(seguito)
“Perché non entriamo in una di queste taverne? – propose Nefer con disarmante candore – Quest’aria calda mi soffoca. Gradirei un boccale di birra.”
“Ah.ah.ah… - scoppiò a ridere Thotmosis – Tu, un boccale di birra!”
Neanche Xanto riuscì a trattenere un sorriso divertito.
“Che cosa c’è di male? – replicò in tono seccato la principessa di Tebe – Quaggiù nessuno conosce il principe Xanto. Avanti. Entriamo.”
Scambiatasi una breve occhiata i due ragazzi si infilarono, seguiti dalla ragazza, in una di quelle aperture da cui proveniva allegro vociare. Sulla facciata campeggiava una vistosa insegna con la scritta “Le Fauci del Coccodrillo”.
La taverna sorgeva al centro del porto, strozzata da steccati, terrapieni e cataste di legna. Aveva l’aspetto di una barca in disuso ed era a due piani, però non si vedevano scale all’esterno. Accanto all’insegna erano appese due lanterne.
Era mattino presto e l’odore pungente delle immondizie date alle fiamme dagli addetti alla pulizia delle strade feriva le narici; i tre si lasciarono il puzzo alle spalle.
Thotmosis scelse un tavolo vicino alla porta e un servo si avvicinò immediatamente, chiedendo:
“Cosa volete?”
“Tre coppe di birra. - ordinò Thotmosis, tirando fuori della cintura del perizoma un pezzo d’oro – Basta per pagare tre birre?” domandò girandosi verso i compagni, come a chiedere conferma.
Nefer si rese conto di non conoscere il valore del denaro ed ebbe il sospetto che neppure il fratello fosse pratico di conti.
“Sufficiente per le prime tre coppe, - il servo mostrò, invece, di aver compreso appieno la situazione – Per le successive, però…”
Xanto lo interruppe subito:
“Questo pezzo d’oro – precisò – è buono per le prime tre e anche per le successive, se ne ordineremo. Ed ora portaci subito da bere.”
Il servo cambiò immediatamente atteggiamento, rispose che li avrebbe serviti subito e si allontanò.
Consumando l’attesa nel guardarsi intorno, i tre cominciarono a fare apprezzamenti sul locale.
Il materiale da costruzione di tutta la locanda, dal pavimento alle panche, era vecchio legname ricavato da barche in demolizione.
Nefer passò l’orlo della tunica sul tavolo per liberarlo delle briciole lasciate dall’ultimo avventore e Xanto, additando una delle assi:
“Queste tavole provengono dallo scafo della nave di Idomeneo.” disse.
“Chi è questo Idomeneo?” domandò Thotmosis.
“Un guerriero acheo. – rispose Xanto accostando alle labbra il boccale con la birra che il servo aveva appena posato sul tavolo e bevendo a piccoli sorsi – Trasportava i cavalli di Reso.”
“Ho già sentito questo nome.” disse Thotmosis.
“Era un alleato troiano. – spiegò Xanto – Un oracolo gli aveva predetto che se avesse bevuto acqua di fonte del fiume Scamandro insieme ai suoi magnifici cavalli, Troia non sarebbe mai stata espugnata… Lo Scamandro – aggiunse – scorre nella pianura della mia terra perduta.”
“Mi dispiace!” esclamò Nefer.
“Che cosa è successo?” domandò Thotmosis.
“Un infido e astuto guerriero acheo di nome Odisseo e il suo degno compagno, Diomede, tesero un tranello al valente guerriero Reso, l’uccisero e caricarono i suoi cavalli sulla nave di Idomeneo, al seguito di re Menelao. – il principe troiano fece seguire una seconda pausa ed intanto addentava una delle focaccine al miglio che una servetta aveva appena posato sul tavolo – Io ero su quella nave, prigioniero del mio odiato nemico, quando fu affondata, nello scontro con alcune navi troiane in fuga… Fu in quella occasione che fui condotto a bordo della nave del Re di Sparta, suo prigioniero… da dove, poi, sono fuggito, appena toccata questa terra.”
“Hai lottato per la tua terra ed ora lo farai per la tua libertà e noi ti aiuteremo.” esclamò solennemente il principe Thotmosis, posando il boccale vuoto sul tavolo ed avviandosi verso l’uscita. Gli altri due lo seguirono immeediatamente dopo.
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