Pubblicato il 07/03/2009 23:36:00
I love shopping in bianco di Sophie Kinsella è un libro che si compra con un po’ di imbarazzo, magari nascondendolo tra un Dostoevskij e un Eco e che almeno, all’inizio, si legge di nascosto, meglio se camuffato dentro le pagine di un quotidiano. Un poco come succede per i giornali scandalistici che tutti affermiamo di leggere solo dal parrucchiere e che invece fanno capolino sulla nostra scrivania.
Conoscevo la scrittrice solo per fama, nel senso che rimanevo colpito dalla pila dei suoi libri che sempre campeggiano in qualunque libreria e centro commerciale. Ma per via di quella puzza pregiudiziale di cui dicevo prima avevo sempre procrastinato l’acquisto:” È un libro troppo leggero, per adolescenti”.
Già dal titolo si capisce il tema dominante (leggasi mania) per lo shopping, una forma non del tutto catartica per liberarsi delle proprie passioni e delle proprie paure. E poco importa se si comprano cose del tutto futili o tre o quattro vestiti per la stessa occasione.
Becky Bloomwood è una ragazza inglese trasferitasi nella grande mela che vive una convivenza felice col fascinoso e ricco Luke. Lavora presso Barneys in veste di personal shopper. È una ragazza solare che ama circondarsi di begli abiti e scarpe costosissime, che cerca di mascherare come “spese per la famiglia” nel conto cointestato col fidanzato. Questo libro- che si inserisce all’interno di una stessa saga tematica e di cui è uscita in questi giorni una pellicola per opera del regista de "Il matrimonio del mio migliore amico", Paul J. Hogan- gira attorno alla costruzione di una cerimonia di nozze che per la leggerezza della protagonista si biforca in due feste parallele: la prima a New York nello sfarzoso hotel Plaza e la seconda in sobrietà, in Inghilterra.
Il libro si accende subito e spesso ci si deve interrompere per le risate che scaturiscono dalle situazioni esilaranti e ambigue che la protagonista vive, come la possibilità di prenotare dei lotti matrimoniali per il cimitero che in caso di divorzio possono essere spostati in lati opposti o l’esposizione dell’amico e stilista non ancora affermato Danny che mette le sue creazioni nel Barneys a insaputa della direttrice oppure la ricerca di due sosia così da rendere possibili entrambe le cerimonie. Non mancano nemmeno i momenti forti e di riflessione: “Becky, hai mai pensato alla topografia di Manhattan? È come una metafora della vita. Tu pensi di avere la libertà di andare ovunque desideri ma in realtà hai dei confini molto rigidi. Su o giù. Destra o sinistra. Niente vie di mezzo. Nessuna possibilità intermedia. La luce entra a Manhattan e resta intrappolata. Intrappolata nel suo stesso mondo, costretta a rimbalzare da un edificio all’altro senza una via di fuga”.
La festa in America è organizzata dalla wenning planner Robyn, assunta dalla suocera, una donna eccentricamente aristocratica che più che altro vede nel matrimonio del figlio la sua festa e la celebrazione del proprio successo. Ed è il rapporto con queste due donne ad incidere sull’economia del libro. Forte è il topos per niente idilliaco nuora-suocera. Quest’ultima, per altro, è rea di aver abbandonato il figlio quando era piccolo e sembra cercarlo solo quando questi è diventato qualcuno.
Ma come fare a dire no ad un matrimonio extra-lusso, il matrimonio dell’anno, organizzato in pompa magna e che ha come tema “la bella addormentata nel bosco” e nel frattempo accontentare la mamma che parallelamente per lo stesso giorno sta organizzando un matrimonio più tradizionale? Becky non pare possedere la determinazione di scegliere fra le due feste e nemmeno il coraggio di ammettere, almeno a se stessa, l’ambigua fragilità del suo carattere: “Ho acceso cinquanta candele nella chiesa di St Thomas e altre cinquanta in quella di St Patrick, ho affisso una supplica sulla lavagna delle preghiere nella sinagoga della Cinquantacinquesima e ho portato dei fiori alla dea indù Ganesh. Inoltre un gruppo di persone che ho scoperto su internet sta pregando intensamente per me”.
Il romanzo va letto tutto d’un fiato e servirà a meglio comprendere il mondo femminile in fatto di acquisti. Inoltre è molto piacevole e avvincente, e sebbene il termine abbia più che altro un’accezione negativa, non è un offesa definirlo “leggero”, nel senso che è adatto a qualsiasi età e che può trovare facilmente spazio nella nostra libreria. In fondo non ha la velleità di assurgere a letteratura. Vuole essere solo un libro di lettura. assai spassoso e capace di spezzare la pedanteria di letture ben più altolocate.
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