Inaspettata utilità della megalomania di un Cesare!
Ne aveva tante altre di tane sparse per la città. Tutte sotterranee, in fornici, cloache e cisterne, ma quella, che si elevava verso il cielo, lo appagava ed inorgogliva più di ogni altra.
Per il piccolo derelitto quella non era solamente una casa, non era solo il posto ove riporre refurtiva,ripararsi dal freddo, mangiare, dormire e non era neppure il luogo dove smaltire malinconie, sbronze occasionali e qualche lacrimuccia traditrice: quella era la rivincita contro la società che lo aveva ripudiato. Era la conquista. Era l’occupazione: scacciato ed emarginato, rifiutato e allontanato, egli si appropriava della cosa pubblica.
A Cesare, quell’ammasso armonioso di travi e legno ricoperto da lastroni di bronzo, serviva per realizzare un’idea di grandiosità e immortalità, per il piccolo rifiuto della società era unrifugio contro il freddo, il fango, la neve, la pioggia, la notte, la gente!
“Per le Sacre Bevute di Bacco! -esclamò sentendo allontanarsi i passi del suo occasionale nemico - Ho temuto proprio che quell’impiccione scoprisse il mio rifugio. Ah!.. non è facileseguire le tracce di Aquilinus! Brutto cane rognoso di un cavapidocchi!..”
Un lungo sospiro, poi il ragazzosi mosse. Si arrampicò su per la scala a chiocciola che dall’interno della gamba portava fino al bacino dell’immensastatua. Qualcosa, però, ad ogni gradino che saliva, forse quel sesto senso, il senso della sopravvivenza, cosìsviluppato in ogni naufrago della vita, lo avvertì di non essere solo, là dentro. Lo mise in guardia.
Qualcuno aveva scoperto il suo segreto: qualcuno, di sopra, che aveva preso a tossire e che respirava così affannosamente da sembrare l’ansimare di un animale ferito.
Si compiacque con se stesso peraver conservato uno dei sassi econtinuò a salire. Lentamente e con circospezione, ma decisamente. La sua faccetta infreddolita e imbronciata, riemerse all’altezza del bacino della possente scultura, sull’orlo del buco tenebroso della gamba. Là sopra non era così buio come di sotto. L’assemblaggio dei lastroni di bronzo permettevano una leggera penombra, sufficiente a vedere di dentro.
Prima di balzare su dalla botola,Aquilinus guardò a destra poi a sinistra e infine sopra la testa, ma non vide nessuno.
Sentì ancora un colpo di tosse,nitido e violento.
“Chi c’è qui?” domandò sollevandola mano armata di sasso e cercando con l’altra, con la sicurezza di chi si muove in casa propria, l’asse di legno accostato a una sporgenza.
“Chi c’è qui?” ripeté la domanda.
Ora che la vista si era assuefatta all’oscurità, vide ben chiare due ombre emergere dall’oscurità.
“Sono io!” una voce timida espaventata provenne dal fondo dell’antro.
“Io chi?.. Per la Siringa diPan! Fatti vedere.”
L’inatteso misterioso ospite avanzò di qualche passo.
“Fermo!... Fermo! Fermati! - il padrone di casa lo fermò con un gesto perentorio della mano armata di spranga -Fatti guardare un po’... Fa un po’ vedere a chi appartiene la faccia di questoio!... Marcus!?!” esclamò, quando un flebile raggio di luce, penetrando da una fessura, illuminò la faccetta dell’intruso.
“Sono io!”
“Sempre tu!...- sospirò Aquilinus, lasciando andare spranga e sasso - Cosa ci fai qui? Come hai fatto ascoprire questo nascondiglio?”
“Me lo hai detto tu!”
“Io?... E chi c’è lì con te?”
Qualcuno alle spalle del monello stava schiarendosi la gola.
“C’è Linus con me.”
“Ah! Dovevo immaginarlo! Linus è l’ombra di Marcus. Per la Siringa di Pan! Ti porti dietro anche i clienti?” scherzava e, intanto che parlava, si muoveva all’interno dello scheletro di legno e ferro, gigantesco e tondo, come dentro a una grossa botte cerchiata e attraversata da assi, spranghe, sostegni, catene,scale, corde.
Un ennesimo colpo di tosse, più forte e stizzoso ancora, gli fece rizzare nuovamente il capo e aguzzare lavista.
C’era un pagliericcio laggiù.Quattro assi di legno poggiate su due rientranze e un saccone di paglia, una coperta sdrucita e dal dubbio colore: il letto del padrone di casa.
“Altri ospiti? - domandò -Qualche piscialetto tuo amico?”
“Non un piscialetto. - spiegò Marcus con candore – Una ragazza.”
“Una ragazza?...Una ragazza nel mio letto?... Per il Cinto di Venere!… Che cosa ci fa una ragazza nel mioletto? Perché una ragazza è finita dentro il mio letto?”
“Fuori fa freddo!”
“Lo so!”
“Ha ripreso a piovere.”
“Ho visto!”
“Hai sentito come tossisce?”
“Ho sentito!”
“E’ per lei che siamo venuti qui.Per metterla al riparo dal freddo e non aggravare la sua malattia di petto.”
“Perché? Non ha una casa o un padrone?”
“Ma è proprio da lì che Marcella è scappata e...”
“Scappata? - lo interruppe ancora Aquilinus; il piccolo compagno di Marcus seguiva in silenzio il dialogo - E’una schiava in fuga?”
“No! - spiegò l’altro - Sua madre, così mi ha raccontato, vuole metterla in un bordello... In una locanda della Suburra e...”
Per la terza volta il piccolo brigante interruppe il suo protetto.
“E allora?... Non mi pare una sistemazione disdicevole. Cibo, abiti e un tetto sopra la testa per ripararsi dal freddo, l’avrebbe! No?”
“No! - l’altro ebbe una scrollatina di spalle - Lei dice che vorrebbe stare con i cristiani!”
“Uhhh!... Buoni quelli! Per colpaloro quasi mi beccavo un sacco di legnate, poco fa!”
“Io pure ho cercato di dissuaderla e le ho fatto...” tentò di spiegare Marcus ma per l’ennesima volta l’altro gli impedì di continuare.
“Avete fame? - domandò - Avete mangiato qualcosa?”
“Io ho fame! - interloquì infine il piccolo Linus, facendo spuntare un visetto sporco e un nasino arrossato,nell’angolo tra il braccio sinistro piegato e il fianco di Marcus - Io ho fame,signore!” ripeté.
L’esile torace del piccolo brigante dei fornici si gonfiò di compiacimento e orgoglio a quell’epiteto:Signore! Lo sguardo acuto da animale da preda si caricò di improvvisa responsabilità!
“Tu resta qui con la ragazza. - ordinò a Marcus, col tono di chi prende le decisioni, poi puntando l’indice verso Linus - Tu invece verrai conme, ma prima proviamo a coprire questa ragazza.” aggiunse all’ennesimo colpo di tosse dell’intrusa.
Aquilinus si tolse il mantello econ quello cercò di coprire la ragazza: troppo piccolo, però, per ripararla tutta.
“Ah!… Forse a Giove piace guardare le nudità di questa ragazza… Giove è fatto così, ma Aquilinus non sidà per vinto.” continuò, mettendosi alla ricerca, fra mucchi di cenci, di qualcosa con cui coprire la ragazza. che, silenziosa e immobile, lo lasciò fare; al petto stringeva un sacchetto legato al collo, che stringeva forte con entrambe le mani.
“Che cos’hai in quel sacchetto, Marcella?.. Ti chiamiMarcella?” si incuriosì la piccola canaglia; non ebbe risposta.
“Pane! – fu Marcus a spiegare -Pane Sacro… Io credo.”
“Che cosa significa? – Aquilinusaggrottò il ciglio – Si tratta, forse, di pane destinato a qualcuno di quegli Immortali oziosi e con la pancia già piena?”
“No! No! - s’affrettò a spiegare il piccolo – Si tratta di… ostia…”
“E che cosa sarebbe mai?”
“E’ il pane sacro dei cristiani…fatto della carne e del sangue del loro Cristo…”
“Vuoi dire che si tratta di unpazzo di carne sanguinolente?” fece il piccolo ladro dei fornici con profondo disgusto.
“Oh, no! - sempre Brutus, la ragazza continuava atacere – E’ farina di grano impastato con acqua…”
“… e non si può mangiare!… Hocapito! Sù Andiamo.” disse infine, con un cospiro, lanciando un’ultima occhiata alla ragazza che lo gratificò con lo sguardo più riconoscente del mondo.
“Dove andiamo?” domandò Linus.
“A cercare del cibo ,naturalmente. E a procurare qualcosa di caldo alla ragazza. Non ... non vorrai che mi muoia qui! In casa mia! Sù! Andiamo, leprotto! Seguimi!”
Si apprestò ad uscire per procurare da mangiare ad una ragazza di cui non conosceva nome, né faccia.
(cotinua) - brano tratto dal libro LA DECIMA LEGIONE - Panem et Circenses
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