Credetemi,
sotto il cielo della luna
lui chiamava salvezza
quel procedere fidente
brancolante ascesi
in un buio dimenticato.
Sopra, la ghiaccia
volta circense
percorsa dal perenne errore
di patetiche nuvole informi
disperata mimesi d’infinito
e sotto la berciante fauna bieca
nel torbido plancton dei giorni.
Non erano folate d’angeli custodi
ma le risate grasse dei padroni della terra
al piombare goffo del ragazzo nella vita
lui che credeva d’essere un giunco
e che una stella lassù portasse il suo nome.
Cristo gli era in ogni istante
profumo della novità del nove
e il suo un volto sempre irriso
dal crasso popolo delle vetrine
lui sempre sotto lo stesso cielo
volto alle sei impettite direzioni
del terrifico nome plurigemino.
Alla fine la diaspora dei clown
il crollo delle gabbie
intorno a incottite criniere
il calice della rancura e parole
cadute dalle chimere
dei sogni velenose
sulla lastra rovente del mattino
da che dispersa al colmo
fu la fedeltà di un bracco
il berretto da capitano
e una ingrommata pipa
contro il fato scempio
d’una balena albina
e il gioco di morgana della vita
una ressa sulle dune, a ordire il circo
cieco del plagio inane di se stessa.
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