Casa mia è bella, pur non essendo piccina, la più bella che ci sia.
Quando era stata da poco costruita, con l’ambizioso sogno che rassomigliasse ad una cattedrale, ho trovato i due padroni che lavoravano, sudati e affaticati, a rifinirla nell’intento di renderla accogliente. Mi sono avvicinata, dopo essere stata invitata a visitarla, e ho detto: “Non ho casa. Non riesco a trovarne una in cui mi riconosca e, per dirla alla Silone, sono una cristiana senza Chiesa e una comunista senza Partito!” Ho, candidamente però, omesso di avvertirli su quanto fossi passionale e rompipalle. Uno mi ha risposto che, se volevo, quella poteva diventare anche la mia casa a patto che lavorassi per tenerla in ordine e senza aspettarmi riconoscimento alcuno, l’altro ha aggiunto che in ogni casa il coinquilino può vedere la sua casa (ho un po’ parafrasato… ma il concetto era questo).
Quando ho cominciato ad abitarla, mi sono resa conto che già eravamo in tanti, tutti diversi eppure accomunati dallo sguardo puntato non in uno specchio o al video di una TV ma all’orizzonte. Una sorta di comune, con poche regole ma chiare, che coabitava serenamente. Non tutti erano chiamati a svolgere particolari incarichi ma tutti, indistintamente, praticavano l’arte del dono e la contemplazione del bello.
Sono passati gli anni e sempre più persone si sono unite a noi. Ora siamo una tribù: non abbiamo un Dio, non ci sono tribunali, né polizia, né prigioni ma abbiamo un nome ed idee chiare, quelle sì.
Però qualcuno fraintende e crede che l’ospitalità e la gratuità coincidano col poter entrare e uscire a piacimento, senza pulirsi le scarpe sullo zerbino con scritto benvenuto quando varca la soglia e uscire senza nettare dove ha sporcato. Qualcuno si siede a tavola, mangia anche ciò che non ha mondato, preparato e cucinato e, poi, dopo aver detto che ciò che ha divorato faceva schifo, sputa nel piatto in cui mangia. Altri, ancora, entrano nella stanza dell’uno o dell’altro ospite e vomitano il rancio: dopo aver detto “puzzi!” al malcapitato, escono gloriosi e trionfanti perché pare anche il vomito si debba ritenere una preziosa regalia se concessa da cotanto personaggio.
Io sono fra quelli il cui compito è tenere pulita la casa. Di solito lavoro in silenzio: senza farmi vedere raccatto, lavo e lucido prima che altri possano avvedersi della bruttura o scivolare sull’immondizia, finendo a terra bestemmiando e inveendo.
Oggi sono stanca di stare zitta: volete rimanere qui? Siete i benvenuti e nulla vi è chiesto se non rispetto. Non vi piace il rancio? Ottimo, disse il Conte… l’Italia è il Paese dei ristoranti, andate a mangiare altrove e pagate il conto.
A quanti, fra le mie amiche e amici, i miei coinquilini, stanno cadendo nell’illusione che il buonismo paghi, sino a scivolare nel melodrammatico tentativo di conciliare l’inconciliabile… a loro chiedo solo d’essere più avveduti e leggere la realtà per quel che è: tollerare è una cosa, subire un’altra.
Io non pulisco più: ognuno pensi alla sua stanza e la tenga in ordine… qui c’è dono ma non servitù!
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