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Roberto Nobile - Attore

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 15/05/2009 15:46:52

DOMANDA. Il grande pubblico la conosce per aver interpretato i ruoli del giornalista Nicolò Zito in "Montalbano" e quello del poliziotto Antonio Parmesan in "Distretto di polizia". Gli amanti del cinema l’hanno potuta apprezzare in film come Un attimo sospesi, La stanza del figlio e Caos calmo, Sotto il sole della Toscana, L’Intervista, solo per citarne alcuni. Forse sono di meno ad averla seguita nella sua carriera teatrale. In realtà, non si trovano in giro delle sue biografie esaurienti.
La prima domanda, quindi, è la più ovvia ma la risposta potrebbe essere la meno scontata.
Chi è Roberto Nobile?

RISPOSTA. Per il teatro ho scritto insieme ad Enrico Bonavera, “Il testamento del capitano”, spettacolo di commedia dell’arte. Poi il testo di un mio monologo sulle guerre coloniali “Teneo te Africa”. Ho passato anni significativi a Genova presso l’ospedale psichiatrico locale, coinvolgendo col mio gruppo i degenti in attività teatrali. Col suddetto gruppo “Sentimental circo” ho vissuto una intensa stagione di teatro di strada in Italia ed all’estero. Poi sono stato attore “sotto padrone” in diverse compagnie. Riguardo alla mia biografia, ho fatto tante cose nella vita, tanti mestieri e non so quanto possano interessare. Per non sfuggire alla domanda principe, dirò che Roberto Nobile ha lanciato in tutti questi anni messaggi nella bottiglia, come naufrago in isola disabitata. Nessuno è venuto a salvarlo, e forse non era possibile e forse non accadrà mai; però i messaggi erano scritti benino, e questo è ciò che conta alla fine.

DOMANDA. Lei ha scritto pieces teatrali e sceneggiature che negli anni ’90 hanno vinto premi significativi, il libro “Voglio un posto in paradiso - La vera storia del preservativo raccontata da lui medesimo” con in appendice alcuni contributi della LILA ed ha pubblicato un suo racconto nella raccolta antologica “Qualcuno ha morso il cane. Racconti di doppia vita”, che vede scrittori affermati, emergenti ed esordienti affrontare i temi del doppio e dell’omosessualità.
In ultimo il libro “Col cuore in moto”, anche recensito sul nostro sito www.larecherche.it.
Ha scritto e pubblicato altro?

RISPOSTA. Nel 1981 ho pubblicato per l’editore Ottaviano il romanzo “Andata e ritorno per ferie”

DOMANDA. Quando ha iniziato a scrivere e perché?

RISPOSTA. Scrivo da sempre, compresi i diari e le poesie adolescenziali anche del tipo più ingenuo, lacrimoso e convenzionale. Ho capito che sapevo scrivere, quando mi sono impegnato nella mia tesi di laurea in storia del Risorgimento, dove non c’era spazio per la mia animella ferita, ma solo per considerazioni oggettive, sociali ed “epiche”. Sul perché credo di aver già risposto.

DOMANDA. Nelle “dediche” che chiudono il suo libro “Col cuore in moto”, proprio nell’ultima pagina, dichiara: “Si può restituire un’eredità, o farsela cambiare da chi te l’ha lasciata? Qui, nella scrittura, grande officina di riparazioni del passato si può…”.
Vuole approfondire per noi quest’affermazione?

RISPOSTA. Credo che la MEMORIA sia un attrezzo imprescindibile per lo scrittore. Questa frase è generica, me ne rendo conto, e poiché non sono un critico letterario, trovo più onesto parlare di me, in prima persona. Dunque, una certa difficoltà esistenziale, mi ha portato a vivere il presente con una partecipazione discontinua, inceppata, dolente a volte. Questo mi ha impegnato in una attività costante, anche ossessiva, come una fatica di Sisifo, quella di capirlo, di dargli un senso, di riaggiustarlo nel ricordo (il presente ormai passato). Alcuni psicanalisti dicono che lo scopo della terapia è quello di accettare e rimettersi d’accordo con la propria storia personale. In questo senso la scrittura è stata ed è per me una terapia, “Un’officina di riparazioni”.

DOMANDA. Quando scrive che cosa la ispira? Scrive di getto? Rivede e corregge i suoi testi?

RISPOSTA. Prima di scrivere, ovviamente, devo avere un’idea di impianto generale, ciò di cui voglio parlare con urgenza. Riguardo alla pagina, non scrivo se prima non mi è chiaro il fulcro di quella pagina, il messaggio, la morale della favola, o la metafora fondamentale. Ma ancora non basta…mi deve essere chiara la strada per arrivarci a quel fulcro, il percorso, direi retorico (nel senso non negativo della parola). Forse sono un po’ criptico, ma non mi so spiegare diversamente.
Poi scrivo di getto, improvvisando, fidandomi della scrittura che si scrive da sola. Passo molto tempo a correggere, ma si tratta sempre di dettagli e di piccoli tagli.

DOMANDA. Ha incontrato difficoltà nel pubblicare il suo libro? Se sì, quali?

RISPOSTA. Le difficoltà classiche…mancate risposte, risposte sempre generiche e formali e stitiche, quando arrivano, dopo tempi biblici…

DOMANDA. Dai racconti del suo “Col cuore in moto” traspare una capacità di costruire, attraverso la sua passione per le moto, continue metafore sulla vita, sui sentimenti, sulle emozioni forti. Come ha maturato questa “formula” narrativa?

RISPOSTA. Non sono consapevole di una formula narrativa; anzi, credo che tutti gli scrittori siano fondamentalmente costruttori di metafore più o meno importanti… uno vede una cosa che lo impressiona e ci fa una metafora…poi bisogna vedere se ciò che ti impressiona è veramente importante, oltre che per te, per il mondo. I rischi sono tanti… essere frivolo, autoreferenziale, presuntuoso ecc.

DOMANDA. Quali sono i suoi progetti futuri come scrittore?
RISPOSTA: Sono in attesa di “risposte” per un mio testo “L’ospedale della lingua italiana”, un piccolo dizionario di parole malate (perché sostituite dall’Inglese), dove le suddette si lamentano e vengono consolate…

DOMANDA. Vorrebbe dire qualcosa agli autori che si confrontano su questo sito, da scrittore a scrittore?

RISPOSTA. Lei solletica il mio narcisismo; dunque dirò qualcosa sul narcisismo, arma a doppio taglio di noi attori, che spesso ci ferisce: Se fai vedere che sai scrivere, la gente dirà che sai scrivere, ma si perderà quello che hai scritto, se mai hai scritto qualcosa…allo stesso modo, se un attore strappa l’applauso per sé, e non per quello che ha detto, fa un pessimo servizio a quello che doveva dire ed, infine, anche a sé stesso (l’applauso non è a te come persona, ma alla tua maschera)… Ciò non vuol dire che lo sforzo (e la gioia) di scrivere bene e di recitare bene siano inutili. Bisogna camminare in equilibrio sul filo…il crinale è stretto: da un lato puoi cadere nel “ma quanto sono bello, quanto sono bravo!”, dall’altro nel messaggio che non arriva, perché freddo, “attufato”, come si dice a Roma. Comunque Manzoni sintetizzava tutta sta’ pappardella in “Il Vero attraverso il Bello”.


(Intervista a cura di Maria Musik)

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