombe / cannoni e trombe / dal Capo a Couch Behar. / Piovesse oppure no, / ci si svagava un po’/ Dalla mattina alla sera / con gente bianca e nera / tra feste, braccia e gambe / facevamo un cocktails./ Johnny si lamenta del gin / per Jimmy le coperte sono scarse. / Georgie dice allora: si sa / che l’armata non vuole rovinarsi. / Soldati e bombe ecc. ecc. Johnny è disperso e Jim non c’è più / di Georgie non se ne sa più niente. / Scorre sempre sangue però / e per l’armata non manca mai gente. / Soldati e bombe / cannoni e trombe ecc. ecc.” “Chiedo troppo, / dite un po’ / se domando un po’ d’amore:/ se la voce del mio cuore / finalmente ascolterò?” …
Polly a sua volta intona “La canzone di Jenny dei Pirati”:
“Oh Signori voi mi vedete sciacquare le bottiglie / e disfare i letti / e mi date tre spiccioli di mancia / e guardate i miei stracci / e quest’albergo stracciato come me./ Ma ignorate chi son io davvero / ma ignorate chi son io davvero./ Ma una sera al porto grideranno / e qualcuno griderà: tu! Quel grido sai cos’è?/ io ridendo porterò un altro bicchiere / si dirà: da ridere che ha?/ Tutte vele e cannoni / una nave pirata / al molo starà./ M’hanno detto: asciuga i bicchieri ragazza / e m’han dato la mancia un cents / ed io ho preso il soldino ed ho rifatto un letto / in cui nessuno stanotte tranquillo dormirà / e chi sono nessuno ancora sa. / Ma stasera al porto spareranno / e qualcuno griderà: a chi sparano laggiù? / Io ridendo, apparirò ad una finestra / si dirà da ridere che ha? / E la nave pirata tutta vele e cannoni / raderà la città. / Oh Signori quando vedrete crollare la città / vi farete smorti. / Quest’albergo starà in piedi / in mezzo a un mucchio di sporche rovine e di macerie / ed ognuno chiederà il perché di questo strano caso. / Poi si udranno grida più vicine / ed ognuno chiederà: come mai non sparan qui? / Verso l’alba mi vedranno uscire in strada / si dirà: ma quella dove va? / Tutto vele e cannoni / la galera di jenny / lascerà la città.” Nel prosieguo, davanti all’ostinazione della figlia che rifiuta un divorzio riparatore, i Peachum deliberano di denunciare Mackie Messer al Capo della Polizia per farlo arrestare. Al tempo: Polly e Mackie si giurano eterna fedeltà. Insieme cantano la famosa “Canzone della schiavitù sessuale”:
“Non è di certo un tipo fra i più belli: / è un macellaio e gli altri son vitelli; / è un brutto porco e solo al male crede / e frega tutti, ma alle donne cede. / Del sesso è la dolce schiavitù; / la voglia o no, ci devi stare, tu./ S’infischia della Bibbia e del Codice / e pensa notte e giorno solo a sé./ Le donne sono un peso inutile …/ e senza donne l’uomo è un re …/ Ma queste frottole son senza effetto:/ prima di notte avrà qualcuno a letto./ Ci sono uomini che vedon gli altri / restar legati a un pezzo di sottana, / costoro giurano d’esser scaltri, / ma son fatti della stessa lana. / Del sessoi è la dolce schiavitù: / lo voglia o no, ci devi stare tu./ il primo studia i Dogmi, l’altro il Codice, / un terzo crede al Papa, / l’altro al Re. / Non Mangia mai tartufi a tavola / meglio di lui nessuno c’è…/ Ma vien la sera ed anche l’uomo retto / vuole qualcuno che gli scaldi il letto.” Successivamente Mackie, in procinto di fuggire in seguito alle minacce ricevute, si accomiata da Polly alla quale affida il comando della Banda da lui capeggiata. Lasciata la moglie, Mackie si rifugia nella casa di tolleranza di Jenny delle Spelonche, della quale è stato un tempo il protettore, ignaro che Jenny a sua volta, l’aveva ceduto alla signora Peachum per ‘tre soldi’. È così che Jenny e Mackie rievocano il passato in “Tango Ballade” (‘Ballata del magnaccia’):
“Ricordi tu quel tempo che fuggì / quando si stava insieme notte e dì?/ Grazie agli amici che portavo a te / tu mi vestivi dalla testa ai piè./ Così va il mondo: va anche così. / Se poi veniva uno dei tanti me n’uscivo / allor dal letto e mi bevevo un bel cicchetto / e poi correvo a ritirare il grano / e gli dicevo: torni, torni qui. / E ho passato cinque anni e più / in quella casa ov’eri chiusa tu. / O giorni belli che passammo là / a far l’amore in piena libertà!/ E quando a soldi si era un po’ nei guai, / tu mi dicevi: Come, non lo sai? / Della camicia a meno si fa! / Allora io diventavo un po’ cattiva / ri rinfacciavo le porcate che facevi! / e tu mi davi un cazzottone in bocca / e andavo a letto con la faccia blu.”
Degne di nota sono almeno due straordinarie interpretazioni che ne hanno lasciate Milly e Tino Carraro nel 1954 allorché l’Opera va in scena al Piccolo Teatro di Milano diretto da Giorgio Strehler e dal produttore teatrale Paolo Grassi. Filippo Crivelli la ricorda così «..i quali, mentori di una voce e di una personalità che avevano dominato un’età indimenticabile, pensano a Milly per Bertold Brecht e Kurt Weill. Milly sarà dunque quella Jenny delle Spelonche dell’ ‘Opera da tre soldi’ che il pubblico e la critica unanimi farà gridare al ‘miracolo’», e che entreranno a far parte anche del repertorio del teatro musicale italiano. Va qui senz’altro citato il doppio LP “Milly D’amore e di libertà” (PDU Pld.A 5038/9) contenente un’intera facciata dedicata alle canzoni tratte dall’Opera da tre soldi’, alle quali la voce ‘graffiante’ di Milly aggiunge quella patina di ‘vissuto’ che riporta a situazioni conosciute, a quell’ansietà di vivere che non lascia indifferenti. Un’altra esemplare partitura, pure straordinaria, perché straordinari e insoliti sono gli interpreti, è quella eseguita da Laura Betti e Vittorio De Sica e contenuta negli introvabili vinili del 1963/64 col titolo: "Laura Betti canta Kurt Weill" (Ricordi ORL 8027/28); un excursus che va dal 1900 al 1950) con gli utopistici arrangiamenti di Bruno Maderna, presentati da Roberto Leydi che inoltre ne ha scritto l’interessante nota di copertina: «Le canzoni raccolte in questi due dischi e le immagini che le accompagnano, raccontano la vita difficile di un musicista che nella sua opera, giocata sulla curva della storia, ha raccolto il sentimento tragico e amaro di un’epoca entusiasmante e disperata, di una stagione fra le più folli e dolorose dell’esistenza dell’uomo moderno. Da queste voci e da queste fotografie escono i momenti fondamentali della vita di un uomo che si fermò negli anni tragici del primo dopoguerra e fu costretto a cercarsi in America una nuova patria, quando più il suo nome era giunto al successo. Poche volte le vicende della musica e dello spettacolo hanno saputo modellarsi con maggiore fedeltà alle vicende della cronaca – di una cronaca che già nel suo manifestarsi ha la forza, il carattere, la verità definitiva della storia. E poche volte le vicende della musica e dello spettacolo hanno saputo trascendere con maggiore autenticità il costume, la moda, la testimonianza contingente – pur essendo sempre anche costume, moda e testimonianza – per vivere, con voce autonoma, al di là delle contingenze, fino a questi nostri anni sessanta. In questo loro raro equilibrio ascoltiamo oggi le canzoni e le ballate di Kurt Weill in quanto piccoli capolavori inimitabili anche nel difficile momento dell’esilio americano, nella tormentata avventura musicale della nostra epoca, e di questa epoca memoria ancora palpitante di emozione.»
Nonché la trasposizione in chiave decisamente moderna portata in scena da Milva che re-interpreta meravigliosamente ‘Die Moritat von Mackie Messer’, ‘Jenny dei Pirati’, ‘Surabaya Johnny’, ‘O moon of Halabama’ e molte delle canzoni incluse nell’Opera, nello spettacolo “Io Bertolt Brecht e il successivo n.2” sotto la direzione di Giorgio Strehler che nel 1972/3, ancora con Tino Carraro, e ancora al Piccolo teatro di Milano. Dall’album “Milva / Brecht 1-2” (Ricordi SMRL 6164):
“Moritat” (La ballata di Mackie Messer) “Mostra i denti il pescecane / e si vede che li ha / un coltello solo, Ha Maclie / ma vedere non lo fa. / Sulla spiaggia di Long Island / giace un tale a mezzodì / poco prima, lo sappiamo / Mackie Messer era lì. / Han trovato jenny Towler, / un coltello ha in mezzo al sen / che si stato Mackie Messer? / Testimoni non ce n’è. / A Schmul Meier, l’industriale / un ignoto un dì sparò / Mac ne spende il capitale / ma provarlo non si può. / Sei bambini son bruciati / nell’incendio a Brooklyn:/ Mackie Messer sa qualcosa, / ma non parla e beve gin. / Vedovella minorenne / il cui nome ognuno sa / ci rimise un dì le penne:/ Mac, la colpa chi l’avrà?”
Milva ‘la rossa’ in realtà non è solo una grande interprete di Brecht-Weill, che ricordiamo nei due spettacoli al Piccolo di Milano con la regia dello straordinario Giorgio Strehler che l’ha trasformata in una ‘diva’ a tutto tondo. Ma la sua bravura è anche nella cura che mette nel linguaggio, infatti ha dato più volte prova di sé cantando in inglese, in tedesco, in francese, in russo, in greco, e moltissime altre lingue che ora non rammento, e che canti brani di autori del passato come Bixio e Cherubini o di attuali come Battiato e Vangelis, solo per citarne alcuni, le sue sono sempre ‘interpretazioni’ d’autore, veri gioielli di musicalità che ‘la rossa’ ha trasferito insieme alla sua scenicità nei più grandi teatri internazionali.
Proseguendo nel racconto, troviamo Mackie Messer che, pur dietro le sbarre, esprime la propria filosofia esistenziale nella “Ballata dell’agiatezza”:
“Non datemi ad intendere che il saggio / stia allegro in mezzo ai libri e senza pane, / che il gusto delle croste di formaggio / lo aiuti a non star solo come un cane. / Sarà felice ma non è per me, / non mi soddisfa questa povertà. / E croste e sciacquature di caffè / conducono ben presto all’aldilà. / La vita è bella quanti più ce n’è:/ Si vive liberi, si sta da re! / Quel tale rischia il collo per la gloria / quell’altro si rifugia nel Signore, / e fanno grande sfoggio di memoria / per dare un nuovo brivido al lettore. / Ma a tarda sera, quando il sole è giù, / un freddo letto li raccoglierà,/ e mogli sempre piene di vitù,/ e sogni di lontana libertà…/ A questi idioti non dar mai del tu:/ frequenta i dollari, vivrai di più./ Se penso alla grandezza solitaria, / al muso che essa mostra da vicino,/ confesso d’aver fatto cambiar aria, / d’aver mutato strada al mio cammino./ Dietro all’audacia ed alla povertà / stan sempre noie ed amarezze, ahimé!/ Hai visto che cos’è la dignità:/ adesso dacci un taglio e torna in te./ La vita è bella quanti più ce n’è;/ si vive liberi, si sta da re!”
Colpo di scena. Lucy figlia del Capo della Polizia e Polly rivendicano entrambe le promesse d’amore del prigioniero. Ma già altre quattro mogli con rispettiva prole bussano alla porta della prigione dove Mackie nell’attesa ha chiesto perdono all’umanità: “Come, altre quattro mogli? Questo è troppo! Ehi voi dite alle guardie che sono pronto!” – dice il condannato condotto in piazza per l’esecuzione mentre la banda suona la marcia che lo porta al patibolo. Scrive Giovanni de Rossi: “Tutti i riti del mondo perbene si ripetono qui: dal matrimonio al giudizio in tribunale, all’impiccagione. È un gioco su due piani: la musica di Weill rende evidente, facile, orecchiabile e nello stesso tempo raffinata la scrittura del testo di Brecht; scardina i pilastri tradizionali del melodramma. Così Brecht corrode con l’acido del paradosso le finzioni della virtù borghese in cui amore, amicizia, dignità, durano quanto il danaro”.
Tuttavia tornando all’Opera, essa non può terminare tragicamente. Ricordo qui che si tratta comunque di ‘Opera-ballade’ e come tale non può destare alcuna tristezza, poiché: “Il mondo è una ribalta e ognuno si esibisce come può. Ed anche se qualcuno scrive nella commedia quanta tragedia c’è in quella baldoria la gente non si ferma e sempre sgambettando allegramente va incontro al precipizio della storia”. Infatti, sul finire dell’Opera del Mendicante di John Gay ècco entrano l’attore e il mendicante:
Attore: “Ma, mio degno amico, spero non vorrete dirmi che Macheath (alias Mackie Messer) sarà impiccato sul serio! Ma allora questa è una tragedia a fosche tinte. Evidentemente è uno sbaglio perché un’Opera (ballade) deve essere a lieto fine!” Mendicante: “La vostra obiezione, signore è giustissima. È difficile stabilire se nei vizi alla moda, gli uomini di rango imitano quelli della strada o viceversa. Se lo spettacolo fosse rimasto come io lo intendevo, ne sarebbe scaturita un’eccellente morale. Così, come si conviene dico che ‘La vita è scherzo, tutto mostrar lo può, io lo pensavo un tempo, ora lo so”. Mackie Messer (alias Macheath entra in scena): “Dunque, a quanto pare, non ho diritto di scelta e per concludere mi devo scegliere una moglie … se posso farlo senza offesa per nessuno, prenderò Polly … e per tutta la vita, sgualdrinella, perché noi ci siamo sposati per davvero”. Su balliamo! Su cantiamo! Coro: “Ma pensa a questa massima e scaccia ogni dolore: il misero di oggi può (potrà) domani essere felice (!?)”.
Né vanno qui dimenticate le prime versioni dell’opera, “Die Dreigroschenoper” titolo originale dell’ ‘Opera da tre soldi’, che credo interessante citare, se non altro per confermare la sua attualità durevole nel tempo, a incominciare dall’allestimento negli anni 50/60 della Wiener Staatsoper diretta da F. Charles Adler con Liane Augustin nella parte di Polly, (Lp Amadeo AVRS 6023). Nonché la versione teatrale di Peter Brook (1952), in seguito ripresa dalla BBC TV (1963), che segnò il debutto canoro di Lawrence Olivier. Inoltre, la versione orchestrata e diretta da Benyamin Britten negli anni ’70, andata in scena al The Royal Opera House Covent Garden di Londra (Registrazione Decca 2009). Ma, ancor prima arrivano almeno due versioni cinematografiche: l’introvabile “Il Masnadiero” (1931) di G. W. Pabst e, quella “Die Dreigroschenoper”, (1962) per la regia di Wolfgang Staudte.
Siamo dunque coscienti di avere di fronte un’Opera di portata internazionale e tuttavia poco rappresentata in Italia e quindi poco apprezzata dal grande pubblico. Pur tuttavia, per quanto possiamo sembrare provincialiagli occhi del resto d’Europa, non disconosciamo le molte interpretazioni eseguite da artisti di grande levatura quali Cathy Berberian che in “MagnifCathy: The many voices of” (Vertigo1971), fa una strepitosa esecuzione di ‘Surabaya Johnny’ (da ‘Happy End’ di K.Weill), mentre in “Nel labirinto della voce” (Ermitage 1983) re-interpreta la “Canzone della schiavitù sessuale” ed altre song a dimostrazione, sempre che ce ne fosse bisogno, delle sue eccezionali qualità canore.
La successiva versione cabarettistica è della bellissima ‘vamp’ della scena jazz e del musical Ute Lemper. “The best of..” (Sony Music 1987) è infatti più di un album in cui sono raccolte numerose canzoni tratte dall’Opera, inoltre a brani ripresi dal repertorio del Berlin Cabaret, da film famosi come ‘All that Jazz’, ‘Cabaret’, ‘Voyager’ ed altre, portate al successo a suo tempo dalla Dietrich e dalla Piaf,per passare poi a ‘Psalm’ di Michael Nyman. Ute Lemper recupera infatti, almeno nei brani di Kurt Weill, quella musicalità jazzistica già affermatasi negli anni del successo dell’Opera da Tre Soldi’ sebbene, rivista ed elaborata secondo le sue possibilità vocali non avulse dalla contaminazione jazz, già ripresa da grandi interpreti come Luois Armstrong ed Ella Fitzgerald, ma anche da cantanti ‘sving’ come Frank Sinatra, Sting e altri.
Dell’ ’Opera da tre soldi’, nella veste teatrale italiana, vanno qui ricordate le messe in scena del ’30: l'8 marzo 1930 Anton Giulio Bragaglia porta a teatro “La veglia dei lestofanti” nella traduzione di Alberto Spaini e Corrado Alvaro al Teatro dei Filodrammatici (Milano); al Teatro Reinach di Parma il 24 marzo successivo ed al Teatro di Torino il 2 aprile 1930. La prima rappresentazione italiana dell' “Opera da tre soldi”, è datata 27 febbraio 1956, e si svolse al Piccolo Teatro di Milano per la regia di Giorgio Strehler. Per l'occasione, lo stesso Bertolt Brecht volle essere presente a Milano. A quello straordinario avveninimento è dedicato un piccolo volume edito da Cappelli (1961) a cura di Giorgio Guazzotti con una fotocronaca della messa in scena di Ugo Mulas. . Il volume si compone – oltre che del copione – di una serie di saggi e di un gruppo di testimonianze rese da coloro che collaborarono con Strelher al triplice allestimento dello spettacolo brechtiano.
Un documento che testimonia dell’impresa che c’è dietro una messa in scena di questa portata, l’arte di un regista che non conosce pari, il lavoro di attori straordinari come Tino Carraro (Mackie Messer), Tino Buazzelli (Signor Peachum), Giusi Dandolo (Signora Peachum), Marina Bonfigli (Polly), Milly (Jenny delle Spelonche), Checco Rissone (Tiger Brown), Ottavio Fanfani nella parte del Cantastorie, e Giancarlo Dettori, Enzo Tarascio, Gigi Pistilli, Ivan Cecchini, Andrea Matteuzzi, Delia Bartoluzzi, Giovanna D’Argenzio, Grazia Antonini, Maria Zanoli, Nicoletta Ramorino.
Le successive riprese dell’Opera, nel 1973 / 74 / 75 videro un grande Domenico Moduglo vestire i panni di Mackie Messer, sempre per la regia di Giorgio Sthreler e la produzione Piccolo Teatro Di Milano. Al Teatro Verdi (Trieste) va in scena nel 2011. A Napoli nel 2012, presente nella rassegna del Napoli Teatro Festival una versione con Massimo Ranieri e Lina Sastri.
Affatto trascurabile è anche l’album apparso in Italia nel 1972 per l’etichetta Jocker (SM3061) in cui Bertolt Brecht canta tre brani tratti dall’Opera: ‘Moritat di Mackie Messer’, ‘Canzone dell’inadeguatezza degli sforzi umani’ di cui è qui sotto riportato il testo:
“Al mondo ormai lo so, / pensare è vano, ahimé!/ La testa fa campare / un pidocchio e niente più,./ Nella vita d’oggi / l’uomo navigar non sa. / L’uomo non sa capire / quello che non va. / Se pensa di andar su,/ che avviene ormai lo so:/ farà un balzetto in alto, / poi cadrà a testa in gi§./ Per la vita d’oggi / non va bene la bontà./ L’uomo che pensa al bello / si rovinerà./ Fortuna e vanità / ionsegui sempre tu! / Le gambe sono corte,/ la fortuna scapperà./ Niente più modestia / nella vita d’oggidì:/ l’uomo e le sue illusioni / crepano così. / Se vuoi cambiarlo un po’ / dà all’uomo un colpo qui./ È certo che la botta / al suo cervello gioverà./ Dato poi che oggi / l’uomo buono, no non va / picchialo pure in testa,/ forse guarirà”. Altra messa in scena originale è la brillante versione brasiliana l’ “Opera do Malandro” (1974) adattata da Chico Buarque con uno stuolo di cantanti e musicisti rigorosamente brasiliani e tutti di primissimo piano: il Gruppo MPB/4, Nara Leao, Zizi Possi, A Cor do Som, Gal Costa, Joao Nogueira, Moreira da Silva e tantissimi altri che nello spettacolo contornano ‘O Malandro’ interpretato dallo stesso Chico Buarque a teatro. Il testo dell' “Opera do Malandro ” prendeva spunto da entrambe le opere conosciute in Portogallo e Brasile, ovvero dall' “Opera dos Mendigos” di John Gay e dall' “Opera de Tres Vintens” di Bertolt Brecht e Kurt Weill. Il progetto nacque da un'analisi delle opere citate condotta da Luis Antonio Martinez Correa, con la collaborazione di Mauricio Sette, Marieta Severo, Rita Murtinho e Carlos Gregório. L'equipe cooperò alla realizzazione del testo finale attraverso letture, critiche e suggerimenti. Un secondo adattamento fu realizzato da Chico per il film “Opera do Malandro” nel 1979, in cui l’autore prende visione della situazione politica e trasferisce l’Opera nel 1941, allorché il governo brasiliano appoggiò il regime filo nazista contro l’opposizione popolare. In questa nuova versione l’Opera torna a mostrare in sé l’impegno poetico e civile delle origini, ben sottolineate dall’autore Chico Buarque De Hollanda. Oggi rintracciabile sul mercato discografico il doppio album (Philips Lp’s 6349.400/401) dal quale è tratta la canzone che segue:
“O Malandro” O malandro/Na dureza Senta à mesa/Do café Bebe um gole/De cachaça Acha graça/E dá no pé O garçom/No prejuízo Sem sorriso/Sem freguês De passagem/Pela caixa Dá uma baixa/No português O galego/Acha estranho Que o seu ganho/Tá um horror Pega o lápis/Soma os canos Passa os danos/Pro distribuidor Mas o frete/Vê que ao todo Há engodo/Nos papéis E pra cima/Do alambique Dá um trambique/De cem mil réis O usineiro/Nessa luta Grita(ponte que partiu) Não é idiota/Trunca a nota Lesa o Brasil/Do Brasil Nosso banco/Tá cotado No mercado/Exterior Então taxa/A cachaça A um preço/Assustador Mas os ianques/Com seus tanques Têm bem mais o/Que fazer E proíbem/Os soldados Aliados/De beber A cachaça/Tá parada Rejeitada/No barril O alambique/Tem chilique Contra o Brasil/Do Brasil O usineiro/Faz barulho Com orgulho/De produtor Mas a sua/Raiva cega Descarrega/No carregador Este chega/Pro galego Nega arreglo/Cobra mais A cachaça/Tá de graça Mas o frete/Como é que faz? O galego/Tá apertado Pro seu lado/Não tá bom Então deixa/Congelada A mesada/Do garçom O garçom vê/Um malandro Sai gritando/Pega ladrão E o malandro/Autuado É julgado e condenado culpado Pela situação.
Al cinema in DVD appartengono altre due versioni in chiave di musical-drama, quella firmata da Jonathan Miller (1983) e la English Baroque Soloists diretti da Sir John Eliot Gardiner, con Roger Daltrey (Macheath), Stratord Johns (Mr Peachum), Patricia Routledge (Mrs Peachum), Carol Hall (Polly), Bob Hoskins (Beggar), Peter Baykiss (Lockit) e Rosemary Ashe (Lucy Lockit), con le coreografie di Sally Gilpin, che tuttavia vale la pena d’esser visionata in ragione degli interpreti tutti inglesi e la figura in sé ‘buffa’ dell’interprete: Roger Daltrey (The Who).
L’altra, più recente, è la trasposizione all'insegna della commistione tra classico e pop che ne ha fatto Lucio Dalla, su musiche dello stesso Dalla, andata in scena al Teatro Duse di Bologna (2008), giocata sull’espressività gestuale degli attori che si rifanno alla Commedia dell’Arte (senza maschere). L'azione infatti si sposta dai bassifondi della Londra del Settecento alla Bologna di oggi. Infatti i personaggi parlano in bolognese, romanesco, napoletano. Mr. e Mrs. Peachum (il nome è tradotto con Speja, cioè spia, in dialetto). Lo spettacolo prodotto da Giuseppe Grazioli, nella versione italiana di Giuseppe Di Leva che ne ha curato la drammaturgia, si avvale di giovani e pur bravi attori come Marco Alemanno (Mendicante), Peppe Servillo (Speja – Peachhum), cantante degli Avion Travel nonché attore finissimo, e Angela Baraldi (Signora Speja-Peachum), voce storica del rock bolognese; Eleonora Buratto (Polly), Borja Quiza (Capitan Uccello – Capitano Macheath). Come egli stesso ha dichiarato, Trattasi di «Una delle avventure più divertenti e stimolanti in cui mi sono tuffato. Un'opera dal linguaggio assolutamente moderno, nonostante sia stata scritta trecento anni fa»; ha detto Lucio Dalla che ha firmato questo divertissement in musica ambientandolo tra Napoli e Bologna.
A tale proposito viene spontanea una citazione tratta dal libro di Claudio Vicentini: “L’arte di guardare gli attori” (Marsiglio 2007), un manuale pratico scritto per gli spettatori di teatro, cinema e televisione che presenta quelli che sono i criteri per riconoscere gli stili degli attori e scoprire le tecniche (i trucchi) che usano sul palcoscenico e sul set e, che lo crediate o no “..sono poi incapaci di usare nella vita” – aggiungo io che scrivo, e che ho più volte scorso per addentrarmi nelle interpretazioni degli attori nelle mie racensioni. Ma si può chiudere un siffatto articolo e una così straordinaria ricerca di testi e di immagini, con una semplice seppur furbesca citazione? Certo che no. Così come nella Commedia dell’Arte era in uso proporre più d’un finale che assecondasse gli umori del pubblico presente, anch’io voglio qui chiudere con un finale abbordabile, che di sicuro farà presa su chi mi sta leggendo. Un finale all’insegna dell’amore, tratto dall’Opera do Malandro di Chico Buarque, che la sa lunga sulla questione: se non altro per le tante ‘belle’ canzoni appassionate che ci ha regalate nel tempo: e che, guarda caso, riprende da lì dove Gay/Peachum e Brecht/Weill ci avevano lasciati:
“Viver Do Amor” Pra se viver do amor Há que esquecer o amor Há que se amar Sem amar Sem prazer E com despertador - como um funcionário
Há que penar no amor Pra se ganhar no amor Há que apanhar E sangrar E suar Como um trabalhador
Ai, o amor Jamais foi um sonho O amor, eu bem sei Já provei E é um veneno medonho
É por isso que se há de entender Que o amor não é um ócio E compreender Que o amor não é um vício O amor é sacrifício O amor é sacerdócio Amar É iluminar a dor - como um missionário.
Da 'Vita di Galileo' (1963) a 'L’anima buona di Sezuan' (1981), da 'La storia della bambola abbandonata' (1976) all’esperienza del 'Festival Brecht' nell’autunno del 1995, Brecht è per Giorgio Strehler un riscontro continuo e costante nel suo rapporto con la società. Anche il Piccolo del terzo millennio non interrompe la relazione con il drammaturgo di Augsburg: Robert Carsen con 'Madre Coraggio e i suoi figli' (2006) e Luca Ronconi con 'Santa Giovanna dei macelli', unica messinscena brechtiana della sua carriera nel 2012, aggiungono ulteriori tasselli al mosaico brechtiano. Brecht, in sessant’anni di storia, da autore contemporaneo si è confermato un classico della letteratura occidentale. Il rapporto tra Brecht e il Piccolo è strettamente legato agli accadimenti che hanno segnato profondi cambiamenti nel mondo. Una cronologia essenziale – proiettata sulla parete a destra dell’ingresso nel locale multimediale – rievoca il contesto in cui gli spettacoli sono stati concepiti. In questa scansione temporale compaiono anche date e tappe essenziali nella storia del Politecnico di Milano, partner del Piccolo nella creazione del progetto, a testimoniare come la storia delle due Istituzioni da sempre scorra in parallelo, in una stretta interconnessione con la società in cui entrambe operano.
In scena al Piccolo Teatro Strehler dal 19 aprile al 11 giugno 2016, "L’opera da tre soldi" di Bertolt Brecht, per la traduzione di Roberto Menin, vede impegnato alla regia Damiano Michieletto che ne ha tradotto tutte le canzoni sulle musiche originali di Kurt Weill; e con Giuseppe Grazionli alla direzione d'orchestra.
"DIE DREIGROSCHENOPER" - L'Opera da Tre Soldi Edizione del testo: Suhrkamp Verlag, Berlino Edizione musicale: Universal Edition, Wien /rappresentante per l’Italia Casa Ricordi, Milano scene Paolo Fantin, costumi Carla Teti luci Alessandro Carletti, movimenti coreografici Chiara Vecchi Personaggi e interpreti: Un cantastorie Giandomenico Cupaiuolo Mackie Messer Marco Foschi Jonathan Jeremiah Peachum Peppe Servillo Celia Peachum Margherita Di Rauso Polly Peachum Maria Roveran Jackie “Tiger” Brown Sergio Leone Lucy Stella Piccioni Jenny delle spelonche Rossy De Palma Mathias Pasquale Di Filippo Jakob Claudio Sportelli Jimmy Martin Chishimba Ede Jacopo Crovella Robert Daniele Molino Walter Matthieu Pastore Reverendo Kimball Luca Criscuoli Molly Sara Zoia Vixen Lucia Marinsalta Betty Sandya Nagaraya Dolly Giulia Vecchio Filch/Smith, carceriere Lorenzo Demaria
Con l'Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi produzione Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa.
In occasione dei 60 anni di teatro del Piccolo di Milano, “L’opera da tre soldi” è stato inserito nel palinsesto tematico ‘Ritorni al futuro’ che il Comune di Milano propone per la primavera culturale del 2016. Parliamo dunque de L’Opera da tre soldi – spiega Damiano Michieletto : « Solo nella prossima stagione, oltre alla nostra, ne saranno prodotte edizioni a Vienna, in Germania, in Francia, a Salisburgo… Come dire, i termini di paragone con cui confrontarsi, per un regista, sono numerosissimi, ma soprattutto in continuo divenire, poiché inesauribili sono i tentativi di approccio a quest’unicum della storia del teatro occidentale». La storia, tratta dalla Beggar’s Opera, "L’opera del mendicante", che l’inglese John Gay scrisse nel 1728 venne tradotta dall’inglese al tedesco da Elisabeth Hauptmann, storica collaboratrice di Brecht, che suggerì allo scrittore una riscrittura in chiave contemporanea. «Senza la Hauptmann oggi non avremmo L’Opera da tre soldi – continua Michieletto – e mi pare opportuno ricordare anche il suo ruolo di eccellente dramaturg, troppo spesso offuscato dalla presenza di due colossi come Brecht e Weill». Ma come sarà L’Opera da tre soldi di Damiano Michieletto? «Proprio perché il testo, in partenza, si presta ad essere letto da tanti punti di vista - penso a chi si è inserito nel solco tracciato dal marxista Brecht e a chi, all’opposto, ha scelto il puro entertainement del musical di Broadway - la mia idea è mettere l’Opera sotto processo, guardarla sotto una lente d’ingrandimento. Il fulcro è il processo a Mackie Messer, che diventa il filtro attraverso il quale leggere la storia e al tempo stesso comprenderla. È un tentativo di smontare il racconto e rimontarlo secondo una circostanza precisa, in grado di creare il necessario distacco analitico. Sarà un lavoro sui personaggi svolto su un costante dislivello recitativo, dove la canzone crea un’ulteriore e prepotente spaccatura con il tessuto e le circostanze della vicenda». Nota: Domenica 3 aprile 2016 Damiano Michieletto ha ricevuto il prestigioso Olivier Award per il dittico ‘Cavalleria rusticana’ e ‘Pagliacci’ andati in scena alla Royal Opera House di Londra.
E inoltre: ‘RovelloDue’ onora i 60 anni di Teatro al Piccolo": Dal 15 aprile al 12 giugno 2016 lo spazio multimediale RovelloDue ospita la videoinstallazione interattiva 1956-2016 Brecht 60 anni di Teatro al Piccolo aperta da martedì a domenica ore 15-20, ingresso libero. Sessant’anni di Brecht al Piccolo sono raccontati attraverso sei parole chiave – Conoscenza, Umanità, Giustizia, Guerra, Lavoro, Potere – emblematiche del lavoro e della poetica dello scrittore tedesco. Ogni parola è illustrata attraverso contributi audiovisivi e fotografici tratti dagli spettacoli brechtiani prodotti dal Piccolo Teatro di Milano nell’arco di tempo che va dal 1956 ai giorni nostri. Dei 27 allestimenti di testi di Brecht, o tratti da Brecht, realizzati al Piccolo, 14 portano la firma di Giorgio Strehler, a partire dalla sua versione de L’opera da tre soldi che debuttò in via Rovello il 10 febbraio del 1956, alla presenza dello stesso autore. Fu la scintilla che avrebbe innescato un racconto destinato non solo a non interrompersi mai, ma a tornare, periodicamente, nella storia del Piccolo Teatro, in un continuo gioco di sponda con la contemporaneità.
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