Pubblicato il 21/03/2016 14:24:17
Dalla serie di racconti: “Come eravamo” IL camino(a furnacell). Volendo o nolendo,ma fino ai primi anni 50 era così! Sedersi vicino ad un camino(a furnacell)per noi bimbi di allora,era facilissimo,non ci rendevamo conto di quali sacrifici i nostri genitori facevano ogni giorno per accendere quel fuoco.Appena si sentiva il tepore provenire dalle fiamme di un fuoco appena acceso,ecco che,ci siedavamo subito li’ accanto su un “comodo"..."chianghiedd", alias,”scannett”(sgabello),o su una piccola sedia(“seggia piccinenn”),in attesa che qualcuno(quasi sempre la stessa persona)ci metteva sopra quelle fiamme “u quallar" (calderone).Si portava l’acqua a bollitura e successivamente ci si immergeva qualcosa da mangiare.Prima e durante quegli anni,sotto la brace,la faceva da padrone la “pizza r grandinjj” ,e sopra, la polenta, sempre di “grandinjj”(granoturco).Accanto al fuoco, spessissimo,c’era un recipiente di terracotta(a pignaath),con dentro quasi sempre fagioli,cicerchie, o altri legumi,con alcuni pezzi di cotenna di maiale(cotica)e persino verdura varia.Non era una dieta molto varia,ma ricordo ancora con nostalgia, quelle profumatissime minestre paesane! Nel 99% dei casi, l’”addetta”al camino o alla cucina era la mamma, a volte,qualche sorella più grande(chi ce l’aveva). Quando poi soffiava la tramontana ,ovvero,”u vient r cimm”,o la legna messa ad ardere non era abbastanza stagionata o secca,ecco che: la casa si riempiva di fumo! La cosa non generava un fuggi ,fuggi generale,come potrebbe succedere ai bambini di oggi,ma noi bambini di allora, eravamo talmente abituati a simili evenienze che la cosa non ci preoccupava affatto. Il solo camino non poteva quasi mai scaldare a sufficienza la casa.Tutta la famiglia però, era ben temprata a sopportare le basse temperature di allora,e non ci si ammalava facilmente come qualcuno potrebbe pensare adesso.Nei mesi freddi, tutti i racconti e i discorsi di famiglia e conoscenti si svolgevano intorno al fuoco del camino.A quell’epoca,le donne,per proteggere le gambe dal freddo,usavano indossare delle calze molto spesse,che arrivavano al ginocchio o poco più su’,tenute ferme da delle molle elastiche(i collant sono arrivati dopo,inizio anni 60).L’eccessiva vicinanza o esposizione al fuoco delle zone di gambe non protette dalle calze,causava in dette zone, delle macchie leopardate di un colore rosa acceso, chiamate:“i parient”,(dermatite da scaldino)molto antiestetiche.A tale proposito,ricordo che:un mio amico di Rapone che si chiamava,e si chiama, Donato T.,abitante adesso, in provincia di Torino, quando un giorno gli chiesi come mai rifiutava le avance di una bella ragazza di Rapone,mi rispose piu’ o meno cosi’:”Non mi piace perchè ha le cosce a mortadella!” Per fortuna che poi sopraggiunsero i collant, il gas e i termosifoni, il fuoco nel camino si faceva sempre piu di rado,e quegli spettacoli quasi scomparvero!... Alla nuova generazione giova ricordare che: la legna(“r zepp”),non piovevano magicamente dal cielo nel camino,ma bisognava andarle a prendere in campagna,nel bosco di Rapone,e vicino al bosco di Pescopagano. Una persona che ho avuto la fortuna di conoscere anch’io,e di cui, come raponese, ne sono orgoglioso,andava al bosco a raccogliere legna,scalzo, avendo avuto il suo primo paio di scarpe, più o meno, all’età di quattordici anni. Quasi tutte le donne di Rapone,compresa mia madre(i mariti erano emigrati), andavano al bosco a raccogliere legna, da sole,a volte anche in compagnia,e se non avevano un asino,portavano pure la fascine in testa fino al paese,anche più volte in un solo giorno! Sono sicuro che le mie figlie non lo farebbero mai, ma probabilmente non lo farebbero neanche i figli di questa generazione,abituati ad un altro ritmo,e sempre piu’ spesso,abituate a non credere al sacrificio di chi ci ha preceduto;orgoglio di noi che invece,in loro,abbiamo sempre creduto!
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