Pubblicato il 19/04/2012 23:01:35
Ci sono il rumore di fondo delle voci delle donne che si parlano in dialetto, i ritmici colpi del ferro sul tavolo da stiro e io seduta per terra, nel cono di luce della lampada, ai margini del buio di quel pomeriggio invernale – ah quella pigna di porcellana bianca del contrappeso e il cigolio della carrucola quando si alza o si abbassa la luce sopra i tavolo! – io in quel cerchio di luce, sul parquet del guardaroba, con intorno i ritagli di stoffa. Ci gioco. Li esamino, distinguo cotone, seta, lino, raion. Riconosco: quell’abito di mia madre, quella camicia di mio padre, il mio grembiule bianco, le stoffe pesanti delle mantovane e quelle dei velluti e dei rasi che ricoprono sedie e divani. La consistenza dei tessuti al tatto, i fili dei disegni damascati sul dritto e sul rovescio, i colori, le forme e le dimensioni degli avanzi e quelli a sorpresa, mai visti o mai notati, appena estratti dalla federa stipata. Non è un ricordo. Lì ritorno per un attimo al termine di un ritiro di meditazione con la percezione inequivocabile della mia mente-bambina circondata da luci, rumori e odori di quel guardaroba di sessant’anni fa. E comprendo: quei ritagli di stoffa sono la metafora di tutte le possibilità che la vita allora mi offriva. Ora mi si apre il cuore e si espande in gratitudine e stupore. P.S. Francesca mi dirà poi che quei sacchi di scampoli vengono usati pedagogicamente in certe scuole materne: servono a stimolare la concentrazione nei bambini.
(Aprile 2001)
(vedi sito http://rebstein.wordpress.com/2010/03/19/meditazioni/)
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