(seguito)
Quella non era la prima volta che Nefer e il principe Thotmosis si allontanavano di soppiatto da Palazzo per raggiungere la necropoli, sulla riva occidentale del fiume.
L’indomani, di buon’ora, i due fratelli raggiunsero il posto convenuto: il Pilone di Ammon-Ra. Il faraone Ramesse lo aveva fatto costruire più di venti anni prima, in coppia con un altro dedicato a Ptha-Osiride.
Costituiti da due massicci torrioni decorati con scene che vedevano il Sovrano vincitore sui nemici, i Piloni fiancheggiavano le Porte di accesso di Templi e Palazzi e fungevano da monumentali ingressi.
Nefer non era da sola quando giunse all’appuntamento e il fratello non mostrò eccessivo entusiasmo per la presenza del ragazzo che era in sua compagnia e col quale mostrava d’essere in ottima intesa.
“Chi è lui?” domandò subito.
“Viene con noi nella Città dei Morti.” disse lei per tutta risposta.
“Ti ho chiesto chi è.” insisté il fratello.
“Il suo nome è Xanto, principe di Troia. E’ arrivato in Egitto con re Menelao, suo prigioniero ed ha…”
“Che cosa ci fa in tua compagnia?” la interruppe Thotmosis con accento severo.
“Sto aiutandolo a fuggire.” rispose con disarmante candore la principessa.
“Devi aver perso il senno, sorellina! Non puoi aiutare il prigioniero di un ospite del Faraone a fuggire.”
“Ho promesso di aiutarlo a lasciare la città e questo farò. Speravo nel tuo aiuto, ma se ti rifiuti, chiederò a qualcun altro di aiutarmi.”
“Non ho detto che non voglio aiutarti. – replicò il fratello; il principe troiano non aveva ancora aperto bocca – Ho detto che non è una buona idea!”
“Invece sì! – questa volta fu Nefer ad interrompere il fratello e con un tono che non ammetteva repliche – Xanto è un principe di sangue ed io ho immaginato i miei fratelli… ho immaginato te, schiavo del tuo nemico e l’idea mi è parsa pesante da sopportare. Per questo voglio aiutarlo. Se tu conoscessi le traversie che ha dovuto affrontare… racconta… racconta, Xanto. Racconta anche a lui quello che hai detto a me… Racconta.”
“Avevo due anni quando le vele achee…” esordì Xanto, ma Thotmosis lo interruppe:
“Mi racconterai tutto sulla strada per la Città dei Morti. – disse – Ora è meglio allontanarsi da qui e cercare qualcuno che ci traghetti dall’altra parte. Venite… Venite.”
Soddisfatta della velocità e facilità con cui aveva trascinato il fratello in quell’impresa, la principessa Nefer lo gratificò del più smagliante dei sorrisi, poi si apprestò a seguirlo.
Sulla scia di un gruppo di forestieri che andavano in direzione del fiume, i tre ragazzi lasciarono il Pilone.
Le strade erano affollate. Di qua giungevano le grida del barbiere che raccomandava i clienti di attendere pazienti il loro turno e di là quelle del venditore di pane e ciambelle che invitava la gente a comprare la sua merce fumante. A destra un sarto e un calzolaio con aghi d’osso e arnesi di rame tagliavano e cucivano all’aperto ed a sinistra venditori di ventagli invitavano i passanti a liberarsi del fastidio delle mosche; un fabbricante di calzature, dal canto suo, assicurava piacevoli passeggiate con ai piedi i suoi sandali e un venditore di fibule e collane elogiava la bontà della sua merce esposta.
Ogni cosa, gesti e parole, si svolgeva sotto l’occhio vigile di guardie armate di verghe e funzionari provvisti di calami e papiri.
Attraverso una selva di mura e colonne, il gruppetto raggiunse il porto e il quartiere più turbolento della città. Qui, stradine e stretti vicoli vennero incontro saturi di odori: quello di pane appena sfornato stuzzicò immediatamente il loro giovane appetito.
Lungo quei vicoli si aprivano numerose bettole e si ammassavano le case di fango della gente più povera, simili ad un gregge di pecore sorpreso dal temporale.
I tre ragazzi percorsero una di quelle stradine; in fondo, si apriva una distesa gialla di grano che sembrava un immenso mare d’oro. La stagione della siccità aveva raggiunto il culmine ed una moltitudine di persone affollava i campi. Mentre i bambini giocavano e si ruzzolavano per terra, uomini e donne mietevano il grano, lo pulivano dalle impurità e lo caricavano su pesanti carri.
I tre passarono accanto ad un gruppo di uomini che con lunghi forconi raccoglievano il grano per farlo passare in un setaccio rettangolare: la resa, sotto lo sguardo vigile di due Funzionari del Dicastero dei Lavori Regi, avrebbe determinato la misura dell’imposta da applicare.
Gruppi di persone accovacciate per terra riparavano attrezzi, altre cercavano di tenere lontano gli uccelli e gruppi di donne reggevano in testa grosse ceste di datteri, fichi e melograni: il loro profumo riempiva l’aria.
Avanzando indisturbati, i tre raggiunsero un pontile dove imbarcazioni di ogni forma e dimensione caricavano e scaricavamo merci.
“Vorrei restare qualche giorno ancora a Tebe. – esordì Nefer girandosi a guardare un operaio coperto di polvere da capo a piedi, che con una ciotola riempiva di grano un sacco retto da un bambino – Invece a corte stanno facendo già i preparativi per tornare a Pi-Ramesse.”
Pi-Ramesse, fatta edificare con dovizia di mezzi dal faraone Ramesse II, era la residenza che i sovrani della XIX Dinastia avevano fissato per se stessi e la corte.
(continua)
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