Pubblicato il 26/01/2016 16:21:31
Maestria, maturità, esperienza, nessun rifiuto di quello che si è a una certa età. Anzi, utilizzo ottimale di tutto quanto si ha disposizione. Raffinatezza, conoscenza e competenza che, questa volta, non mascherano assolutamente quello che il duca bianco del rock realmente è stato a quasi settant'anni, con una malattia chiusa nel suo corpo come dentro uno scrigno. Lo stesso scrigno che ha custodito sotto innumerevoli vesti una personalità su cui quasi tutto il globo che definiamo occidentale dotato di orecchie si è interrogato, creando il mito, che, badate bene, senza perizia artistica non si sarebbe mai formato (non siamo assolutamente di fronte ai fenomeni da baraccone di ultimissima generazione). Ma stavolta Bowie ci lascia un lavoro che è prima di tutto un testamento artistico in cui la maschera è più che mai funzionale alla realizzazione finale di una personalità polimorfa nelle sue manifestazioni, ma solo perché votata totalmente e indissolubilmente all'intrattenimento. Assistiamo ad una trasmutazione alchemica magistralmente orchestrata attraverso l'arte, di un uomo nel suo pieno declino, senza vergogna, un uomo sereno, quasi rassegnato. Una grande lezione (proprio da lui, chi l'avrebbe mai detto?) ad un mondo sempre più patologicamente teso all'immagine, all'apparenza e all'ostentazione maniacale di una sorta di 'eterna giovinezza', specialmente nella musica. 'Everybody knows me now' recita un verso della magnifica 'Lazarus'. https://www.youtube.com/watch?v=y-JqH1M4Ya8
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