Giornata internazionale contro la violenza sulle donne (25 novembre 2012)
La voce di sette poeti…
*
Gabriella Maleti
DONNE
Un’esca facile:
innumerevoli donne messe a morte,
imbracate, annegate, bruciate,
abbandonate nei più marci terreni.
E non finisce.
Donne ormai lontane dai
rosati infanti che furono,
che sono quelle ombre d’uomo
temute, impronunciabili.
*
Mariella Bettarini
(inedito)
LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE
(acrostico)
Leviamoci dalla testa l’idea che
(Ahinoi) la violenza contro le donne sia finita…
Veniamo contraddette ogni giorno dalla (non certo
Inusuale) violenza di pensieri – parole – atti –
Omissioni da far rabbrividire chi pensava
(Lungi-mirante?) che il novello millennio potesse offrire
Elementi di nuova (?) “civiltà” – d’un altro comportarsi
Nei confronti di giovani (e men giovani) donne col proprio
Zelo di mogli – di compagne – di figliole – di madri
Adesso speravamo libere e fiere nella propria
Capacità di fare scelte doverose – dignitosi distinguo – di
Operare nel meglio d’una matura libertà
Nata da sofferenze secolari – dalla
Tribolata millenaria condizione di schiave – sottomesse – silenziate –
Ruinose vittime di uccisioni – di stupri – di violenze
Orrende onnipotenti contro corpi ed anime – intelligenze e
Lucide visioni d’una vita “altra” – altrimenti vissuta
E davvero vivibile. E allora –
Donne – che fare? che pensare?
O – dove – dubitose – raccogliere senza troppo timore le limpide
Nostre menti – i corpi – le speranze – le parole – le età che
(Nolenti o volenti) ci accompagnano?
E intanto – nella formulazione di risposte possibili: Viva – viva le donne!
*
Annamaria Ferramosca
da Curve di livello, Marsilio, collana Elleffe, 2006
JASMINE
Le lunghe gambe lucide
- fenocristalli sull’asfalto - offerte
ai bordi della pineta
gli occhi - gelsomini del Niger -
guardano visi termici
senza riconoscerli
S’accosta all’auto un idolo
ancheggiante animale captivo
Bocca mani automatiche muovono
un turgore segreto di maledizioni:
i fianchi braccati di femmina corrosi
corroderanno, corrotti
corromperanno
Jasmine intatta nel suo grumo
al centro il mistero sbarrato
fuori il maschio sazio
celebrato il rito di vuotare il vuoto
bianco delirio sulla pelle, anonimo
pure il biglietto sprezzante
morso di pane da spedire in Africa
L’occhio- memoria di Jasmine da terra
s’inchioda in alto, sulla
chioma del pino, i rami divenuti
ventagli di palma
*
Tiziana Colusso
(inedito)
BATTAGLIE INDECIFRABILI COME LITURGIE
Come un pugile di battaglie indecifrabili come liturgie, ho incassato sfregi, lividure, echi di parole scheggiate incistate nel labirinto dell’udito, legamenti distorti che mandano malfermo il passo. Ho conservato il tesoro testardo di denti bianchi e minuscoli, da bambina, che esibisco come una collana di luce.
*
Antonio Spagnuolo
(inedito)
PER LA DONNA – (non violenza)
Vengono alcuni giorni in cui parole
sono grumi di lacrime, di lutto,
s’illividisce il cielo perché spezza
ogni dolcezza il segno di violenza,
che brucia contro il ventre.
La casa era tutta tua, è tutta tua ancora,
anche nella tua assenza inaspettata,
ed io disperdo le mie mani
tra i ninnoli che non hanno più valore.
Timidamente il polso, per quelle aritmie
che hanno sospeso a tratti il mio affanno,
quelle aritmie improvvise che hanno atterrito
tutta la poesia della nostra vita,
scardina il pianto di promesse
e sventure,
tra lamento e disperati agganci.
Forse l’orizzonte offre la stella mattutina
dai falsi contorni per ricattare la carne,
modulando le ore che lasciammo
per approdi del flauto,
o a raccattare le più che povere stagioni
tremando per le mani indispettite.
Nessuna epifania conosce il gioco
inciso nella tua verginità.
Ti lascerò distribuire il sangue
rifiutando pensieri,
doglianze del tuo piccolo ventre,
ormai più avvezzo allo scherno che ai riflessi.
Anche il trillo del vuoto è un’illusione
di altri tempi e guizzi, ultima frattura
a scaglie di ripetizioni,
belva semiaperta a mutamenti,
rincorre lampeggi segregati nell’agguato.
Il mio strappo ha l’intreccio
delle tinte roventi, delle attese,
ed ecco che le arterie inceppano
disperate filiere
secondo impasti che fan conto del sempre,
nel crepitio dei fiotti d’ombra,
ed insistono gli abbracci per fondere il cerchio,
là dove ancora sembra intatta
la punta del pensiero,
dove era scritto che la carne in discesa
maliziosamente rimetteva il verso giusto
condividendo il medesimo guizzo
delle incisioni.
Scontro per le inflessioni della voce
e nel piegarti ogni infame figura tinge il rosso.
*
Gian Piero Stefanoni
(inedito)
NELLO SGUARDO
è già la violenza
alle mie nipotine,
alle mie piccole donne
“Dallo sguardo ho imparato
che le regole non sono le stesse;
subito, insieme alla paura e alla colpa
per ciò che è possibile e non è possibile fare
per noi a cui proprio a partire da questo
è chiesto di più nel silenzio e nella repulsa.
Con quello sguardo anch’io ho imparato
a trattarmi- ed è questa, la seconda offesa
la più dura, la più duratura- ad entrare
e ad uscire nell’imposizione di un mondo
che misura ancora per fiocchi, la cui impotenza
conta, si struttura però sulla forza
che solo il nostro trasporto sa dare”.
Questo ieri mia moglie mi ha detto
a proposito di questa poesia.
E so che è vero, che da qui ha inizio
il cammino inverso che può farci padroni
quando i conti non tornano- e che ci pungola
se dell’amore vediamo il recinto
nel consumo di una confuso possesso.
Maschera- o menzogna del ruolo,
che forse sopravvive un po’ in tutti gli uomini.
E scudo- dietro cui più d’uno
è pronto a colpire quando del femminile
l’immagine poi non risponde.
Così, penso che una vera risposta
da qui deve partire: dallo sguardo
che piuttosto a sé l’uomo deve volgere
nella comprensione di ciò che in lui accade,
e che lo afferma nell’incontro e nel desiderio;
nel mattone che lo può costruire
o costringere in quella chiusa
da cui indietro-e questo piangiamo-
non da solo spesso non torna.
Ma credo anche che insieme
il percorso si compie, che al riconoscimento
e al rispetto adesso soprattutto sono le donne
a potere educare, nella dignità e nell’amore
per naturale cura e costanza.
Le nuove madri finalmente rompendo
quel silenzio che da adulto
il proprio figlio può armare.
*
Sophia de Mello Breyner Andresen
da Dual, Editorial Caminho
Traduzione inedita di Roberto Maggiani
CATARINA EUFÉMIA
O primeiro tema da reflexão grega é a justiça
E eu penso nesse instante em que ficaste exposta
Estavas grávida porém não recuaste
Porque a tua lição é esta: fazer frente
Pois não deste homem por ti
E não ficaste em casa a cozinhar intrigas
Segundo o antiquíssimo método oblíquo das mulheres
Nem usaste de manobra ou de calúnia
E não serviste apenas para chorar os mortos
Tinha chegado o tempo
Em que era preciso que alguém não recuasse
E a terra bebeu um sangue duas vezes puro
Porque eras a mulher e não somente a fêmea
Eras a inocência frontal que não recua
Antígona poisou a sua mão sobre o teu ombro no instante em que morreste
E a busca da justiça continua
CATARINA EUFÉMIA
Il primo tema della riflessione greca è la giustizia
Ed io penso a quell’istante in cui restasti esposta
Eri gravida tuttavia non arretrasti
Perché la tua lezione è questa: fronteggiare
Ebbene non mandasti un uomo in tua vece
E non restasti in casa a cucinare intrighi
Secondo l’antichissimo metodo obliquo delle donne
Né usasti manovra o calunnia
E non servisti solo per piangere i morti
Era arrivato il tempo
In cui era necessario che qualcuno non arretrasse
E la terra bevve un sangue due volte puro
Perché eri la donna e non soltanto la femmina
Eri l’innocenza frontale che mai arretra
Antigone posò la sua mano sulla tua spalla nell’istante in cui moristi
E la ricerca della giustizia continua
*
[ LaRecherche.it ringrazia gli autori ]