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.... miserabili...

di Maria Pace
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Pubblicato il 23/07/2012 14:39:49

(seguito)

Al galoppo attraversarono la Suburra; i passanti si scansarono al loro passaggio e una frotta di scalmanati attirò la loro attenzione.

“Aquilinus! - esclamò Marco indicando una smilza figura nascosta in un mantello dalle nappe alla giudea, strappato in più punti e rattoppato alla meglio. Pareva il bersaglio delle attenzioni di una poco raccomandabile turba - Qualcuno è riuscito a spezzare il tuo volo, aquilotto?” scherzò, quando si fu avvicinato al gruppo.

La faccetta furba del piccolo non pareva, in verità, molto preoccupata. Gli occhi, mobili come saette, aguzzi come quelli del rapace di cui portava il nome, dardeggiavano intorno alla ricerca di una via di scampo; in  entrambe le mani stringeva sassi.

“Che cosa succede qui? Cosavolete da questo sbarbatello?” domandò Marco al più vicino di quelli che circondavano il piccolo.

“E’ uno sporco ebreo-cristiano.”rispose l’interpellato che,   come quasi tutti, non faceva molta distinzione tra ebrei e cristiani. 

“Imbecille! – replicò Marco - Nonvedi che è solo un ragazzo?”

“E’ una piccola chiavica di fogna, signore.- insistette quello - E come tutti i topi di fogna bisognerebbe arderlo come una torcia. Io lo conosco, tribuno. Si  chiama Joshua, ma si fa chiamare Aquilinus, per via della velocità con cui ti porta via la borsa.”

“Lo conosco anch’io. - seguì una seconda voce- E’ un ladro.”

“Alle guardie!.- una terza voce - C’è bisogno di delinquenti per l’arena ai prossimi giochi in onore del nuovo Cesare.”

“Non sapete che il nuovo Cesare –interloquì Fabio – ha permesso ad ogni cittadino… e perciò anche ai cristiani, di  rendere onore  e gloria alle proprie Divinità?”

“Puah!” fece uno di quelli girando le spalle per allontanarsi.

Erano tutti bottegai della borgata: Cleonte il panettiere, Brutus il barbiere, Fidelius il carbonaio e dovevano aver fatto più volte la conoscenza con quell’aquilotto infreddolito.

“Calma! - replicò Fabio - Le prigioni si sono appena svuotate. Vorresti già riempirle?”  

“Macché ebreo, macché cristiano!Gente rammollita, quella. – protestava il piccolo - Io cristiano? State scherzando?”

“Bugiardo! - replicava l’altro -Ti dico, centurione, che questo piccolo manigoldo, cristiano oppure no, era stato colto con le mani nella borsa di una patrizia ed era destinato all’arena. Si vantava di essere già stato in carcere e di non esserci mai restato alungo.”

“Mai a lungo. Certo! - continuava a protestare il piccolo bandito.- Vi sembra che abbia necessità di camuffarmi da stupido ebreo-cristiano per alleggerire qualche borsa? - ora che aveva la protezione di un tribuno e di un centurione, Aquilinus stava diventando sfrontato ed insolente - Ho detto che non sono mai rimasto in prigione perchéil mio difensore... – e qui, l’impareggiabile monello mise in mostra tutto l’estro che la vita randagia gli aveva insegnato per sottrarsi alle difficoltà- il mio difensore, dicevo, Cleonte Arpaga, il Greco,  possiede un’oratoria che eguaglia e supera quella di quel certoTullio Cicerone che scavò la fossa al povero Catilina... Sapete di che parlo,vero?... Lui convince sempre il Procuratore della mia innocenza – aggiunse tirando su col naso con finta noncuranza – perché io sono innocente come un agnello della Pasqua ebraica. Possa io diventare ottuso come un giudeo, se questo non è vero!”

“Basta! - intervenne Marco -Basta così! Per quest’oggi, piccolo manigoldo, togliti dalla mia vista. E voi.- il tribuno si girò verso gli altri con cipiglio determinato - Andate anchevoi! Tutti!... Basta, per ora, gettare gente nell’arena. Via!... Disperdetevi!”

Ubbidirono. Si allontanarono tutti, manifestando contrarietà e malumore e prendendo a calci sassi e rifiuti. Anche Aquilinus si allontanò, masticando un motivetto in voga, ma, fatti pochi passi:

“Porta alla mia amica Livilla i mieisaluti, centurione.- disse, voltandosi - E che non si ficchi ancora nei guai!... Non c’è sempre Aquilinus a tirarvela fuori!”

Fabio ebbe un sorriso, scosse il capo, spronò il cavallo e seguì l’amico, che gli domandava:

“E’ vero quanto hai detto a quella plebaglia… che il nuovo Cesare tollera il culto di questi cristiani… al contrario di Nerone?”

“Ha emesso un proclama. – assentì il centurione – Dietro congrua pecunia, ognuno è libero di…”

“Oh.oh.oh… -  lo interruppe il suo tribuno – Volevo bendire: il nuovo Cesare è un ottimo Praefectus domui… ” rise, sull’onda della voce del piccolo che li seguì per un po’, mentre intonava: 

         “Mi compiaccio io delle opere di Dionisio e delleMuse,        

          che portano gioia agli uomini...”

Aquilinus s’infilò in uno di quegli stretti itinera, più impraticabile che mai, con la pioggia,girando e rigirando i sassi nelle piccole mani arrossate dal freddo: un mese assai freddo e piovoso, il giugno di quell’anno.

Non voleva darlo a vedere, ma in realtà quell’episodio lo aveva irritato e reso aggressivo.

           “E’’ dolce la stagione della raccolta…”  continuava a cantare, in un crescendo sempre più elevato, fino a squarciagola.  Svoltato l’angolo si fermò,  per consentire,forse, a un’improvvisa idea di farsi avanti nel cervello, poi tornò indietro. Estrasse la fionda da sotto la tunica, vi infilò un sasso e mise a punto un tiro che centrò in pieno  Brutus il barbiere, tornato al suo cliente ancora seduto sull’uscio della bottega.

“Prendi, sfilapidocchi!” urlò,dandosi a fuga precipitosa.

“Piccola peste! Se ti prendo…”urlò quello lasciando il posto di lavoro; quando sbucò sulla strada, però, di Aquilinus non c’era traccia. Si guardò intorno: era impossibile scomparire a quel modo su un piazzale aperto su cui si affacciavano  solo Templi, Palazzi e grandi statue. C’erano l’immenso vestibolo della Domus Aurea, la Meta Sudans e la statua di Nerone, un colosso di bronzo alto più di trentacinque metri, opera dello scultore Zenodoro.

“Ma dove è finito? - sempre più furente, le mani che gli prudevano, il barbiere si fermò ai piedi del grandepilastro che reggeva la colossale statua. - Dove è finito quella disgrazia del genere umano?... Non può essere svanito nel nulla...”

Se solo fosse riuscito a disciplinare un pò meglio le proprie emozioni, l’irascibile barbiere avrebbe,forse, udito un respiro affannoso proprio sopra la sua testa, provenire dall’interno del colosso: Aquilinus era rannicchiato lassù.

Il barbiere continuò ancora aguardarsi intorno; alzò perfino  gli occhi sul colosso, poi si girò per tornare indietro.

Quel monumento grandioso, espressione della perfezione tecnica e della purezza lineare, improntato a una maestosità quasi divina, raffigurava Nerone nelle vesti di Apollo. Altissima,superba e stagliata contro il cielo, quella statua, nell’aspirazionedell’artista e del modello, ambiva eguagliare il colosso di Rodi.  E forse qualche somiglianza l’aveva perfinocon quella meraviglia dell’estro umano, ma il popolo la degnava appena diqualche sguardo distratto e qualcuno, nell’euforia dell’avvento di un nuovo assetto sociale, già ne auspicava l’abbattimento.

Anche lo sguardo del barbiere la sfiorò appena, prima di decidersi a tornare alla bottega, sempre imprecando,tra un brivido e l’altro.

Aveva ripreso a piovere e faceva freddo.

Quel colosso, o più esattamente,il possente torace, era diventata la nuova tana di Aquilinus. L’aveva scoperta quasi per caso e subito adottata. C’era un’apertura sul retro del polpaccio della gamba sinistra: stretta e bassa, ma sufficiente a farvi passare un uomo.Aveva visto un giorno un operaio infilarvisi e scomparire al suo interno     e da quel momento, quel simbolo di  potere e grandezza

imperiale, era diventato la sua nuova “casa”.

 

(continua)


brano tratto dal libro: 

LA DECIMA LEGIONE - Panem et Circenses

di Maria Pace


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